Intervista a Elio Sgreccia. La bioetica italiana, «dono» di padre Pio

Il cardinale compie 90 anni e ricorda i primi passi della disciplina, il lungo impegno su molteplici fronti, i rapporti con i Papi, da Paolo VI a Francesco. Nei 90 anni che il cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia della vita, festeggerà sabato, c’è in buona parte la storia della bioetica italiana. Una vicenda complessa, costellata di tanti impegni e di tante battaglie e in cui, un po’ a sorpresa, spunta anche padre Pio.
Eminenza, che ruolo ha avuto padre Pio?
Eh, per comprenderlo dobbiamo fare un passo indietro, fino al 1973. E utile ricordare che io sono stato chiamato alla Facoltà di Medicina “A.Gemelli” della Università Cattolica, appunto nel 1973, non per occuparmi di Bioetica, ma per collaborare nell’ambito della pastorale universitaria. Ci fu un accordo con il mio vescovo Costanzo Micci, che aveva ricevuto la diocesi di Fossombrone, cui appartengo, da poco tempo a seguito della unificazione con la diocesi di Fano.
Chi decise il suo trasferimento a Roma?
Il professor Giuseppe Lazzati, allora Rettore dell’ Università Cattolica, aveva chiesto al vescovo Filippo Franceschi, già allievo della stessa Cattolica, in quel momento Assistente Generale di Ac, di indicargli un sacerdote non può giovanissimo, sui 40 anni, che potesse guidare l’èquipe pastorale di Roma, ove i sacerdoti giovani avevano fatto corpo con la contestazione . In un’occasione, con un fatto clamoroso, gli studenti avevano impedito al cardinale Angelo Dell’Acqua, vicario di Roma, di entrare nella chiesa della Facoltà sdraiandosi per terra.
Io quindi arrivai a Roma per aiutare il servizio pastorale della Facoltà a orientare i giovani, essendo stati allontanati alcuni dei precedenti assistenti. L’accordo con il mio Vescovo prevedeva una permanenza massima di dieci anni.
Lo stesso Lazzati poi chiese che, oltre al mio servizio pastorale, mi interessassi della rivista “Medicina e Morale” fondata dai Medici cattolici di Torino su richiesta di padre Gemelli come guida della Facoltà. Così mi posi a servizio del professor Angelo Fiori, nuovo direttore della rivista e professore di Medicina legale. Per la mia presenza in “Medicina e Morale” fui poi utilizzato come “osservatore temporaneo” della Santa sede in seno al Consiglio d’ Europa allora nominato a Strasburgo (12 Stati), in un primo momento per la compilazione del volume nelle varie posizioni etiche sui diritti dell’uomo e del medico, ho contribuito alla redazione e pubblicazione del vol. Le mèdecin et les droits de l’homme a cura del Consiglio d’Europa. (Dipartimento per la ricerca) In seguito fui incaricato come “osservatore” della Santa Sede sui temi della etica medica (Comite ad hoc pour l’éthique medicale-Cahbi) per alcuni anni, a seguito della costituzione in Inghilterra del Warnock Commettee da parte della premier Margaret Thatcher. Era un compito difficile: occorreva farsi una preparazione non improvvisata sulle questioni etiche e giuridiche sorte a seguito alla nascita di Louise Brown, la prima bambina d’Inghilterra concepita in provetta.
Ma intorno alla questione si intrecciavano altri temi importanti…
Certo, in quel momento storico c’erano anche due punti molto caldi nel dibattito internazionale. Il primo era rappresentato da quella sorte di grido di allarme lanciato dai cosi detti “profeti catastrofici” della bioetica: Van Rensselaer Potter (Bioethies: the Science of survival;Bioethics bridge to the future), Von Hans Jonas (Das Prinzip Verantwortung Frankfurt a.M. 1979 Tra. It. Il principio di responsabilità un’etica per la civiltà tecnologia. Torino 1990). Secondo questo allarme, una civiltà che si sviluppa sotto la prevalente spinta del progresso tecnologico, porta alla fine dell’umanità. A queste riflessioni si aggiungevano i calcoli della Pontificia Accademia delle Scienze secondo cui il potenziale atomico distruttivo accumulato già si pensava superiore di gran lunga e quanto è sufficiente per la distruzione del genere umano. E’ il problema di dare un’etica al progresso, per evitare la fine dell’umanità.
