Il 9 giugno a Trento si svolgerà il Gay Pride dolomitico. Il documento che illustra il senso dell’iniziativa si chiama “Orgoglio oltre i confini”. In esso vi sono alcuni passaggi interessanti seppur già sentiti molte volte. Ad esempio si parla di “cultura patriarcale-virilistica, che è matrice ideologica alla base dell’omotransfobia, agisce attraverso il sistema d’ordine e di riproduzione sociale eteronormativo, che pretende di schiacciare l’esperienza umana al solo principio di riproduzione biologico-naturale, al quale ricondurre costruzioni sociali quali famiglia, matrimonio, riproduzione, genitorialità e cura come validi solo se costruiti in spazi eterosessuali e normati”. Gli estensori quindi, senza nessuna prova a loro favore, si immaginano che il maschio eterosessuale sia la causa dell’ “omofobia”, fenomeno – che è bene ricordare – è inesistente: esistono solo alcuni casi di ingiusta discriminazione, ma che comunque è scorretto rubricare sotto la voce “omofobia”, termine della neolingua ideologica privo di qualsiasi fondamento scientifico. In secondo luogo il passaggio appena citato attacca la famiglia naturale, il concepimento per vie naturali e la genitorialità eterosessuali. In esso ritorna poi il solito ritornello che i ruoli sessuali non sono un portato di madre natura, ma una costruzione sociale.
Il documento così prosegue: “il Dolomiti Pride accoglie e supporta le nuove sfide di autodeterminazione che interrogano il genere denunciando la sua narrazione binaria e genderista, proseguendo nel percorso inclusivo e decostruttivo che il femminismo (nelle sue tradizioni costruzioniste, post-coloniali ed intersezionali) storicamente ha segnato, indicando così quelle premesse necessarie a far emergere oggi anche quelle istanze che si pongono – in modalità diverse e complesse – oltre ed in relazione al binarismo di genere”. Qui si pone la firma ad uno dei fattori che hanno contribuito alla diffusione della teoria del gender: il femminismo, nemico non solo del maschio ma della duplicità sessuale. Insomma un discorsetto sui soliti toni rivoluzionari che un tempo si sentivano usare dai comunisti e dalle femministe ed ora dagli omosessuali e transessuali.
Ovviamente non poteva mancare anche un attacco alla Chiesa Cattolica: “Il Dolomiti Pride, conscio della complessità del tema, e in particolare dell’azione della Chiesa Cattolica a costruire e sostenere nel nostro Paese una cultura omonegativa e disciplinante verso le persone LGBTQIA+, sostiene uno spazio inclusivo e dialogante tra posizioni personali e gruppi, sia nel dialogo inter-religioso, sia tra persone con sentimento religioso e quelle con visioni agnostiche e atee. In particolare, come rifiutiamo le ingerenze cattoliche nel lavoro di riconoscimento delle minoranze da parte dello Stato Italiano, rifiutiamo altresì posizioni islamofobiche, e posizioni che svalorizzano l’autodeterminazione dei credenti di qualunque religione/credo. […] Ci sentiamo vicini e comprendiamo le difficoltà di quei credenti LGBTQIA+ che vivono come lacerante l’intersezione tra la loro identità sessuale e il loro credo, quando quest’ultimo li condanna in quanto omosessuali o trans*”. Insomma il solito cliché secondo il quale la Chiesa discrimina ingiustamente le persone omosessuali, contrapposto al cliché dell’islamofobia e tacendo il fatto che le persone omosessuali vengono realmente vessate nei Paesi di cultura islamica.
Al di là del contenuto delle argomentazioni il documento assume i caratteri del già sentito, dello stereotipo, quello stereotipo da cui, per paradosso, vogliono fuggire i movimenti omosessualisti.
Gender Watch, 31 marzo 2018