Il ministro Fontana è stato giudicato “omofobo” per aver difeso il diritto dei bambini ad avere un padre e una madre. Ma perché nessuno ascolta chi è cresciuto nella lobby Lgbt? Millie domanda: «Ero omofoba quando mi chiedevo dove fosse mio padre? Ero razzista quando soffrivo? Non lascerò che chi si mobilita per gli innocenti sia definito tale».
Katy Faust si ricorda di quando, «pensando che questo era il modo per amare mia mamma e la sua “partner”, si diceva d’accordo con il cosiddetto matrimonio fra persone dello stesso sesso, finché crescendo «ho capito che potevo volere loro bene anche non essendo d’accordo circa il ruolo che la politica gioca nelle nostre vite. Se la legge sul matrimonio riguarda solo i sentimenti degli adulti, non c’è ragione di vietarlo…ma l’interesse del governo deve essere per i bambini». Perciò una legge a favore di queste unioni «è un’ingiustizia», ma non è stato facile ammetterlo a se stessa e davanti a sua madre. Faust soffriva per la mancanza della figura paterna ma non lo aveva mai rivelato prima «perché il mondo diceva che se non ero a favore del “matrimonio” gay significa che li [le persone con cui viveva] odiavo, è l’unica cosa che senti dire da una cultura che ti intimidisce per farti stare in silenzio».
Basti pensare a quanto subìto dal ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, per aver detto che le famiglie arcobaleno non esistono, dato che ne esiste solo una naturale. Prendiamo ad esempio Monica Cirinnà, madre italiana della legge sulle unioni civili, che sognava di giungere presto al cosiddetto matrimonio Lgbt con figli e che si è rivolta a Fonata così: «Ha scritto: “Mi batto per la normalità”. Anche l’uso della parola normalità è inquietante. Che cos’è normale?…Ma qual è il suo modello? Bianchi, cattolici, nordici, ricchi, sposati?», dandogli praticamente del fascista, per poi far leva sul sentimento parlando degli orfani a cui basterebbe l’”amore”. Eppure Faust non è l’unica ad aver parlato in America, dove la pratica della fecondazione eterologa si diffondeva già anni fa e dove i bambini privati del padre e della madre sono orami cresciuti.
Anzi le loro testimonianze aumentano, basti pensare alla storia riportata l’anno scorso dal Daily Mail di Millie Fontana, oggi 25enne, che due anni fa decise di intervenire nel dibattito sui diritti civili in America. Concepita tramite un “donatore”, come si dice in politicamente corretto, spiegò davanti ad una platea tremando: «Questa è una testimonianza sicuramente inaudita, perché nessuno vuole sentire parlare dell’altro lato dell’arcobaleno, il lato non adatto a crescere dei bambini felici, perché crescono con l’idea sbagliata di come una struttura familiare dovrebbe essere». Già questo basterebbe a rispondere a tutti quelli che si sono stracciati le vesti dando dell’”omofobo” (vocabolo inventato per far passare per malati coloro che difendono la legge naturale) a Fontana solo perché, invece che dalla parte dei capricci degli adulti, si è messo da quella dei bambini.
Ma vale la pena di comprendere a fondo la confusione, l’ingiustizia, il dolore di queste persone. Anche quando non riescono ad esternarlo: «Sentivo dentro di me che mi mancava un padre prima ancora che potessi capire quello che significava. Sapevo che amavo entrambe le mie “mamme”, ma non riuscivo a capire quello che mancava dentro di me. Quando ho affrontato la scuola ho iniziato a realizzare, attraverso l’osservazione di altri bambini e dei loro legami d’amore con i loro padri, che mi stavo perdendo qualcosa di speciale». Motivo per cui, secondo gli accusatori del ministro, bisognerebbe abolire tutte le feste del papà o della mamma. Ma non c’è nulla da fare, festa o non festa, spiegò Millie: «È stato molto difficile per me formarmi un’identità stabile. La mia stabilità comportamentale ed emotiva ne ha sofferto molto».
