Testimonianza del missionario candidato al Premio Nobel per la Pace considerato la versione maschile di Madre Teresa.
“È una mancanza di rispetto vedere i poveri che fanno la fila”, ha affermato con enfasi padre Pedro Opeka in un’intervista esclusiva dopo l’incontro che ha avuto in Vaticano con il suo amico Papa Francesco.
Opeka, 70 anni, è il “muratore di Dio”. Argentino, figlio di migranti sloveni, ha imparato il mestiere con suo padre, che si guadagnava il pane costruendo case. Ora lo fa per i poveri e con i poveri. “Quando ci apriamo alla grazia di Dio, l’impossibile diventa realtà”, parafrasando Papa Francesco (27 aprile 2018).
I dribbling di padre Opeka alla povertà
“Ho voluto andare in Madagascar prima di diventare sacerdote. Ho chiesto il permesso: ‘Sono figlio di un muratore, di un costruttore. Voglio lavorare con le mie mani. Voglio arrivare nel Paese prima di essere sacerdote’. Perché quando una persona arriva in un Paese come sacerdote lo mettono su un piedistallo e dicono: ‘Tu resta qui, noi siamo qua’. No, no, sono venuto come semplice ragazzo, e mi sono fatto i primi amici con lo sport, con il calcio. E continua ad essere così”, ha spiegato ad Aleteia.
L’evangelizzazione di padre Opeka si muove come una palla sul campo della vita. I suoi dribbling alla povertà suscitano passione anche tra i suoi avversari, che lo rispettano. Dalla sua ha la gente umile, sempre pronta a dare la vita per lui e a proteggere il “10 di Dio” nel suo gioco organizzato per costruire la comunità.
Padre Opeka continua ad amare il calcio: “Ho fatto vari tiri liberi, circa 10, e ho segnato 5 gol, da destra e da sinistra all’angolo, 45 metri. I bambini gridavano di gioia: ‘Gol!!!’, e io alzavo le mani al cielo e dicevo dentro di me: ‘Signore, grazie, grazie per avermi dato questa opportunità, questa forza, che alla mia età posso ancora dare il colpo giusto alla palla per donare allegria. Grazie, Signore!!!”.
Un appello a Messi e ai “fratelli” più fortunati
Se parliamo con padre Opeka di calcio salta fuori solo un nome: Lionel Messi. Il sacerdote dice che il vero “10” è Messi e che ha avuto la possibilità di conoscerlo due anni fa a Barcellona. Messi lo aiuta con la sua opera? “No, no, ma spero che un giorno lo Spirito Santo tocchi il suo cuore”. Gli rivolgiamo un appello? “Perché no! Penso che non sappia cosa facciamo. C’è molta gente che ignora il nostro operato”.
Perché non è un’abitudine che un missionario costruisca una città, faccia strade, il sistema elettrico, l’acquedotto, pianti alberi (10.000 all’anno). “Abbiamo quattro cimiteri. Quando mai una ONG ha dei cimiteri?” In trent’anni di lavoro gomito a gomito con i poveri assicura di aver sepolto “oltre 4.000 fratelli e sorelle e bambini”. “Queste persone, questi fratelli defunti, sono quelli che mi proteggono, sono le mie guardie del corpo”.
Dov’è la forza di Dio nelle opere?
La forza di Dio si manifesta nei gesti semplici, umili, che provengono dal popolo e dalla vita quotidiana. Per questo avremo sempre difficoltà a farci aiutare. Siamo nati da una ribellione interiore, perché non accettiamo la miseria, la povertà estrema dei nostri fratelli, per strada, in una discarica.
Quando ci siamo impegnati con i più poveri e li abbiamo ascoltati, li abbiamo responsabilizzati, abbiamo lavorato insieme, in mezzo a loro, ha avuto grande impatto su di loro, forse meno sui ricchi. Perché abbiamo saputo trovare una strada nuova, al di là di quelle degli esperti che sanno di tutto.
Esperti che predicono la fine della miseria e della povertà che invece non fa che aumentare, con tutte le previsioni, le ideologie e le promesse fatte al popolo.
È un’opera della Provvidenza di Dio. Perché nasce nel cuore del povero. Perché nasce nell’umiltà. Perché nasce tra coloro che soffrono. Ed è un impegno continuo, non saltuario. Non è un impegno di una volta al mese, una volta al settimana, ma di tutto il giorno e di tutti i giorni.
In cosa consiste questo impegno in termini pratici?
In 29 anni abbiamo soccorso e aiutato più di mezzo milione di persone. Attualmente abbiamo 25.000 persone che dipendono direttamente da questo movimento di solidarietà. Dico movimento, non associazione, un movimento di solidarietà. 30.000 persone passano da noi ogni anno per chiedere un aiuto sporadico. Stiamo quindi aiutando tra le 55.000 e le 60.000 persone all’anno.
Per aiutare tutte queste persone bisogna avere mezzi, per questo devo andare in giro almeno tre mesi all’anno per offrire testimonianze, per esortare i fratelli che hanno coscienza, fede e umanità ad aiutare e a condividere con i più poveri.