L’altro fatto importante è che in quegli anni erano iniziate le proposte per una fondazione della bioetica. Da parte mia avevo avuto la fortuna di aver frequentato l’Università di Bologna ove, nella Facoltà di lettere e filosofia, si affermava il pensiero del personalismo di Maritain, Mounier, Gilson, ecc. Mi ero nutrito di una corrente di pensiero, molto attiva nella ricerca sui diritti dell’uomo sia nell’ambito economico che delle scienze sociali. Avevo conosciuto Giuseppe Dossetti a Bologna, che in proposito aveva un suo forte pensiero d’ispirazione cattolica. Da una parte mi sentivo carico di stimoli, d’altro canto mi sembrava insufficiente la mia preparazione in campo medico. Furono i colleghi Fiori e il preside della Facoltà, il Ermanno Manni, a spingermi verso il concorso da ordinario, dopo l’incarico per un insegnamento opzionale, che il Rettore mi aveva dato con un incarico per un corso opzionale di Bioetica e mi aveva spinto a scrivere un “Manuale di Bioetica” per medici e biologi. Per me era difficile affrontare le sedute del Cahbi a Strasburgo all’improvviso e poter dire subito un parere in merito; perciò ne tenevo conto nell’accettare il concorso.
Quale ragione la convinse poi ad accettare una sfida così importante?
Pensavo di essere risparmiato dall’affrontare il concorso quando mi dissero che secondo lo statuto della Università cattolica, qualora si fosse deliberata l’aggiunta di una nuova disciplina, oltre alla conoscenza pratica, bisogna munirsi di un finanziamento ad hoc che, per la cattedra di prima fascia, era una cifra molto consistente. Per qualche giorno mi senti “tranquillo” per la impossibilità di trovare un finanziamento tanto cospicuo, ma qui giunse un miracolo di Padre Pio.
Cosa capitò?
Il suo successore a San Giovanni Rotondo, monsignor Riccardo Ruotolo, interpellato in merito, rispose che la Casa Sollievo della Sofferenza era felice di finanziare la prima cattedra europea di bioetica. Allora mi misi a scrivere anche il II volume del Manuale dopo che il primo era servito per il concorso.
E il concorso come andò?
Giovanni Paolo II, dopo il Congresso Internazionale sulla famiglia, facendomi i complimenti per i miei volumi, mi disse: “Quest’estate ho letto i suoi due volumi di bioetica ed ho cercato di capire, ma lei è medico?”. Quell’interrogativo mi pesava e mi incuteva sempre delle remore, ma non m’impedì di vincere il concorso da ordinario nel 1983.
Se dovesse mettere in rilievo tre punti che Le stanno particolarmente a cuore, tra i tanti che è stato chiamato ad affrontare in questi decenni, quali indicherebbe?
Sono il fondamento metafisico (questione della foundaciòn); il metodo “triangolare”; la vera definizione del progresso: aggiungere vero al vero (Pio XII). Bastano poche parole per spiegare l’importanza di questi punti irrinunciabili.
Con il primo punto indico il personalismo con fondazione ontologica: vuol dire che la bioetica ha per oggetto la persona umana e non soltanto il corpo; la persona umana ha un’esistenza propria ricevuta al momento del concepimento: da quel momento in poi si costituisce l’embrione: egli vive per un atto proprio e si sviluppa a partire in autonomia progressiva e suppone il Creatore. Anche l’evoluzione suppone la creazione. Il diacono Efrem della Siria e Sant’Agostino pensavano che l’individuo umano è una “sorgente” e per quanto noi con la nostra sete attingiamo, la sorgente è più grande della sete. Il meglio ci sta sempre davanti. L’inviolabilità della persona, il suo primo riconoscimento metafisico e morale, a partire dal momento del concepimento rappresenta un punto irrinunciabile della nostra bioetica, valido anche per chi non fa appello alla fede, perché si tratta di un dato scientifico e razionale.
