Preoccupano i dati diffusi alcuni giorni fa dall’Agenzia Italiana per il Farmaco che evidenziano che negli ultimi cinque anni il “consumo di antidepressivi” ha coinvolto un italiano su cinque compresi giovani e adolescenti. Approfondendo il problema notiamo che la criticità è ancora maggiore, poiché in Italia nel 2017 sono state vendute 128 milioni confezioni di prodotti antidepressivi, ansiolitici, sedativi e tranquillanti per ridurre l’ansia e anche le sue manifestazioni fisiche. E’ questo un fenomeno che interessa non solo l’Italia ma tutti i Paesi ricchi, e i fattori scatenanti sono genetici, psicobiologici, ambientali e sociali. Inoltre, i ritmi “della vita moderna” sempre più frenetici e le ampie e rapide trasformazioni societarie che richiedono un vasto uso di risorse mentali e un sovraccarico emotivo peggiorano ulteriormente la situazione.
I dati riportati ci fanno affermare che molti, non accusano “patologie particolari”, ma hanno sentore di essere “malati”, affaticati di fronte alla vita e di conseguenza manifestano anche scarso amore per la loro esistenza come affermò papa Benedetto XVI citando “una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della ‘bontà della vita’ ”(Lettera alla diocesi di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008). Esaminando i vari malesseri esistenziali, l’insoddisfazione e la tristezza che accompagnano i giorni di molti, mostrando l’ “oggi” insignificante come lo era il giorno di “ieri”, si ripete la situazione riportata nel Libro del Qoèlet: “Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità, tutto è vanità. (…) Perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare i suoi beni a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e grande sventura. Allora quale profitto c’è per l’uomo in tutta la sua fatica e in tutto l’affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questo è vanità!” (1,2; 2,21-23).
Come superare queste pesanti situazioni esistenziali recuperando il ben-essere, cioè la “la felicità e gioia del cuore”, e di conseguenza una visione positiva del vivere? Oggi, la salute, non è più percepita come assenza di patologie ma coinvolge le dimensioni psichiche e spirituali della persona, estendendosi all’ambiente fisico, affettivo, sociale e morale in cui la persona vive e opera”. Possiamo perciò definirla come “totale armonia con se stessi”, quindi la “convergenza” di stili di vita, di atteggiamenti e di vissuti interiori.
Come raggiungere questo stato esistenziale che l’uomo, magari anche inconsciamente, desidera? Lo suggerisce il Salmo 90 parlando di “sapienza e di saggezza del cuore”. Chi è il saggio? Il “saggio” è colui che è soddisfatto di ciò che possiede. E’ colui che si rallegra delle realtà semplici e genuine. E’ colui che nota il bene, il bello e il buono anche velato. E’ colui che tollera i contrasti e i disagi con fortezza e fermezza. E’ colui che è fedele alla verità e alla giustizia con una coerenza che non conosce compromessi essendo esigente prima con se stesso e poi con gli altri.
Unicamente la persona pervenuta “a questa libertà” valorizzerà la vita nella sua straordinaria bellezza e saprà dominare le difficoltà, i contrasti, i disagi che la quotidianità riserva.
Don Gian Maria Comolli