I social media, in cambio dei servizi offerti, hanno violato la privacy degli utenti. Ma ora sono davanti a una svolta cruciale. Perché l’innovazione non è a ogni costo.
Nonostante tutti i media stiano parlando del cosiddetto scandalo che riguarda Facebook e Cambridge Analytica, sembra che quasi nessuno si renda conto che quanto è accaduto costituisce un punto di svolta cruciale per i social media.
Innanzitutto va detto che già all’epoca del marketing diretto via posta (quindi fin dagli anni Settanta) si mandavano lettere nominative con promesse elettorali a destinatari individuati con tecniche di profilazione meno precise di quelle rese possibili dai social media, ma che hanno come modello di business la cessione a terzi dei dati degli utenti. Quindi scopriamo che il mercato degli indirizzi è sempre esistito.
Importante però è chiarire cosa è cambiato per gli utenti che intendono beneficiare di un servizio gratis. Per fruire di programmi, sport e film in tv senza pagare, l’utente offre in cambio la propria attenzione e il proprio tempo per guardare gli spot. In cambio dei servizi offerti dai social network, l’utente concede qualcosa di assai più importante: la propria privacy. Il che avviene sempre più spesso per qualsiasi servizio, che si tratti di un acquisto online o del download di un software e di una app. Nessuno si ferma a leggere “disclosure” a volte di molte pagine, e pur di ricevere il servizio utile in quel momento mette rapidamente una crocetta su “Accetto”. Dov’è il problema se in seguito alla firma di quel contratto i dati vengono poi ceduti a terzi interessati a entrare in contatto con una selezione di quegli utenti? Dove sta, quindi, il problema?
Sta nel fatto che a livello collettivo, sia di opinione pubblica che di governi, si è lasciato andare avanti uno sviluppo sfrenato di quanto avviene online senza pensare a un minimo di regole, cosa che si cerca di fare ora che i buoi sono scappati dalle stalle, rischiando anche di buttare via il bambino con l’acqua del bagno.
Altro errore collettivo è stato pensare che il web sarebbe stato il luogo per eccellenza della democrazia e del gratuito. Un errore di prospettiva ancora più grave è stato commesso dai giganti del web che si sono proposti come benefattori dell’umanità facilitando le connessioni tra le persone e le ricerche sulla rete. Se avessero chiarito fin da subito a tutti i possibili utenti il proprio modello di business, probabilmente avrebbero avuto uno sviluppo meno gigantesco, ma oggi non si troverebbero a fronteggiare una crisi che non si può certo risolvere con buoni propositi o precipitandosi a sostenere iniziative benefiche o culturali.
È facile prevedere che oltre a Zuckerberg, anche Bezos si troverà ben presto a fronteggiare una protesta globale, visto che secondo l’Economic Policy Institute americano la sua Amazon distrugge più posti di lavoro di quelli che crea, posti di lavoro, inoltre, sempre più simili a quelli nelle ferriere di un tempo.
Analogo discorso vale per lo sviluppo sfrenato e non controllato della cosiddetta intelligenza artificiale: grazie alla sua smisurata potenza di calcolo, sarà possibile mettere insieme i “big data” di chiunque grazie alle videocamere disseminate ovunque, alle sue ricerche e ai suoi acquisti fatti sulla rete, ai suoi spostamenti rilevati dalla geolocalizzazione del suo cellulare, ai suoi dati sanitari eccetera. Vogliamo pensarci prima che sia troppo tardi?
Agli appassionati delle magnifiche sorti e progressive dell’innovazione a ogni costo (ripeto: a ogni costo), pronti a tacciare questa posizione come quella di retrogradi conservatori, si può rispondere con la citazione di un breve e fulminante racconto di fantascienza di Frederic Brown, scritto nel 1951, in cui si descrive una solenne cerimonia di un lontano futuro, quando si sta per completare il progetto di connettere tutti i computer dei 96 miliardi di pianeti abitati. Una volta posta la leva in posizione “ON”, si sente un enorme ronzio, mentre al leader della federazione delle galassie Dwar Ev viene riservato l’onore di porre alla super-macchina la prima domanda: “Dio esiste?” L’immensa voce risponde senza esitazione: “Sì. Adesso Dio c’è”. Il terrore sconvolge la faccia di Dwar Ev, che si slancia verso il quadro di comando. Un fulmine sceso dal cielo senza nubi lo incenerisce, e fonde la leva inchiodandola per sempre al suo posto.
Alberto Contri
Il Sussidiario.net, 9 aprile 2018