Da questo principio ne deriva un secondo di carattere metodologico che abbiamo chiamato il metodo triangolare. Nel procedere all’esame dei problemi bioetici si deve partire dall’aspetto scientifico e descrittivo nei termini quantitativi e riscontrati oggettivamente; nel secondo momento ci si deve chiedere il significato antropologico; ad esempio la fecondazione artificiale va descritta come viene praticata nelle sue varie tipologie, poi si deve rilevare quale specificità acquista quando si tratta di una donna o di una coppia umana. Infine si deve passare alla fase applicativa sul piano etico e giuridico per rilevarne la bontà o l’illiceità. Non si può procedere dal fatto descritto alla applicazione senza passare per la questione antropologica.
Una terza questione va esaminata quando si tratta di applicare la bioetica cattolica in contesto pluralistico. E’ questo un punto importante su cui non si riflette a sufficienza. Anzitutto da un punto di vista del dovere della bioetica cattolica verso la globalità del mondo secolare, c’è un dovere per ogni comunità religiosa che ha elaborato nella sua storia una visione unitaria, c’è il dovere di offrire il meglio di sé e ciò che la caratterizza per il bene comune e per tutti quelli che sono alla ricerca. Spesso succede che cattolici, per timore di spaventare, cerchino di attenuare le proprie posizioni. Ciò è un errore morale: ogni comunità nel mondo pluralistico deve offrire ciò che la caratterizza e nella visione più integrale.
Nella “meditazione” scritta per il volume “L’uomo alla ricerca della verità” (Vita e Pensiero, 2005), Lei ha sottolineato che “la bioetica da sola non è capace di riflettere pienamente sulla complessità della biologia e della medicina, ma ha bisogno di un fondamento filosofico e di una prospettiva teologica”. Come valutare quindi le prospettive di una bioetica laica?
Considero che sia un dovere da parte della “bioetica cattolica” offrire al mondo laico anzitutto la garanzia di non voler costringere ad accogliere i presupposti metafisici, ma piuttosto a considerare la identità cristiana come una prospettiva di vita e non una semplice teoria. Il confronto con le prospettive della vita cristiana vissuta possono venire dalle valutazioni di aiuto alla coscienza. E’ esemplare per questo la storia della conversione del filosofo Giustino così come egli narra nell’interrogatorio degli Atti (ritenuti autentici): “Io ho studiato successivamente tutte le scienze ed ho finito di fermarmi alla dottrina dei cristiani. La dottrina dei cristiani presenta una prospettiva di vita in questo mondo e per la vita eterna, e perciò mostra il suo valore per la capacità che ha di rispondere alle profonde aspirazioni dell’uomo. Mi pare che fosse Pascal a rilevare che per sapere qual è la chiave giusta bisogna verificare se è capace di aprire la porta chiusa. Tenendo questo atteggiamento verso le prospettive laiche o atee non si fa loro violenza, anche perché i divieti morali professati dai credenti sono anche giustificati sul piano razionale
Perché ha deciso di firmare il “Documento di sintesi” proposto al termine del convegno tenutosi nei giorni scorsi al Camillianum nel 50esimo anniversario di Humanae Vitae? Crede veramente che tra cattolici e laici ci possa essere un punto di incontro su un tema come il controllo delle nascite?
L’esperienza mi conferma che il dialogo è accolto dai laici quando li si invita a pensare in concreto. L’esperienza condotta al “Camillianum” e il documento firmato rispondono a questi aspetti positivi. In Russia Putin si preoccupa di combattere l’aborto e ci invita a recarci ai loro Congressi per combattere il calo demografico.
