Nasce a Rezzanello di Gazzola, in provincia di Piacenza, il 9 dicembre 1940, ultima di tre figli. A dieci anni si trasferisce a Sesto San Giovanni (Milano) dove la famiglia apre un negozio di frutta e verdura. Il 5 maggio 1963 fa il suo ingresso tra le Missionarie della Consolata mentre la prima professione religiosa è del novembre 1965; sette anni dopo – in Kenya, dove arriva nel ’70 – emette la professione perpetua.
Una donna che guardava al futuro. Una donna con un cuore “extralarge”. Una donna del dialogo. Sono alcuni dei tratti distintivi della personalità di suor Leonella Sgorbati, missionaria della Consolata, uccisa il 17 settembre 2006 a Mogadiscio e che sarà beatificata domani, sabato 26 maggio, nella cattedrale di Piacenza. Il card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, presiederà la messa e userà il pastorale del beato Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza dal 1876 al 1905.
“Nei trent’anni in cui è stata in Kenya, Leonella ha fondato diverse scuole per dare un futuro ai giovani. La stessa cosa ha cercato di fare in Somalia, in un ambiente molto più complicato. Era molto attenta alle necessità di tutti, data la sua mole dicevamo che aveva un cuore ‘extralarge’. I suoi alunni erano incantati dal modo in cui li seguiva, l’adoravano, le volevano bene come a una mamma. Per questo la sua vita era a rischio a Mogadiscio: avevano paura che lei facesse proselitismo”. È suor Renata Conti, consorella e postulatrice della causa di beatificazione di Leonella, a tratteggiare la figura della martire. Le due donne si sono conosciute a fine anni ’80 e incontrate più volte.
“Sapeva di essere in pericolo ma non si è mai ritratta dal cammino intrapreso per seguire il Signore, aveva raggiunto un alto grado di comunione con Dio – lo posso dire avendo letto i suoi diari -. Era una persona tutta d’un pezzo che si era donata al Signore. È una gioia immensa vederla proclamata beata”.
Suor Leonella – al secolo Rosa Maria Sgorbati – nasce a Rezzanello di Gazzola, in provincia di Piacenza, il 9 dicembre 1940, ultima di tre figli. A dieci anni si trasferisce a Sesto San Giovanni (Milano) dove la famiglia apre un negozio di frutta e verdura. Il 5 maggio 1963 fa il suo ingresso tra le Missionarie della Consolata mentre la prima professione religiosa è del novembre 1965; sette anni dopo – in Kenya, dove arriva nel ’70 – emette la professione perpetua.
“Quando era nella équipe direttiva della conferenza delle religiose del Kenya ha voluto che fossero rivisti i salari delle persone che lavoravano negli ospedali, perché fosse riconosciuto loro il giusto compenso e avessero un lavoro dignitoso. È per questo che dico di pregarla, di chiedere la sua intercessione per situazioni lavorative complicate e per le difficoltà. Lei faceva di tutto per trovare sempre una soluzione”.
Il 18 aprile 2002 Leonella sbarca a Mogadiscio. Una sera di maggio 2006 suor Renata la incontra: “Mi raccontava la situazione della Somalia e mi diceva quella frase che ormai è famosa per chi conosce la sua storia: ‘ci sarà una pallottolina anche per me’. Le ho detto di non scherzare su queste cose ma lei era convinta. Pur essendo cosciente del rischio che correva non si è mai tirata indietro. Le ho consigliato di venire via per un po’ ma mi ha risposto: ‘non posso tradire questi giovani, lasciare le sorelle da sole, tradire la mia vocazione’. La paura c’era ma andava avanti con il sorriso, con la forza dell’amore per il Signore”. Anche il 17 settembre 2006 quando sette proiettili la raggiungono mentre dall’ospedale pediatrico torna a casa accompagnata dalla guardia del corpo Mohamed Mahamud, musulmano, ucciso insieme a Leonella. “Questa suora, che serviva i poveri e i piccoli in Somalia, è morta pronunciando la parola ‘Perdono’: ecco la più autentica testimonianza cristiana, segno pacifico di contraddizione che dimostra la vittoria dell’amore sull’odio e sul male”, le parole di papa Benedetto XVI nella preghiera dell’Angelus il 24 settembre 2006. Lo conferma anche suor Renata: “Era una donna del dialogo.
Credeva che le religioni potessero convivere.
Oggi continuerebbe a dire che è possibile andare d’accordo, darsi una mano per cercare il bene dell’uomo. Non dobbiamo chiuderci ma fare ponti come insegna papa Francesco”. E un ponte le suore della Consolata keniane lo hanno già costruito con l’Asia: sono missionarie in Mongolia e presto sbarcheranno in Kirghizistan. “La terra che il fondatore ha sognato può dare molto a tutta la Chiesa. L’Africa corre più di noi!”, conclude suor Renata.
Matteo Billi
SIR, 25 maggio 2018