Il caso della nave Aquarius solleva molte domande, la cui ombra si allunga fino al 2013, sorvolando svariati governi a guida Pd. E molte “trattative” non chiare.
Non è la prima volta che Emma Bonino afferma che l’Italia è per sua libera scelta il principale porto d’accesso all’Europa per i migranti dal Nordafrica. Non è la prima volta che ricorda — come l’11 giugno al Fatto Quotidiano — che la decisione è stata presa dal governo Renzi, non per ragioni politico-umanitarie ma “per barattare una maggiore flessibilità di bilancio presso la Ue”. Non è la prima volta che nessuno — nelle sedi istituzionali o nei media — sente il bisogno di approfondire la cosa. La Bonino, come ministro degli Esteri del governo Letta, ha firmato nel 2013 la Convenzione di Dublino tuttora in vigore per regolare l’afflusso di migranti nella Ue.
Nel luglio 2017 per la verità, dopo una prima uscita della Bonino contro Renzi sul caso, un ex viceprocuratore della Corte dei Conti (Salvatore Sfrecola, presidente dell’Associazione italiana giuristi d’amministrazione) aveva sollecitato la magistratura finanziaria ad andare a fondo. Non solo in Italia, infatti, vige il principio che solo una formale e specifica previsione di legge consenta l’utilizzo di risorse del bilancio pubblico. Il sollecito non ha avuto seguito e nel frattempo la Bonino ha negoziato con il Pd di Renzi una candidatura blindata al Senato in vista del voto del 4 marzo.
Ora è la stessa senatrice Bonino — che fa parte del gruppo Bilderberg e del board della Fondazione Open Society di George Soros — a rilanciare la querelle: per mettere sullo stesso piano Renzi — tuttora leader di fatto del Pd — e Matteo Salvini, che da ministro dell’Interno avrebbe “barattato i migranti della Aquarius con qualche voto in più”. Nel merito la versione di Bonino non cambia e rimane sul tavolo. Nel 2014 (dopo l’avvento di Renzi a Palazzo Chigi e di Federica Mogherini alla Farnesina, presto dirottata a Bruxelles come “Mrs Pesc”) il governo italiano avrebbe stipulato un “patto scellerato” che modificava di fatto Dublino. E’ comunque un fatto che il coordinamento dell’operazione Triton sia stato centralizzato a Roma presso la Guardia costiera italiana e che gli sbarchi siano avvenuti tutti in Italia. Ma “l’accordo — insiste Bonino — l’abbiamo chiesto noi”.
Premesso che l’operazione Triton è stata concepita nella cornice-Dublino in chiave di controllo delle frontiere e non di salvataggio umanitario, nell’intera rassegna stampa successiva alla firma di Dublino non c’è traccia di quanto racconta il ministro degli Esteri italiano che firmò la convenzione. Nessuno — a cominciare dai tre governi di centrosinistra avvicendatasi nell’ultima legislatura — ha mai spiegato con onesta chiarezza agli italiani quali accordi erano stati presi in sede europea, con quali motivazioni e quali “ragioni di scambio”. Non è stato fatto dal Pd neppure in campagna elettorale. Né l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti ha mai raccontato in alcuna sede della democrazia istituzionale come è stata congegnata e condotta l’operazione anti-emergenza di un anno fa: con quali interlocutori in Libia, con quali intermediari, con quali costi effettivi per il contribuente italiano, attraverso quali canali finanziari. Dovrebbe farlo a maggior ragione quando — non sorprendentemente — il traffico nel canale di Sicilia è ridiventato massiccio il giorno in cui il governo Conte è entrato in carica. E quando lo stesso Minniti ha subito colto l’occasione per attaccare il suo successore al Viminale: solo perché ha scelto altre strade per affrontare l’emergenza, dopo esserne stato legittimato dal voto degli italiani.
Forse agli italiani piacerebbe sapere anche perché un paese Ue come Malta — confinante e così pieno di interessi italiani disparati — ha potuto continuare anche nel caso Aquarius a tenere chiusi i propri porti. Non da ultimo: perché la Procura di Catania continua a trovare muri di cemento e di gomma quando vuole far luce sul mondo delle Ong? Chi sono e da chi vengono finanziati i “professionisti dell’umanitarismo” che noleggiano navi europee e dirigono attivamente dal largo delle coste libiche il traffico dei migranti verso le coste italiane? “Migranti economici” e non “rifugiati”, ci tiene sempre a distinguere il presidente francese Macron: solerte flic-manganellatore di “migranti economici” accolti dall’Italia alla stazione di Bardonecchia. Costruttore di cavalli di Frisia sulle nevi alpine a cent’anni dalla Grande Guerra. Vero modello per i panzer austro-tedeschi schierati al Brennero (e non importa se il cattivissimo mediatico resta il premier ungherese Orban).
Chi mantiene efficiente un ponte che alla fine sembra avere ben poco di umanitario, assomigliando sempre più a un business di deportazione organizzata di popolazioni africane in Europa? Ecco un buon terreno su cui potrebbero impegnarsi le centinaia di “giornalisti investigativi” europei affannati su fake e trolls russi. A proposito: cosa ci facevano tanti giornalisti italiani, spagnoli e internazionali embedded da giorni a bordo di Aquarius e Sea Watch? Da chi erano stati inviati — o invitati — a godersi la prima imboscata al governo Salvini-Di Maio, magari con una congrua dote di popcorn?
Qui il destino dei migranti africani non c’entra nulla: e comunque le tv che si collegano con l’Aquarius “delle donne incinte e dei minori”, forse potrebbero riservare par condicio alle testimonianze delle centinaia di migliaia di migranti accolti dagli italiani (non solo e non principalmente dal governo italiano). Da un Paese cui il presidente di Medecins Sans Frontières o la (cosiddetta) ambasciatrice maltese al telefono di un talk show pretendono di dire quello che non può fare o deve fare. E senza fare troppe storie: sennò telefoniamo all’Europa che vi tagli i viveri.
Sovranismo in rima con razzismo non va bene. Ma la democrazia delle Ong e la trattativa di uno Stato con le tribù libiche in odore di islamismo neppure. O il Fatto Quotidiano è fermo alla (presunta) trattativa fra Stato e mafia di un quarto di secolo fa?
Nicola Berti
www.ilsussidiario.net, 13 giugno 2018