Sabato verrà presentata l’Enciclopedia di Bioetica e Scienze giuridiche, grande opera in 12 volumi giunta finalmente a conclusione. Cosa aggiunge uno studio così vasto alle conoscenze già in nostro possesso?
L’Enciclopedia di Bioetica e Scienza giuridica, diretta dal professor Antonio Tarantino (giurista) e da me risponde ad una duplice utilità: la prima è quella di dare un’informazione accurata e compiuta dal punto di vista scientifico – per esempio la critica fatta alla teoria del gender e ai tentativi sull’imprinting portati avanti dallo scienziato John Money sui due gemelli, poi finita con la morte di entrambi -. In secondo luogo si vuol mostrare che molte disposizioni che vengono discusse in Parlamento, mancano di fondamento giuridico. (Common law) La Enciclopedia enuncia anzitutto il diritto romano e poi valuta gli altri tipi di legislazione che si affermano con sentenze di singoli tribunali ma privi di fondazione giuridica. Pietro Berlingieri che è proprietario della casa editrice dell’enciclopedia (Edizioni Scientifiche italiane), anch’egli giurista, ha già avuto l’assicurazione della prossima traduzione negli USA.
Eminenza, Lei ha lavorato e conosciuto quattro Papi. Vogliamo provare a tracciare per ognuno un ricordo personale?
La risposta potrebbe bastare da sola riempire lo spazio dell’intera intervista. Tralascio il rapporto con Giovanni Paolo I che fu Papa solo per 33 giorni.
Ma non posso dimenticare per la mia formazione anzitutto Paolo VI perché, nel momento in cui uscì l’Humane Vitae avendo lasciato la direzione del Seminario Regionale, passai le mie serate nella piccola diocesi di Fossombrone a spiegare e difendere l’H.V. Ebbi frequenti contatti con il cardinale Giovanni Benelli, quando era Segretario di Stato e poi arcivescovo di Firenze, e fui presente agli incontri riservati tra la Università Cattolica di Lovanio e la Facoltà “A. Gemelli” per ricercare le possibili piste della procreazione responsabile. Fu per il fatto che a Lovanio esisteva un Centre de Bioethique che i professori del “Gemelli” proposero di esperire la possibilità di un Corso facoltativo con assegnazione annuale che era destinato in un primo momento al professor Vincenzo Cappelletti, direttore della Enciclopedia Italiana. Ma essendo stato eletto in Parlamento, l’incarico fu assegnato a me dal professor Adriano Bausola, nuovo rettore della Cattolica. Fu lo stesso Bausola a spingermi a scrivere il primo Manuale per biologi e medici, cui egli fece la presentazione e volle che fosse edito dalla Editrice “Vita e Pensiero”. Ma da Paolo VI io avevo preso sia durante gli anni di Seminario (ancora alunno) sia durante il Concilio la conoscenza abbastanza appropriata del personalismo di Maritain, Mounier, Gilson, Vanni Rovighi. Decisi di guardare come a un fondamento queste correnti di pensiero, aggiungendo l’esigenza di evidenziare la fondazione ontologica, per cui la dignità completa delle persone si costituisce con la fecondazione dell’ovulo quando si definisce l’individualità genetica. Questo fu uno dei primi punti del nostro insegnamento, cui tutt’ora ci ritroviamo, specialmente dopo le affermazioni dell’Istruzione “Donum vitae”. Questa fondazione ha caratterizzato tutta la pubblicazione, le numerose traduzioni (in varie lingue) e il dibattito sui casi concreti.
Con Adriano Bausola abbiamo rivolto uno sguardo critico nei confronti della Enciclopedia of Bioethics edita negli Usa (3 volumi a cura di W.T. Reich New York 1992) perché i contributi rivelano la carenza di unità e, nella maggior parte degli autori. traspariva una mentalità utilitarista.
