Alcuni soldatini e un cuore blu sulla piccola bara bianca e, sul tetto del carro funebre, due scritte composte con i fiori che dicevano ‘guerriero’ e ‘nostro eroe’: in questo modo i genitori di Alfie Evans, morto il 28 aprile scorso all’ospedale Alder Hey di Liverpool, dopo aver respirato oltre quattro giorni da solo dopo il distacco del ventilatore, hanno dato l’ultimo addio al loro figlio con un funerale a cui sono stati ammessi soltanto parenti stretti e gli amici più cari, ma alla fine partecipato da molta gente che ha riempito le strade vicino a Goodison Park, come ha detto l’ispettore della polizia di Liverpool, Chris Gibson.
Partendo proprio dalla vicenda di Alfie alla neo presidente del Movimento per la Vita, Marina Casini Bandini, bioeticista all’Istituto di Bioetica e Medical humanities dell’Università Cattolica di Roma, abbiamo chiesto di spiegarci il confine tra cura ed accanimento terapeutico:
“L’accanimento terapeutico comporta un attento esame ‘al letto del paziente’ ed è quella situazione in cui un trattamento risulta tecnicamente sproporzionato (in base al giudizio medico) e straordinario (secondo il prudente giudizio del paziente nel senso che non deve comportare per lui un pesante aggravio fisico o psicologico). Si faccia attenzione: il doveroso rifiuto di accanimento terapeutico non deve essere mai un alibi per giustificare scelte eutanasiche. Ciò che è invece, clinicamente proporzionato e ordinario rientra nella cura. Se poi pensiamo alla cura nell’accezione del ‘to care’, cioè come ‘prendersi cura’, allora questa deve essere mantenuta sempre come espressione della dignità della vita umana indipendentemente dalle condizioni concrete in cui essa si trova. Nel caso di Alfie oltre al profilo eutanasico vi è un aspetto ancora più grave: lo Stato si è sostituito ai genitori, pretendendo di ergersi a padrone della vita e della morte, probabilmente anche per ragioni economiche”.
Il 22 maggio in Italia ricorrono i 40 anni della legge 194: è riuscita ad ottenere gli scopi che si proponeva?
“La legge 194 è totalmente iniqua non solo perché offende la vita, ma anche perché offende la verità. Il suo scopo reale è consentire la libera scelta della donna, cioè introdurre il ‘diritto di aborto’, ma la legge inganna, perché maschera questo obiettivo: pone nel suo titolo la difesa della maternità; dichiara di tutelare la vita umana fin dal suo inizio; in apparenza segue il criterio dello ‘stato di necessità’ indicato dalla Corte Costituzionale nel 1975, ma nella sostanza lascia alla donna la libertà di abortire riducendo il controllo medico alla verifica dello stato di gravidanza. Si può dire perciò che l’attuazione della legge è stata conforme alla volontà reale della legge”.
In questi anni quanto è stato compiuto per adempiere i compiti prescritti nell’art. 1 della legge?
“Praticamente nulla, proprio per il carattere menzognero della legge. L’unica parte della legge che avrebbe potuto limitare l’aborto è quella che riguarda i consultori familiari.
Ma il principio di autodeterminazione della donna accolto come ispiratore della legge, ha trasformato la maggior parte dei consultori da strumento di aiuto alle maternità difficili o indesiderate in luoghi di accompagnamento verso l’aborto al punto che se ne vorrebbero estromettere i medici obiettori di coscienza e si pretende di trasformare alcuni consultori in ambulatori dove praticare l’aborto chimico.
Pertanto, qualora risulti politicamente impossibile cambiare integralmente la legge, sarebbe urgente modificare senza equivoci la funzione consultoriale rendendola esclusivamente alternativa all’aborto anche nei casi di gravidanza difficile e non desiderata”.
Le interruzioni volontarie di gravidanza sono in diminuzione, ma in aumento tra le minorenni: in quale modo comunicare il valore della vita?
“E’ dubbio che l’uccisione dei figli nella fase prenatale sia diminuita, comunque se fosse vero non è merito della legge. Bisogna considerare che il crollo delle nascite ha diminuito quasi del 40% le donne italiane in età feconda e che la cosiddetta contraccezione di emergenza (404.000 confezioni erogate nel 2016, secondo i dati ufficiali) ha moltiplicato gli aborti precocissimi, tanto clandestini da non essere conoscibili.
Infatti, se il concepimento è avvenuto l’embrione non viene accolto nell’utero come dimostrato dai più recenti studi internazionali, dal Comitato Nazionale per la Bioetica e dall’Istituto Superiore di Sanità. L’esperienza di 200.000 bambini aiutati a nascere dai centri di aiuto alla vita prova che il massimo elemento di prevenzione dell’aborto è il riconoscimento che nel seno materno vi è un figlio, un essere umano, uni di noi.
Questo dato culturale non è certo il risultato della legge, ma della tenacia con cui la Chiesa e il popolo della vita hanno testimoniato l’identità umana del concepito. La stessa cosa dovrebbe fare lo Stato se vuole essere rispettoso della scienza e dei diritti umani. Comunque è urgente un’educazione dei giovani che mostri lo stretto collegamento tra sessualità e amore e tra amore matrimonio e famiglia anche descrivendo la meraviglia della vita umana sempre meritevole di ammirazione, stupore, rispetto, accoglienza, amore”.
Di Simone Baroncia
ACI Stampa, 17 maggio 2018