Dal New York Times al presidente della Commissione Europea, tutti celebrano il bicentenario di Marx e la sua eredità intellettuale. Eppure nessuna delle previsioni di Marx si è avverata e l’applicazione della sua teoria ha portato dritti al totalitarismo comunista. Ne parliamo con Dario Antiseri, filosofo.
Possibile che anche il New York Times, punto di riferimento dei liberal americani, celebri i 200 anni della nascita di Marx con un editoriale in cui lo si tratta come un profeta? Possibile che anche il presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker (un Popolare) partecipi alle celebrazioni del bicentenario di Marx e ne difenda l’eredità intellettuale? Possibile che “Marx aveva ragione” o “ha previsto l’attuale crisi del capitalismo” e “fornisce gli strumenti per uscirne” siano frasi che sentiamo sulla bocca di economisti di grido come il francese Thomas Piketty o il greco Yanis Varoufakis?
La Nuova Bussola Quotidiana ne parla con Dario Antiseri. Filosofo, prima ordinario di Filosofia del Linguaggio all’Università di Padova, poi di Metodologia delle Scienze Sociali all’Università Luiss di Roma, già preside di Scienze Politiche nello stesso ateneo, è autore di uno dei più noti manuali di storia della filosofia che tutti abbiamo conosciuto dai tempi del liceo, scritto assieme a Giovanni Reale (1931-2014). Il Reale-Antiseri è stato tradotto in spagnolo, portoghese e da oltre 20 anni in russo. Di recente ne è apparsa una versione in lingua kazaka ed è in corso una traduzione in cinese. Il professor Antiseri ha fatto conoscere in Italia La Società Aperta e i suoi Nemici, libro paradigmatico del pensiero politico contemporaneo di Karl R. Popper (1902-1994). Ha introdotto successivamente buona parte dell’opera di Popper e del liberalismo classico contemporaneo. Dunque di un pensiero che non solo è fortemente critico, ma che costituisce l’antitesi del marxismo, per metodo e fini. “Popper sosteneva che i grandi uomini possono fare grandi errori. Lo diceva di Platone, ma è valido anche per Marx. Secondo Popper, il marxismo è la più pura, elaborata e pericolosa forma di storicismo, cioè della pretesa di poter predire il corso dell’intera storia umana”.
Professor Antiseri, allora Popper era un ammiratore di Marx?
No. C’è un riconoscimento dei meriti di Marx. Per Popper Marx ci ha aperto gli occhi su aspetti importanti della società, per questo non è possibile, a suo avviso, tornare ad una scienza sociale pre marxiana. Inoltre, per Popper, Marx era animato da una forte carica umanitaria. In ogni caso, le sue teorie fondamentali sono sbagliate. Cominciamo proprio dal materialismo storico: l’idea secondo cui (cito da Marx) “non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma, al contrario, è il loro essere sociale che determina la loro coscienza”. Questa idea, in senso lato, può anche essere valida, perché il molteplice rapporto fra struttura economica e mondo delle idee esiste, ma se si assume in modo dogmatico… diceva Max Weber (uno dei padri della sociologia, 1864-1920, ndr) che “la cosiddetta concezione materialistica della storia, nel suo senso genialmente primitivo, così come compare nel Manifesto del Partito Comunista, sopravvive soltanto nella mente di persone prive di competenze specifiche e di dilettanti”.
E per quanto riguarda la dialettica della storia?
Marx rovescia la dialettica di Hegel dal mondo delle idee a quello storico-sociale. E cosa ottiene? Una incontrollabile concezione metafisica della storia umana che sarebbe guidata da ineluttabili leggi di sviluppo – una metafisica che “interpreta” tutto e il contrario di tutto e che “non spiega scientificamente niente”. Inoltre, come precisato da Hans Kelsen (1881-1973), la dialettica di Marx non distingue i fatti dai valori, giungendo ad equiparare lo sviluppo della storia a una progressiva affermazione del Bene. Una specie di profezia politica, confusa con una previsione scientifica. “La dialettica è una delle credenze più fantastiche che Marx abbia mediato da Hegel” ha affermato Bertrand Russell. E per Lucio Colletti (1924-2001) “la dialettica è un pasticcio filosofico da scuola serale”.
I comunisti però ricordano, più che il materialismo e la dialettica, il motto “la proprietà è un furto”…
Per Marx, la proprietà privata è il male assoluto. Ma non ci volle molto a comprendere l’impossibilità di un sistema economico senza proprietà privata. L’economista Ludwig von Mises (1881-1973) ha fatto comprendere con chiarezza l’irrazionalità del sistema che abolisce la proprietà privata sui mezzi di produzione. Il calcolo economico, che mette a confronto investimenti e produzione, è possibile solo in un’economia di mercato. E ciò per la ragione che la base del calcolo economico è costituita dai prezzi. Dove non c’è proprietà privata e non c’è libertà di mercato, non c’è neppure più alcun meccanismo che consenta la formazione dei prezzi. Abolendo il mercato, il socialismo rende impossibile la soluzione dei problemi economici. Fra le conseguenze di questo sistema ci sono arbitrio e corruzione del sistema politico, distruzione delle risorse nazionali. L’abolizione del mercato è la via della fame.
Solo della fame?
