In marzo era scoppiata una bufera per un tweet di Planned Parenthood che chiedeva alla Disney di inserire nei prossimi film principesse “che hanno abortito”. E anche gay, lesbiche, sindacaliste, immigrate clandestine e tutto il campionario progressista. Passata la bufera, resta la pressione sulla grande fabbrica di sogni americana.
C’era una volta una principessa, anzi più di una. Un bel dì, dalle belle fiabe di una volta le principesse traslocarono nei lungometraggi della Disney e fu tutto uno sfoggio di strascichi e scarpette, animaletti festanti dei boschi, topini factotum, castissimi principi azzurri in trepida attesa del bacio del vero amore. Ma nell’ombra tramavano in agguato la matrigna rancorosa, la strega malefica, l’orco cattivo. Di solito nelle fiabe finisce che l’ombra del male si fa passeggera, i buoni vincono, e tutti vissero felici e contenti. Una volta, però. Adesso invece le principesse candide debbono fare la vita e marciare al passo dell’oca coi tempi. Per esempio abortendo. No, non è un incubo: è esattamente quello che vuole la Planned Parenthood, il più famoso e famigerato abortificio del mondo tra l’altro pizzicato con le dita nella marmellata a commerciare sottobanco i tessuti umani ricavati dalla mattanza.
Una sua branca, la Planned Parenthood Keystone di Trexlertown, in Pennsylvania, il 27 marzo ha stuprato il cinguettio degli uccellini di Biancaneve distorcendoli in un tweet così: «Abbiamo bisogno di una principessa Disney che abbia abortito. Abbiamo bisogno di una principessa Disney favorevole all’aborto. Abbiamo bisogno di una principessa Disney che sia un’immigrata clandestina. Abbiamo bisogno di una principessa Disney che sia un’operaria sindacalizzata. Abbiamo bisogno di una principessa Disney che sia un trans».
La tiritera interviene a gamba tesa in un trend oggi popolare sul web. In gergo si chiamano snowclone e sono dei template di frasi usate per certi tipi di meme costruiti rimpiazzando alcune parole con altre onde produrre significati surreali in una filastrocca ripetitiva e monocorde. Li potremmo chiamare variazioni su tormentone fisso. In questo caso il tormentone proposto è “We need a Disney princess, appunto “Abbiamo bisogno di una principessa Disney”, a cui quelli che evidentemente durante il giorno hanno ben poco da fare attaccano ogni rigurgito gli passi a tiro. Di fatto gli snowclone li ha però inventati senza saperlo Lino Banfi negli anni 1970 interpretando il brigadiere Pasquale Zagaria, barese, il quale la parola d’ordine «Pare che il pompelmo faccia male» la storpiava in «Pere che il pompelmo faccia mele». Purtroppo però stavolta non c’è proprio nulla da ridere. Gli abortisti della Pennsylvania sognano davvero di adulterare i sogni dei più piccoli con unghiate di questo tipo. Sintomatico tra l’altro che gli abortisti della Pennsylvania mettano tutto assieme, aborto, immigrazione clandestina, sinistrismo e omosessualismo dando paradossalmente ragione a noi antiabortisti della Lombardia che non da oggi lo diciamo e lo ripetiamo.
Solo che a tirarle troppo poi finisce che ogni tanto le corde si spezzino. Dopo il tweet malvagio, i disneyani della rete sono infatti insorti. Tanto che l’ufficio centrale della Planned Parenthood ha dovuto fare dietrofront imponendo la cancellazione del messaggio infame.
Tutti è dunque bene quel che finisce bene? Nelle belle fiabe di una volta sì, ma oggi non c’è da giurarci. Perché intanto la bandiera è stata alzata. Scommettiamo che di qui a qualche tempo qualcuno realizzerà quell’idea malsana? Magari non sarà targata Disney, magari non sarà una principessa, ma l’enorme potere economico che la Planned Parenthood sa smuovere non farà certo fatica a trovare il personale adatto.
Del resto, qualche giorno prima, il 1° marzo, la Planned Parenthood dell’Indiana e del Kentucky ha lanciato un altro tweet con la frase «Alcuni uomini hanno l’utero» ripetuta 11 volte. E la lobby LGBT sta premendo da un paio d’anni proprio sulla Disney affinché nel sequel di Frozen. Il regno di ghiaccio (2013), il film animato campione assoluto d’incassi ispirato dal buon vecchio Hans Christian Andersen (1805-1875), che parrebbe in cartellone per quest’anno, Elsa, la regina dell’immaginario regno di Arendelle, la bellissima protagonista del lungometraggio segnata da un destino insolito che rischia di travolgerla, giustamente ammirata e amata dalle più piccole (e anche da qualche grande intelligente) come fulgido esempio di generosità e altruismo, tentata profondamente dal male ma capace coraggiosamente di vincerlo in un contesto dove trionfano l’amore puro e il senso della famiglia (e finalmente qualche ottima gag degna di un bel cartone animato, oltre a disegni sontuosi e a colori sgargianti), si riveli essere lesbica. La Disney sembrerebbe già piuttosto convinta.
L’allarme era del resto già scattato nel 2016, quando sembrava che Alla ricerca di Dory mostrasse una coppia lesbica: due donne che spingono un passeggino. Magari sono amiche o sorelle. Magari. Per la Disney infatti ognuno è libero di vederci quel che vuole, perché, come ha detto il regista Anmdrew Santon, «non c’è una risposta giusta e una sbagliata». Insomma, si tratta solo di pasturare ancora il pubblico e alla fine pagheranno pure il biglietto facendo la fila. La caccia morbosa ai più piccoli è aperta da un bel po’.
Marco Respinti
La Nuova Bussola Quotidiano, 10 maggio 2019