Il 1978, quarant’anni fa, fu ricco di avvenimenti anche dolorosi: tre papi, il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro, la legalizzazione dell’aborto, la legge 180 riguardante il malato psichiatrico su cui fermeremo la nostra attenzione.
Prima del 1978 la legge di riferimento per l’ammalato psichiatrico era la n. 36 del 14 febbraio 1904: “Disposizione sui manicomi e sugli alienati. Custodia e cura degli alienati” che reputava questi sofferenti pericolosi per sé e per gli altri. Di conseguenza, erano ricoverati nei “manicomi” connotati come “luoghi di contenimento sociale”; un carcere dove i malati di mente o presunti tali erano privati dei diritti civili e l’aspetto riabilitativo era solitamente assente. Tanti, ricordano queste strutture, e ne parlano con orrore essendo più simili a lager che a luoghi di cura e le condizioni di degenza erano degradanti e umilianti. Inoltre era diffusa l’idea che la malattia mentale fosse una lesione organica inguaribile, e di conseguenza, la vita di questi individui fosse più vegetativa che umana.
Nel 1978 fu approvata la legge 180 “Accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori”, definita anche “Legge Basaglia” e così, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, più di 100mila persone lasciarono i manicomi. Lo psichiatra F. Basaglia convinto che i manicomi non giovassero, progettò una nuova organizzazione dell’assistenza psichiatrica che superasse la “logica manicomiale” per aprirsi a quella riabilitativa, cioè all’insieme delle strategie rivolte a restituire o a fornire contrattualità sociale alle persone con problemi psichiatrici. Dunque, con la visione di Basaglia e di altri soggetti prevalentemente ecclesiali, la psichiatria riscoprì “i diritti” del malato mentale. Basaglia in uno scritto affermò: “Il manicomio, nato come difesa da parte dei sani contro la pazzia, sembra essere finalmente considerato il luogo dal quale il malato mentale deve essere difeso e salvato”. E, con la nuova normativa, si passò “dall’internamento” per ridurne la presunta pericolosità “alla cura” della malattia, alla riabilitazione e all’inserimento sociale. Inoltre, a questi cittadini, furono restituiti i diritti civili.
Come valutare la legge 180/78 a quarant’anni dall’entrata in vigore?
Mentre la legislazione fu rispettosa della dignità del malato psichiatrico e i progressi della neuropsichiatria individuarono terapie farmacologiche efficaci, l’assistenza a questi fragili e l’impegno per il loro graduale reinserimento in ambiti normali di vita e di relazione, in molti casi, fu ed è ancora oggi enormemente deficitaria per carenze di politiche a loro favore e di scelte ammnistrative confuse e inficiate, come in altri settori, da meschini giochi di potere. E anche nella seconda decade del XXI secolo il malato mentale è a volte ghettizzato e il binomio tra “malattia psichica” e “pericolosità sociale” non superato. Spariti i manicomi non è scomparsa la manicomialità come stile di avvicinarsi e rapportarsi con questi malati!
Cosa possiamo fare per questi “ultimi” della società?
Questi “strani” che notiamo per i loro “comportamenti originali” ci supplicano di adottare nei loro confronti il “metodo della dolcezza”, assumendo atteggiamenti positivi, superando l’irrazionale paura, mostrando disponibilità all’ascolto senza pregiudizi, aiutandoli a superare la solitudine. Ma, solamente occhi sensibili, ci consentiranno di immedesimarci nella loro interiorità e nella loro sofferenza; scorgeremo un’anima ferita che attende compassione e consolazione.
Don Gian Maria Comolli