Anche della schiavitù. Il comunismo, una volta applicato nella realtà, porta alla nascita di Stati con potere assoluto che regnano su popoli di schiavi. “Chi possiede tutti i mezzi, stabilisce tutti i fini”, ha affermato l’economista, premio Nobel, Friedrich von Hayek (1899-1992). Attenzione a questo punto: “Chi possiede tutti i mezzi, stabilisce tutti i fini”. Il controllo economico non si limita a un solo aspetto della nostra vita, ma si estende a tutti i mezzi coi quali possiamo raggiungere tutti i nostri fini. Sarà chi possiede tutti i mezzi a stabilire dunque quali debbano essere i fini della nostra vita, quali siano da considerarsi superiori e quali inferiori, a cosa credere e a cosa aspirare. A che vale scrivere su una Costituzione che c’è libertà di stampa, se poi tutte le cartiere e le tipografie appartengono allo Stato? E che senso ha declamare che c’è libertà di religione se tutte le chiavi di tutte le chiese sono possedute dal Comitato Centrale del Partito? Come diceva Agnes Heller, il comunismo equivale alla dittatura sui bisogni.
Ancora oggi, però, si dà per scontata la validità della teoria del valore-lavoro di Marx. Prova ne è che si continua a parlare in termini di “sfruttamento”, cioè di un lavoro pagato meno del suo valore oggettivo per permettere al datore di lavoro di arricchirsi.
La teoria del valore-lavoro è semplicemente un errore. Il valore di un bene non è dato dalla quantità di lavoro socialmente necessario alla sua produzione, bensì dalla sua scarsità e dalla preferenza dei suoi potenziali compratori. Su questo errore clamoroso, smentito dalla scienza economica, si fondano tutti gli altri, come l’abolizione della proprietà privata e del libero scambio. E quindi: fine della libertà.
Marxismo: è scienza o metafisica?
Benché contenesse spunti metafisici, quali il materialismo storico e il materialismo dialettico, il marxismo, afferma Popper, nacque come scienza, in quanto la teoria marxiana conteneva alcune previsioni controllabili. Prevedeva, ad esempio, che sarebbe scoppiata un’imminente rivoluzione, considerata come un evento necessario dello sviluppo storico. A un Partito Comunista sarebbe bastato attendere, al massimo rendere “le doglie di questo parto meno dolorose e più brevi”, come scriveva lo stesso Marx. La rivoluzione sarebbe scoppiata in un paese industriale avanzato. Questa previsione venne smentita dalla storia, assieme ad altre. I socialisti “revisionisti”, come Bernstein, lo capirono. Ma i marxisti ortodossi coprirono di ipotesi costruite ad hoc queste dure smentite della storia. “Il marxismo, una volta, fu scienza. Ma una scienza che ha coperto i suoi errori è terminata come una metafisica crudele”, ha scritto Karl Popper. La sua conclusione: “Il marxismo è morto di marxismo”.
Per i neo-marxisti contemporanei, però, stiamo vivendo oggi, anche se in ritardo, la crisi del capitalismo prevista da Marx.
Il capitalismo non è il paradiso, nessuno lo afferma. E non vanno coperti gli errori, né le brutture della sua storia. La questione, però, è: cosa scegliere al posto del capitalismo? Se elimini una società strutturata sul libero mercato che cosa ottieni? Un sistema totalitario. Certamente il mercato, per funzionare, deve essere ben regolato. Ma, abolendolo, proviamo a pensare a cosa si arriverebbe. E’ questa la domanda che ci si deve porre e che invece i neo-marxisti non si pongono. Dobbiamo vedere a cosa ha portato l’applicazione delle teorie marxiste nella pratica. Pensiamo a Lenin: il suo era marxismo ortodosso. Ha creato un sistema totalitario, prima applicato alla Russia poi a un terzo del mondo: un ergastolo a cielo aperto, una fonte di sofferenza e di miseria per milioni e milioni di uomini.
Si dice anche che i regimi comunisti non c’entrano nulla con Marx
Basta leggere Lenin per smentire questa giustificazione. Per Lenin la coscienza politica si identificava con la dottrina marxiana e questa era la dottrina ufficiale del Partito rivoluzionario. Lenin definiva la teoria marxiana “onnipotente perché giusta” e il Partito diventa “custode della sua purezza”. Inoltre “ogni diminuzione dell’ideologia socialista, ogni allontanamento da essa, implica un rafforzamento dell’ideologia borghese”. E la borghesia, per Lenin, andava eliminata con la violenza. Le purghe in Russia, lo sterminio per fame in Ucraina: furono tragedie immani. Nei Compiti delle associazioni giovanili, Lenin scrisse, nel 1920: “La nostra morale è in tutto e per tutto soggetta all’interesse della lotta di classe del proletariato. La lotta di classe è continua e il nostro compito è quello di subordinare a questa lotta tutti gli interessi. Non bisogna accarezzare la testa di nessuno: potrebbero morderti la mano. Bisogna colpirli sulla testa, senza pietà”.
Però molti ancora l’ammirano…
Ecco, diciamo che di tutti questi ammiratori del paradiso comunista, nessuno ha voluto abbandonare l’inferno capitalista. Si vede che quel caldo piace loro particolarmente.
Stefano Magni
La Nuova Bussola Quotidiano, 6 maggio 2018