Ricorrenze secolari (in alcuni casi millenarie) che celebrano fondamenti antropologici universali cancellate da sbrigative circolari e giudizi sommari ad opera di minoranze aggressive con la connivenza di istituzioni e uffici pubblici.
Questa vicenda, presente su diversi media, entra nella scia di quella di altri fatti e soprattutto con il loro racconto: la “registrazione alla nascita” di figli di due padri o di due madri. E fa tornare alla mente altri conflitti consumatisi tra le mura di edifici scolastici e al centro di un’agguerrita opinione pubblica: il tempo di Natale è ormai lontano ma la memoria di quanto un presepe potesse risultare offensivo forse è ancora fresca. Il valore conteso è quello del rispetto per le diversità ma si vede come precipiti rapidamente nel suo opposto.
I fatti sono ricostruiti da chi è stato da subito interpellato perché quello che si presentava come un sopruso venisse denunciato e scongiurato: l’associazione Comitato articolo 26, una realtà di genitori, insegnanti, specialisti che promuove e difende il primato educativo dei genitori, sancito anche dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, all’articolo numero 26, appunto.
Primi di marzo, siamo a Roma, presso l’asilo nido Chicco di Grando a Roma, nel quartiere Ardeatino. L’avviso che invita i papà a festeggiare con i propri figli la festa a loro dedicata è già stato affisso, scritto a mano, in diligente corsivo, incollato su cartoncino blu e corredato di disegni allusivi al tema: tazza di caffè, pane e marmellata, cucchiaino, latte.
Tanti papà si saranno a quel punto già accordati con i colleghi, attingendo ai permessi un’ora di lavoro da dedicare a questa ricorrenza tenera, goffa il giusto che li avrebbe visti costretti su seggioline colorate e basse. Ci è facile immaginarci l’emozione dei bimbi che sarebbero stati incaricati di servire il caffè, porgere biscotti e -inevitabilmente – cantare canzoncine di benvenuto. Il solito scenario, da decenni.
Ma tutto questo non ha avuto luogo. Quale sarà stata la reazione dei bambini e dei loro papà? E’ lecito ipotizzarla e in parte prenderne atto se sul sito dell’associazione viene notificato che chi ha voluto fare colazione coi propri figli è stato costretto a cercare un bar. Il paradosso è che l’obiettivo dichiarato dell’abolizione unilaterale della ricorrenza è quello della serenità e del benessere dei bambini, tutti quanti.
Non ha avuto luogo per le pare irresistibili proteste di due uomini, una coppia omosessuale, all’interno della quale uno e uno solo è il padre del bambino che frequenta il Chicco di grano. A loro veemente dire quella festa è superata, “celebrazione di stereotipi di genere ormai sorpassati” , per fare finalmente avanzare il progresso.
La coordinatrice didattica ha stabilito che, nonostante la comprensibile delusione di alcuni genitori (sapranno capire, a mente fredda, si augura nel comunicato), né la festa del papà, da poco passata, né l’imminente festa della mamma avranno più luogo. E ora che vi esporremo le sue ragioni non potrete a vostra volta che entusiasmarvi per il nuovo che avanza: si farà una giornata di attività e laboratori per le famiglie, perché possano conoscersi.
La cosa è avallata con entusiasmo in una comunicazione della Direzione Socio Educativa del Municipio Roma VIII. Ovvero il soggetto istituzionale che ha il mandato di garantire il rispetto della legge in ambito scolastico e non di assecondare attese di minoranze fortemente ideologizzate a danno della stragrande maggioranza, anziché richiamare all’ordine tutti i contendenti, ratifica come cosa buona quella che è una vera prepotenza. Per non discriminare un bambino, o meglio gli adulti che se ne occupano, si mortifica un’intera piccola comunità di famiglie naturali, mamma, papà, figli.
Anche in quelle righe si legge la comprensione d’ufficio riservata ai genitori preoccupati (e perché mai?) ma si afferma che tutto è stato fatto bene, all’insegna del dialogo e dal punto di vista del benessere psicologico dei bambini perché non ci siano discriminazioni di sorta. Se facciamo mentalmente l’appello delle parole-chiave obbligatorie di questi tempi ci sono tutte o quasi.
Ma quale benessere potranno mai ricavare i bambini della sezione grandi dalla tensione creatasi tra la loro scuola e mamma e papà? Che spiegazione si saranno dati tra loro per giustificare tutta quell’agitazione intorno ad una cosa così normale? E il figlio orfano di madre che vive con due uomini (uno dei quali il padre) come si sarà sentito? Non credo che “incluso” sia la prima parola che gli sarà venuta in mente per descrivere la sua condizione. Per contro, leggendo la nota della coordinatrice didattica, dove comunica la simmetrica soppressione della festa della mamma dopo quella del papà e l’incombere di una giornata delle famiglie, immaginiamo l’euforia serpeggiare nei corridoi dell’asilo nido, le emoji tutte sorrisi, brindisi e cuori che rimbalzeranno nelle chat genitori di ogni sezione, l’attesa febbrile per la scoppiettante “giornata di attività e laboratori per le famiglie”.
Credo che a molti, proprio a ridosso di quella data, giungeranno inattesi quanto opportuni inviti a matrimoni di lontani cugini, improvvisi malori di qualche zia acquisita, repentini decessi di animali domestici. Sono cose che succedono spesso nelle famiglie vecchia maniera e fino a che non ci sarà stigma sociale per “le scuse più improbabili” potranno farvi ricorso genitori di ogni razza, sesso o religione, all’insegna delle pari opportunità per tutte le scuse del mondo.
Paolo Belletti
Aleteia, 30 aprile 2018