Emorragie, infezioni, dolori forti e prolungati. E ancora: ansia, depressione, disturbi post-traumatici da stress. L’aborto può portare le donne che lo subiscono a conseguenze anche letali. Lo spiega l’Associazione ProVita Onlus, che ha lanciato una petizione al Ministero della Salute affinché nei consultori le donne che vi si recano per chiedere di abortire, siano adeguatamente informate.
In questo senso si colloca anche la pubblicazione da parte di ProVita di un breve libro intitolato Per la salute delle donne, che offre un sommario dei rischi correlati all’interruzione volontaria di gravidanza. Potrebbe essere questa la guida da distribuire alle donne. In Terris ne ha parlato con l’autrice, la scrittrice Lorenza Perfori, che da anni si occupa di difesa della vita.
Da dove nasce l’esigenza di realizzare questa sorta di vademecum per le donne sui danni dell’aborto?
“Dal fatto che questo tipo di informazione non c’è. Quando una donna si reca presso le strutture sanitarie per chiedere di abortire, non le viene detto nulla sulle ripercussioni che questa pratica può provocarle. Non se ne parla in ambito sanitario, ma nemmeno a livello politico: c’è un velo ideologico su questo tema. Per sopperire a una mancanza, dunque, ho realizzato questo opuscolo in cui riepilogo tutte le conseguenze a cui la donna può andare incontro quando si sottopone all’aborto volontario”.
Quali sono queste conseguenze?
“Ce ne sono alcune che danneggiano la salute fisica ed altre la salute psichica. Conseguenze che gravano sul fisico sono comuni a entrambe le procedure abortive, quella medica (con la pillola) e quella chirurgica, ossia emorragia e infezioni. Ci sono poi complicazioni legate esclusivamente all’aborto chirurgico: danno cervicale, perforazione uterina, complicazioni legate all’anestesia. Ed altre conseguenti solo all’aborto medico: dolore forte e prolungato, che dura diversi giorni dopo l’assunzione della pillola, flusso emorragico abbondante, maggiore sia in quantità che in durata rispetto a quello provocato dall’aborto chirurgico, nonché la sepsi. Quest’ultima infezione nel 2011, come indicato dal rapporto dell’Agenzia Americana del Farmaco (Fda), ha colpito 246 donne che avevano avuto un aborto medico, 48 di questi casi sono stati classificati come ‘severi’, cioè potenzialmente letali”.
È falso che l’assunzione della pillola abortiva sia più sicura dell’aborto chirurgico?
“Assolutamente falso. Uno studio del 2009, pubblicato sulla rivista Obstetrics & Gynecology, che ha analizzato i fattori di rischio di eventi avversi su oltre 22mila donne sottoposte ad aborto medico e circa 20mila sottoposte ad aborto chirurgico, ha rilevato che complessivamente l’aborto medico aveva un rischio di complicanze quattro volte più alto dell’aborto chirurgico: 20% contro 5,6%. Più alto il rischio di emorragia, di aborto incompleto e di una nuova evacuazione chirurgica”.
Prima ha fatto riferimento alle conseguenze dell’aborto sulla salute psichica…
“Il contraccolpo nasce dal fatto che la donna è consapevole che con l’aborto non ha asportato un tumore, ma ha ucciso un figlio. È inevitabile che ne scaturiscano ferite a livello psicologico: ansia, depressione, disturbo post-traumatico da stress, in alcuni casi autolesionismo…”.
Esistono studi che lo dimostrano?
“Ne esistono diversi, che ho citato nel mio libro. Da uno dei più recenti, realizzato dal dott. Sullins negli Stati Uniti nel 2016, è emerso che le donne che avevano abortito avevano un maggior rischio di depressione del 30% e di ansia del 25%. Sullins ha stimato inoltre che circa il 10% della diffusione di problemi di salute mentale è dovuto all’aborto indotto”.
Secondo lei perché non si parla di questi temi?
“Perché parlarne metterebbe in discussione la pratica dell’aborto e la legge 194, la quale è stata approvata con l’obiettivo dichiarato di curare la salute psichica della donna che si trova ad avere una gravidanza indesiderata. Se invece venissero mostrati a quella stessa donna i rischi sulla sua salute che l’aborto comporta, cadrebbe il castello ideologico su cui è stata costruita la 194”.
Legge 194 che nella sua prima parte prevede che i consultori svolgano un lavoro di deterrenza nei confronti della donna intenta ad abortire, informandola sui diritti a lei spettanti in quanto incinta e contribuendo a far superare le cause che la portano a scegliere l’aborto. Questa parte viene applicata?
“In realtà c’è un’enorme mancanza da parte dei consultori. Di solito la donna che vi si reca, non riceve alcuna informazione adeguata, riuscendo ad ottenere il certificato di autorizzazione ad abortire in modo molto veloce e senza conoscere i danni di salute a cui può andare incontro. Reputo intanto positivo che in questi giorni se ne sia parlato in Senato. E poi spero che ci sia larga adesione alla petizione di ProVita: è ora di informare le donne”.
Il maximanifesto di ProVita, fatto rimuovere a Roma, aveva proprio l’intento di informare le donne. Come valuta quella vicenda?
“In parte la censura è stata positiva, perché ha fatto pubblicità all’associazione e al messaggio del manifesto attirando l’attenzione di tutti i media”.
Non crede, tuttavia, che quel tipo di messaggio possa dilatare la ferita psicologica di una donna che ha subito l’aborto?
“Bisogna dire la verità, e quel maximanifesto lo faceva. A undici settimane di gestazione, tutti siamo stati come il bambino raffigurato: con gli organi funzionanti, con il cuore battente… La ferita psicologica è provocata dall’aborto, dire la verità può aiutare tante giovani a evitare di abortire e dunque di subirne le conseguenze”.
Federico Cenci
Libertà e Persona, 13 aprile 2018