La legge approvata nel 2017 dal premier Justin Trudeau crea molta confusione e le rassicurazioni dei giornali politically correct convincono poco.
La storia è circolata così tanto su internet e sui social media in tutto il mondo, che il Washington Post si è sentito in dovere di smentirla e bollarla come “Fake news” intervistando fior fior di esperti. Così pochi giorni fa ha pubblicato un articolo dal titolo: “NOTIZIA FALSA: in Canada non si va in prigione per un pronome di genere sbagliato”.
LA LEGGE DI TRUDEAU. Il riferimento è alla legge C-16, fortemente voluta dal premier Justin Trudeau e approvata alla fine del 2017 in Canada, che aggiorna il Codice dei diritti umani del paese così come il Codice penale. La legge introduce una protezione specifica per “identità di genere e espressione di genere”, prevedendo multe e perfino il carcere per chi incita all’odio contro una persona a motivo appunto della sua “identità o espressione di genere”. Molti giornali hanno scritto che basterà sbagliare il pronome con il quale un transgender preferisce essere chiamato per rischiare la prigione. Se, cioè, un maschio che si identifica come una femmina, anche in assenza di operazione chirurgica che sia intervenuta a modificare le sue connotazioni fisiche, preferisce farsi chiamare “lei”, chiunque continui a indicarlo come “lui” può essere perseguito per incitamento all’odio.
IL FACT-CHECKING. Secondo il docente di diritto dell’università di Toronto, Brenda Cossman, «l’errore nell’uso di un pronome non viene assolutamente criminalizzato», dichiara al Post. D’accordo anche Richard Moon, dell’università di Windsor: «Vengono solo punite come criminali espressioni estreme». Bisogna cioè dimostrare che chi si riferisce a un transgender sbagliando il pronome «intende volontariamente incitare all’odio».
Come specificato anche da altri quotidiani canadesi, «sbagliare erroneamente un pronome non è abbastanza grave da giustificare una condanna per molestie». Se però il pronome sbagliato viene utilizzato «ripetutamente», nonostante la persona in questione abbia chiaramente spiegato che «non è quello con cui preferisce essere chiamato», allora potrebbero cominciare i problemi. È probabile che venga comminata al massimo una multa, ma la legge prevede anche il carcere.
PSICOREATO. Le spiegazioni di esperti e giornali non sono molto rassicuranti, tendono piuttosto verso lo “psicoreato”. Chi è che decide se, utilizzando il pronome sbagliato, una persona voleva «volontariamente incitare all’odio»? Chi può leggere in questo modo nella coscienza e nei pensieri delle persone? E in base a che cosa si stabilisce che l’identità di genere è più importante di quella anatomica? Torna alla mente il caso di quel professore inglese che per aver sbagliato il pronome di genere di un suo alunno è stato sospeso. Se si fosse trovato in Canada avrebbe potuto finire in carcere? La risposta degli esperti e dei giornali specializzati in “Fact checking” è “no, ma anche sì”. Un po’ poco per definire la notizia “Fake news”.
Leone Grotti
Tempi.it, 8 aprile 2018