Millie ricorda, nonostante l’educazione atea, la sua stima verso i cristiani «perché fino ad ora, in questo dibattito, sono gli unici che si pongono questo problema…che cercano di accendere i riflettori sulle storie come la mia». Mentre nella “friendly” and “nice” «lobby Lgbt nessuno vuole ascoltare qualcuno come me, dato che “Love is Love”. Giusto?». Così, proseguì la giovane donna, «noi per loro non esistiamo».
La ragazza conobbe poi il padre a 11 anni e fu «probabilmente la prima volta nella mia vita in cui mi sono sentita una bambina stabile. L’ho guardato negli occhi e ho pensato: “questa è la mia parte mancante”…ho potuto dare un volto a chi ero…ho potuto affermare la mia identità». E a chi si riempie la bocca di “uguaglianza” come fa «la lobby Lgbt – ha sottolineato – mi chiedo quale sia la loro definizione di uguaglianza perché, per me, uguaglianza significa dire la verità, significa essere rispettati interamente per quello che si è e non solo in base a quello che i genitori decidono che tu debba essere».
E la discriminazione delle persone che si definiscono Lgbt? «Ho sentito questa menzogna della lobby Lgbt: ai bambini non importa chi è la loro famiglia, uomini e donne sono intercambiabili. Considero questo di per sé una forma di discriminazione…Uomini e donne offrono ruoli complementari nell’allevare il bambino e dovrebbero essere rispettati con uguaglianza». E l’omofobia di cui viene accusato ogni giorno chi ha queste posizioni? «Ho racconti di amici gay che mi spiegano che altri gay li chiamano omofobi perché preferiscono che i bambini crescano con un padre e una madre: è totalmente ridicolo!». Poi agitata e quasi piangendo Millie sfidò il pubblicò: «Ero omofoba quando mi guardavo allo specchio e mi chiedevo dove fosse mio padre? Ero omofoba quando supplicavo i miei genitori di dirmi chi fossi?…L’omofobia, in realtà, è semplicemente un’avversione per un certo comportamento».
Che dire poi a chi sconfessa coloro che difendono la famiglia naturale dando loro dei fascisti? «Sono profondamente, profondamente in disaccordo nell’equiparare omofobia e razzismo…la tendenza sessuale non è un’identità perché cambia, anche in base alla scelta, e non è quindi equivalente a una razza. Mi sento offesa dall’idea che io sia considerata razzista per aver parlato di queste cose». E poi la realtà è insuperabile, svela Millie, ricordando che nessuno potrà mai avere due padri e due madri, dato che «in ogni relazione tra persone dello stesso sesso ci vuole una terza persona per “produrre” un bambino. Perché come società dovremmo ignorare questa verità?…Perché il governo spinge a favore di un’agenda basata sulla disonestà?… Io non sono qui grazie a due donne, tre persone hanno fatto la scelta di farmi venire al mondo», dato che «la scienza viene rimpiazzata dai desideri di alcuni adulti».
Poi l’affronto della madre che la giovane raccontò non prima di fare un lungo sospiro: «Mia madre mi ha fatto una domanda: Millie cosa sarebbe successo se io e la mia “partner” ci fossimo potute spostare? Se avessimo potuto avere quell’ambiente familiare stabile come tutti gli altri? Ho risposto con un’altra domanda: come avrebbero potuto curarmi gli psicologi per i miei comportamenti causati dalla mancanza di un padre se riconoscere la mancanza del padre fosse stata considerata una forma di discriminazione? Nessuna risposta».
Poi la risposta alla domanda più profonda che spesso i cittadini comuni si fanno sulla ragione per cui i governi diano retta ad «una piccola minoranza estremista», come la definisce lei. «Io vedo l’intenzione di sbarazzarsi del genere umano», perciò «questa discussione esclude tutti quelli che sono stati allevati senza padre o senza madre». Ma con la forza tipica di chi ha sofferto trovando poi una via d’uscita, Millie ha concluso: «Non ho intenzione di venire zittita da persone che mi dicono come è accettabile che mi debba sentire, che sono una brutta persona perché volevo un padre, che forse non amavo abbastanza le mie “madri”». Per questo «non lascerò che si incuta vergogna ai cristiani o a qualunque persona di fede solo perché si mobilita per i bambini. Perché questo è ridicolo».
Benedetta Frigerio
La Nuova Bussola Quotidiano, 13 giugno 2018