Margherita Montano è una giovane donna che da diversi anni convive con la malattia: un cancro parafacciale sagittale al cervello ed un tumore all’ipofisi. Patologie serie che mettono a dura prova il corpo e l’anima. Eppure Margherita non ha perso la speranza. Pur tra le mille difficoltà della vita quotidiana lotta e resiste. Soprattutto grazie alla sua grande fede. L’abbiamo intervistata per “rubare” un po’ della sua forza.
Margherita, che cosa hai pensato quando hai scoperto la tua malattia? Hai avuto paura?
No. Quando l’ho scoperto ho chiesto a Dio: perché? Poi, nel decorrere della malattia, ho compreso quando questo percorso sia stato importante per me. Ho la grazia di vivere la grazia. Non provo rabbia nei confronti del Signore, né invidia nei confronti del mio prossimo, forse più sano e felice di me. Io mi sento serena di una pace “non mia”. Nei momenti duri da affrontare a livello medico la preghiera mi aiuta molto. Non faccio affidamento solo sulla mia preghiera, ma soprattutto su quella delle persone che mi vogliono bene.
Quando è importante la fede nella tua vita?
La fede nella mia vita è stata importante fin dalla mia nascita e ancor prima nei miei genitori. Sono nata da una coppia cui avevano detto che non avrebbe avuto figli. Un giorno a San Giovanni Rotondo, grazie all’amicizia di un frate, pregarono nella stanza non ancora sigillata di Padre Pio. E chiesero la grazia di poter avere un figlio.
Dopo poco tempo arrivai io. La mia famiglia era molto religiosa, i miei genitori pregavano la liturgia delle ore. La sera mi addormentavo con la nonna recitando il rosario. Tutti gli anni si andava in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo per ringraziare padre Pio. Io lo chiamo “padre” perché per me è davvero come un papà. Il mio cuore era pieno di fede.
Molto importante dopo la mia malattia fu il pellegrinaggio a Medjugorje. Andai lì non per chiedere la guarigione, ma la pace e la serenità.
Dissi al Signore: non voglio segni, ma solo la grazia di ricevere la pace per affrontare tutto. Fu proprio a Medjugorje che salendo il Podbrdo decisi di togliermi le scarpette. Non era un voto, né tantomeno un gesto per essere guardata o ammirata. No. Ho semplicemente voluto mettermi a nudo innanzi a quel cammino, salendo fin su dove mi attendeva la mamma celeste.
Misi le scarpette nello zainetto ed iniziai a camminare scalza pregando con il cuore. Mi sentii chiamare “Margherita”. Non era una voce umana. Era la voce di Gesù, di una meraviglia e di una dolcezza unica, piena di misericordia e di tenerezza.
Quella voce mi ha rimpastato il cuore. Mi ripeto spesso: se solo il mondo potesse udirla…
Da quel giorno fui avvolta da un amore unico, indescrivibile. Sentivo che egli camminava accanto a me, ancor di più sentivo che egli camminava attraverso il mio cuore. Egli pulsa nel mio cuore, respira in esso. Un piccolo tabernacolo attraverso il quale Egli attraversa la quotidianità, la Gerusalemme di oggi.
Lasciami camminare. Cammina con me.
La fede ti aiuta ad affrontare la malattia ?
Sì, molto. È quel sapermi amata, quel sapermi non sola, quel crescere nella Parola. È scoprire che quel battito cardiaco non è solo umano – fisico ma è un muscolo dell’ anima, è la presenza di Cristo. Sperimento quando sia bello farlo splendere attraverso il mio volto e attraverso il mio cuore.
Fede e medicina. Due percorsi paralleli?
La fede aiuta molto la medicina. I medici toccano in noi la carne di Cristo. Toccano la fragilità della sofferenza, ma in essa anche forza della fede. C’è un passo della seconda lettera di San Paolo ai corinzi che dice: «quando sono debole, è allora che sono forte».
La medicina deve aiutare a lenire le sofferenze e deve riconoscere in esse l’umanità di Cristo. Noi siamo l’estensione visibile del Risorto. Fede e medicina: entrambe sono dei doni…
Nella tua vita c’è stata anche una rinascita nella fede…
Posso dire che sono sempre vissuta nel Signore. Grazie alla mia famiglia e ai miei nonni che hanno mantenuto accesa la luce delle promesse fatte nel giorno del mio battesimo.
Tuttavia credo di essere rinata nella fede ancor di più attraverso la sofferenza. Attraverso di essa ho compreso l’immenso amore di Cristo, attraverso di essa ho ripercorso la sua passione e la sua resurrezione.
Quante resurrezioni nella mia vita. Nelle nostre vite! Ma solo ora sento il profumo unico di Cristo.
Solo ora posso dire: il carico è leggero ed è dolce.
Che cosa vorresti condividere con chi lotta con la malattia?
Vorrei dire tanto, ma poi bastano poche parole.
La vita è un grande dono di Dio. È lui a scrivere. A noi basta dire il nostro sì, il nostro “eccomi”. Come la mamma celeste, assieme a lei che restò sotto alla croce fino all’ultimo.
Il loro amore non ci lascia mai orfani , mai soli , anche in quei silenzi dove non troviamo risposte, anche in quelle preghiere dove umanamente ci sentiamo soli. Ma non lo siamo mai perché siamo stati creati per amore e per amare.
Patrizio Righero
Vita Diocesana Pinerolese, 25 Maggio 2018