Il dittatore nordcoreano Kim Jong ha incontrato il presidente della Corea del Sud Moon Jae-in. Le armi nucleari, il ruolo della Cina e l’imprevedibile Trump. Parla Guido Olimpio (Corriere).
Il dittatore nordcoreano Kim Jong-un ha incontrato il presidente della Corea del Sud Moon Jae-in nel villaggio di confine di Panmunjom, in occasione del terzo storico vertice intercoreano dalla Guerra del 1950-1953. Dopo una stretta di mano in diretta tv, si sono seduti al tavolo ovale della “Casa della pace”, insieme ai rispettivi entourage. Dopo i negoziati, i due leader hanno pranzato da soli, gustando il rosti (in onore degli anni passati in Svizzera da Kim) e il pesce di Busan (città dove è nato Moon). Sulla mousse di mango che farà da dessert sarà riprodotta l’immagine di una Corea unita. Infine, i leader hanno piantato un pino in segno di pace e prosperità usando terreno e acqua di entrambe le Coree. «Il vertice ha una chiara valenza mediatica e costituisce un importante primo passo per la risoluzione della crisi coreana», dichiara a tempi.it Guido Olimpio, giornalista del Corriere della Sera e attento osservatore della regione. «Ciò che conta però saranno i dettagli dell’accordo. Servono fatti».
ARMI NUCLEARI. Il tema principale che verrà discusso è la denuclearizzazione della Penisola coreana, il più spinoso di tutti. «Bisogna capire che cosa si intende. Io non credo che Pyongyang rinuncerà mai al suo arsenale nucleare e missilistico, perché il regime lo intende da sempre come una polizza sulla vita», spiega Olimpio. «Kim sa che senza le sue armi potrebbe essere rovesciato e non credo che accetterà di dismetterle in cambio di qualsivoglia garanzia che non sarà attaccato in futuro». Pochi giorni fa il “Brillante leader” ha annunciato una moratoria sui test, dei quali non avrebbe più bisogno essendo la Nord Corea ormai diventata una «potenza nucleare». «Kim ha insistito sull’esigenza di attuare riforme economiche», continua l’esperto, «e non è un segreto che voglia rilanciare il Paese sotto il profilo economico. Per questo ha bisogno che vengano tolte le sanzioni internazionali. Però l’annuncio dell’abbandono del sito sotterraneo di Punggye-ri per i test nucleari, sotto il monte Mantap, potrebbe essere stato dettato da altri fini: secondo due studi cinesi, infatti, la montagna sarebbe collassata durante l’ultimo test ed è quindi inutilizzabile. Sembra anche che il regime stia continuando a fare ricerche nucleari in un secondo centro, in realtà. Insomma, la risoluzione del problema atomico presenta difficoltà tecniche e politiche importanti».
CHI CONTROLLA? Si potrebbe però «arrivare a un’intesa che preveda solo il congelamento dell’arsenale nucleare e missilistico nordcoreano. Questo è fattibile, anche perché non penso Kim sia davvero intenzionato a sferrare un attacco nucleare». Un simile scenario potrebbe essere il nodo centrale dell’incontro che si terrà a fine maggio o inizio giugno tra il dittatore e il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. «Resta un problema: chi verifica il rispetto degli accordi da parte di Pyongyang? Senza un protocollo chiaro, Trump rischierebbe di fare la fine di Obama, Bush e Clinton», che raggiunsero importanti accordi, poi disattesi dal regime.
COREA UNITA. Se la denuclearizzazione resta quindi un tema complesso, è più facile che venga raggiunto oggi un accordo dal punto di vista del rapporto tra le due Coree, che non hanno mai firmato una pace al termine della guerra, ma solo un armistizio. «Io ci credo molto in questo passaggio, perché la prospettiva di una Corea unita sarebbe un vantaggio sia per Seul che per Pyongyang. È chiaro che sulla strada della riunificazione ci sono problemi enormi, compresa un’opinione pubblica sfavorevole nel Sud. Però firmare la pace sarebbe un importante primo passo, verrebbe aperta una strada. Lo stesso vale per il nucleare: non guardiamo troppo al futuro, sarebbe importante anche solo cominciare un cammino».
L’IMPREVEDIBILE TRUMP. Non è la prima volta che il regime accetta di intavolare trattative per sfruttarne i benefici immediati e poi far saltare il banco sul più bello. Questa volta però, sostiene il nostro esperto, ci sono delle differenze: «Sono convinto che Trump abbia davvero spaventato Kim. La massiccia concentrazione militare americana vicino al Nord insieme alla strategia del caos utilizzata dal presidente Usa ha sortito degli effetti. Al di là della propaganda, Trump ha dimostrato di essere imprevedibile. Prendiamo la Siria: prima ha detto che se ne sarebbe andato, poi l’ha bombardata. Questi sono fatti e la Corea del Nord ha recepito il messaggio, rafforzato dalle pressioni diplomatiche ed economiche. È sempre possibile che, come fatto in passato dal padre e dal nonno, Kim voglia solo guadagnare tempo, questo non possiamo saperlo. Ma qualcosa di diverso questa volta c’è».
IL RUOLO DELLA CINA. Ne è una prova, forse, anche il comportamento della Cina. Dopo aver ignorato Kim per sei anni, il presidente Xi Jinping l’ha ricevuto a sorpresa il mese scorso. «La riduzione dei commerci tra i due Paesi e lo stop all’importazione del carbone ha messo Pyongyang sotto pressione, costringendo Kim a cambiare passo», spiega Olimpio, ricordando però che il regime è abilissimo a “giocare” una potenza contro l’altra per i propri interessi. «La Corea del Nord di sicuro non può prescindere dalla Cina, che assorbe la maggior parte della sua produzione, e ha sempre bisogno del suo appoggio. Però vuole anche essere indipendente e al fondo sospetta che Pechino potrebbe invadere Pyongyang. Dall’altro lato i cinesi vogliono usare la Nord Corea come elemento antiamericano, ma vogliono evitare la crisi internazionale: non vogliono certo fare la guerra mondiale per colpa di Kim». Pechino poi ha tutto da guadagnare da un’eventuale denuclearizzazione, così come da una inferiore presenza di forze americane nella Penisola coreana. Se ci sono molti interessi in comune tra i due Paesi, «io comunque non credo che Pechino e Pyongyang abbiano stretto una strategia comune. Gli elementi sono troppi e imprevedibili. Il dato da registrare è che Kim sta cambiando passo, si sta comportando in modo diverso. È solo un primo segnale, ma è positivo».
Leone Grotti
Tempi.it, 27 aprile 2018