L’opera di Karol Wojtyla Persona e Atto è stata pure di grande incidenza per me, per diverse conclusioni. Innanzi tutto per il fatto che la persona non si esaurisce negli atti in cui si manifesta e lascia sempre aperto il campo al “meglio”. inoltre offre un patrimonio di vita per stimolo e confronto. Quest’opera mi ha consentito di precisare il concetto di maturità della persona, perché egli vi afferma appunto che è matura la persona, non quando è autonoma nei suoi atti, ma quando è in grado di dare frutto e perciò quando si dedica agli altri. Questo concetto, di capitale importanza, ha ispirato le Giornate della Gioventù, ove la croce portata in processione indica la disponibilità al dono di sé. Ho poi svolto un importante lavoro di ricerca, in accordo con l’allora cardinale Joseph Ratzinger in tema di contraccezione, con il contributo di Roberta Minacori scomparsa di recente, e Maria Luisa Di Pietro. Dalle nostre ricerche è risultato che non esiste il contraccettivo sicuro. Per questa condizione ci fu possibile a San Giovanni Rotondo, nell’ambito dell’esame dei protocolli di sperimentazione, rifiutarci di imporre la contraccezione, talora duplice, chimica e di barriera, alle donne che si sottoponevano alla sperimentazione stessa.
Per molti anni, come presidente del Comitato etico per la sperimentazione del farmaco nell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, non ho mai consentito la contraccezione alle donne sottoposte alla sperimentazione.

E con papa Francesco?
Non vorrei omettere una parola a proposito dei suoi interventi proprio sui temi dell’ Humanae Vitae, in particolare quanto dice nell’ Amoris Laetitia. Poco tempo fa il noto filosofo Giuseppe Fornero mi ha inviato un volume, con una lettera di accompagnamento, dal titolo “Bioetica cattolica e Bioetica laica nell’era di papa Francesco” (Utet) di Luca lo Sapio. Nel testo c’è un saggio dello stesso professor Fornero. Mi ha chiesto di leggerlo e di esprimere il mio parere. Ho risposto dopo un congruo tempo e dopo aver letto il Documento pontificio. Come si sa Fornero, in questo testo, intende andare oltre i cosiddetti “paradigmi cattolico-laico” e sostiene che papa Francesco ci obbliga in qualche modo a considerarli superati. Ho risposto che non condivido questa sua interpretazione del pensiero di papa Francesco e gli ho inviato tutta una serie di affermazioni secondo le quali il Santo Padre ribadisce nell’ Amoris Laetitia che la dottrina non cambia e che i due Sinodi non hanno inteso cambiare la dottrina.
Ritengo, e lo ribadisco qui, che il Papa intende chiedere alla Chiesa di essere vicina anche ai divorziati e ai risposati per dire loro che la Chiesa non li abbandona e che ove e quando si presentano le condizioni di vita, concede loro anche i sacramenti ove si presentano le condizioni ammesse e note anche nella Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II. Questa di papa Francesco è una metodologia pastorale che mira ad accompagnare i fedeli, non a negare i danni del divorzio, ma a ripararli quando si potrà, se non altro in punto di morte. Quello che Francesco cerca è di mantenere viva la fede e la preghiera, di riconoscere i casi di nullità quando esistono. Insomma, una metodologia pastorale che non smentisce la verità, ma accompagna la fede e cerca di praticare la verità. Questo mi impedisce di assumere toni critici verso il Santo Padre e mi induce spesso a usare lo stesso metodo con famiglie ferite dalle separazioni e in cammino faticoso nella riconciliazione con Dio, nella educazione dei figli e nell’attesa di quel “meglio” che ognuno di noi ha sempre di fronte. Per questo sono grato a papa Francesco, per quello che insegna, senza cambiare la serietà e la verità del patto coniugale e del sacramento.

Luciano Moia
Avvenire.it, 6 giugno 2018