La senatrice del Pd invoca (di nuovo) la censura per un manifesto che osa criticare l’interruzione di gravidanza: è «mistificazione», dice. Ma senti chi parla.
Dispiace dover tornare a occuparci della libertà di espressione, che purtroppo per Monica Cirinnà comprende anche la libertà di dire tutto il peggio possibile dell’aborto e perfino della legge 194 che lo ha legalizzato in Italia. Evidentemente, però, il caso del manifesto di ProVita fatto rimuovere a Roma un mese fa dalla giunta Raggi tra le grida di esultanza di molti sedicenti paladini di vari “diritti”, non è servito da monito contro la censura del dissenso verso il mainstream. Se mai ha avuto l’effetto contrario. Infatti ieri la Cirinnà e altri personaggi e gruppi a lei ideologicamente affini non si sono fatti problema a chiedere la rimozione di una nuova campagna contro l’aborto, questa volta firmata dagli attivisti pro-life di CitizenGo, che in vista del quarantennale della 194 (22 maggio) e della prossima “Marcia per la vita” in programma nella capitale (19 maggio) hanno osato ricordare sui loro manifesti che «l’aborto è la prima causa di femminicidio nel mondo».
Non meritano più di una menzione per pigrizia mentale o per ottundimento intellettivo i giornali che titolano unanimi al «manifesto choc» e definiscono i promotori della campagna «estremisti prolife», così come gli hater di Twitter (come qualificarli altrimenti?) che hanno “cinguettato” a CitizenGo carinerie tipo questa: «Ma andate a farvi ricoverare! Le vostre madri avrebbero dovuto abortirvi per avere un mondo migliore! L’Italia ha una legge che consente l’aborto, la dovete rispettare! Finché un nascituro non parla è solo un pezzo di carne, una propaggine di un corpo. Sì a controllo nascite!».
Scemenze e banalità a parte, quello su cui qui bisogna purtroppo soffermarsi un attimo è la sicumera con cui una senatrice del Pd invoca – di nuovo – l’oscuramento di un pensiero diverso dal suo. Una censura tira l’altra, evidentemente. E così, dopo il caso di ProVita, sembra già quasi “normale” chiedere, come ha fatto la Cirinnà nel suo comunicato, l’«immediato intervento delle istituzioni, a partire dall’Autorità delle Comunicazioni, per rimuovere subito i manifesti» di CitizenGo.
Ma ad aggravare la pretesa è l’argomentazione utilizzata per giustificare l’auspicato intervento dell’Agcom: quei manifesti vanno strappati, secondo la Cirinnà, perché diffondono «false informazioni». Accusa che, per inciso, regala non poche suggestioni inquietanti a riguardo del reale obiettivo della guerra alle cosiddette fake news annunciata dal partito di Renzi e mai portata a termine (per fortuna, a questo punto). Comunque, quali sarebbero le presunte «false informazioni» propalate dai manifesti di CitizenGo? Eccole, nelle parole di Monica Cirinnà:
«Tale campagna si basa su assunti completamente infondati. Le interruzioni di gravidanza in Italia sono tra le più basse in Europa e in costante calo da dieci anni. Accostare, poi, un diritto delle donne a una violenza come il femminicidio è quanto di più disgustoso possa essere fatto. È necessario che, su temi così delicati e dolorosi, nessuno spazio venga concesso alla mistificazione».
Se è permesso un consiglio non richiesto, meglio farebbe la Cirinnà a trovare il coraggio di chiamare le cose con il loro nome: lasci perdere la scusa della «mistificazione», l’unico fine che potrebbe credibilmente giustificare la rimozione di quei manifesti è un desiderio di censura arbitraria. La senatrice dia retta: dica la verità, spieghi piuttosto che su certi temi, per una certa sinistra, è ora di vietare ogni pensiero fuori dalle righe, punto. Avrà magari una qualche eco vagamente sovietica, ma sarà sempre meno pericoloso che armeggiare con un tema sdrucciolevole come quello delle «false informazioni».
Volendo proprio misurarsi sulle «mistificazioni», infatti, l’argomentazione della Cirinnà sarebbe di per sé un piccolo manuale di fake news. Per esempio, che cosa c’entra con il messaggio «choc» di CitizenGo il fatto che «le interruzioni di gravidanza in Italia sono tra le più basse in Europa e in costante calo da dieci anni»? Dicesi “tentativo di sviare l’attenzione”, un autentico classico tra gli specialisti delle «false informazioni». È vero o non è vero che nel mondo (Cina, India, eccetera) mancano all’appello un sacco di donne a causa dell’aborto selettivo che serve proprio a fare fuori le femmine in quanto femmine? O quando si parla di femminicidio si intende solo l’uccisione di femmine dotate di parola?
E ancora: per quanto la Cirinnà possa avere gusti distanti da quelli di chi osa accostare pubblicamente l’aborto al femminicidio, in quale legge l’ha trovato scritto, la senatrice, che l’aborto in Italia è «un diritto delle donne»? Dicesi “bugia”, altra raffinata tecnica che va per la maggiore tra i bufalari del pianeta. Dal punto di vista normativo (la pratica purtroppo è tutto un altro discorso, in barba alla legge), perfino un giudice laicissimo e di curriculum europeo come Vladimiro Zagrebelsky è intervenuto in difesa della libertà di dissentire quanto si vuole sull’aborto, anche perché in Italia «non esiste un diritto rimesso alla sola scelta della donna».
Che pensare poi dell’appello della Cirinnà a «tutto l’arco parlamentare, ad iniziare dalle forze che intendono costituire il prossimo governo e da tutte le donne presenti in parlamento e nelle istituzioni», affinché «vogliano difendere una legge dello stato che garantisce libertà delle donne, indipendentemente dalla propria morale»? Dicesi “ipocrisia”. C’è forse bisogno di ripescare per l’ennesima volta gli spottoni della madrina politica delle unioni civili a favore dell’utero in affitto, pratica notoriamente vietata da una legge dello stato che si dovrebbe difendere «indipendentemente dalla propria morale»?
Insomma, ammesso e non concesso che la diffusione di «false informazioni» rappresenti un motivo sufficiente per invocare un «immediato intervento delle istituzioni» e la censura da parte dell’Agcom, probabilmente la prima persona da imbavagliare sarebbe Monica Cirinnà.
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Ps. È quasi marginale notare come la campagna di CitizenGo sia una evidente provocazione. Dicesi “provocazione” quel tipo di messaggio studiato appositamente per «risvegliare le coscienze» – come direbbero gli «estremisti prolife» – su un determinato tema sensibile. Una provocazione, per esempio un manifesto che imputi all’aborto molti casi di femminicidio, può piacere o non piacere, ma dal punto di vista della mera tecnica della comunicazione essa risulterà tanto più riuscita quanto più il politico di turno reagirà sconsideratamente invocando la censura e così confermando il sospetto che su quel determinato tema sensibile si stia effettivamente tentando di nascondere qualcosa alle coscienze delle persone. D’altro canto, se l’obiettivo fosse censurare tutte le provocazioni ritenute «disgustose» da questo o quel senatore, sarebbe bello lungo l’elenco dei manifesti da strappare, no?
Pietro Piccinini
Tempi.it, 15 maggio 2018