Ciò vuol dire che abbiamo una responsabilità enorme nei confronti di 14.000 bambini e giovani che studiano nelle nostre scuole, abbiamo 3.000 genitori che lavorano, costruendo la nostra città. Perché abbiamo costruito una città. Quando parlo di 25.000 persone non è più un paesino, ma una città.
E quando si inizia a costruire una città non si finisce più. La città continua a crescere, come qualsiasi altra città al mondo. Per questo bisogna continuare a cercare, a impegnarsi, credendo che al di là di una vittoria nei confronti della povertà si debba continuare a lottare sempre. Perché l’uomo tende a cadere facilmente nell’ozio, nella pigrizia, nell’egoismo, nell’individualismo. Persegue costantemente questo vizio.
San Vincenzo de’ Paoli (1581-1660) diceva che il problema della carità è che è male organizzata… Come vive questa massima che è stata la chiamata alla Congregazione della Missione?
Penso che avesse davvero ragione. Anche la giustizia è male organizzata. L’organizzazione fa parte della soluzione della povertà – come si responsabilizza la gente, che errori commettono i poveri, che responsabilità hanno di fronte ai loro figli e alle loro famiglie, le sfide della vita e del progresso…
L’organizzazione è certamente molto importante, perché organizzare è rispettare la gente. Quando vedo file di gente in attesa mi chiedo cosa succeda. C’è una cattiva organizzazione. Chi ama fare la fila? A chi piace perdere tempo, stare fermo senza far niente, aspettando solo il suo turno anche se possono volerci delle ore?
Mi sembra una mancanza di rispetto da parte della persona che ha fatto creare quella fila e che non è sensibile al fatto che centinaia di persone, molte delle quali forse anziane, debbano stare in piedi, all’esterno, sotto al sole. È una grande insensibilità umana. Non c’è rispetto, non c’è rispetto!
Se fossimo più sensibili al rispetto dell’altro… La regola d’oro è “Non fare al fratello ciò che non vorresti venisse fatto a te”. Non voglio che mi facciano aspettare due o tre ore in fila. Non farò aspettare neanch’io un’altra persona.
Farò in modo che venga ricevuta il prima possibile e con il massimo rispetto possibile. Se Dio ci ha dato la ragione, l’immaginazione, ce l’ha data per poter risolvere questi casi. E questa è organizzazione.
Madre Teresa di Calcutta diceva che le ricchezze, sia materiali che spirituali, possono affogarci se non le usiamo bene. Perché neanche Dio può mettere qualcosa in un cuore che è già pieno. Che ne pensa?
Verissimo! Quando vogliamo assicurarci il futuro in modo quasi scandaloso siamo fuori qualsiasi circuito umano. Ci stiamo separando dal resto dell’umanità. Al giorno d’oggi, su 7 miliardi di persone ce ne sono 2 che vivono “fuori dall’umanità”.
Sono persone che non possono beneficiare dei progressi compiuti dall’umanità nel corso della sua storia, e quello che fa più male è come ci si abitui a una cosa del genere. Si dice che è normale! Che noi siamo ricchi, più rispettati perché abbiamo più cultura, più studi… è normale che si interessino di più a noi che abbiamo più mezzi e che gli altri fatichino per sopravvivere.
Quello che mi scandalizza è l’insensibilità dei dirigenti, che non sanno stringere legami, non sanno attenuare le differenze… Quando una persona eletta che ha il dovere di parlare, di difendere la giustizia per tutti, non lo fa. Entriamo in un’ipocrisia nazionale e internazionale in cui ci adagiamo.
Qual è questa ipocrisia?
La grande ipocrisia tra i politici e gli elettori è che si mentono; si lodano senza motivo. Solo per far credere che si rispettano. Stiamo sbagliando in ciò che è essenziale, ci manca il senso della verità e dell’autenticità. Ci manca il coraggio di vivere la verità tutti i giorni e viviamo ingannandoci.
In un’epoca di post-verità, disinformazione e false notizie, la politica è sempre più divisa in estremi (sinistra e destra). Il Salmo 85 ci dice: “Misericordia e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno”. Ma poi vediamo che nelle ideologie non c’è alcuna forza reale tesa verso il bene comune e la sussidiarietà. Concorda?
Le ideologie vanno contro lo spirito perché vogliono basarsi sul concreto, su ciò che è materiale, su quello che si vede, che si può toccare, che si può possedere, che si può monopolizzare, manipolare. E lo spirito è tutto il contrario. Lo spirito è la ricerca di qualcosa che ci sfugge continuamente; dobbiamo cercare continuamente la verità, cercando Dio, cercando quella giustizia e quella pace.
Promettono false soluzioni, e quelle soluzioni ideologiche in un primo momento sembrano infiammare le folle, ma poi si svuotano rapidamente e diventano nuove difficoltà, nuovi conflitti e nuove guerre.
Sembrerebbe che la verità sia un’illusione?
La verità è semplice ma la complichiamo tanto. Ci sono fratelli che vogliono complicare la verità e che godono a farlo per dire che non siamo come gli altri. Siamo tutti uguali, siamo tutti fratelli, quando possiamo dire qualcosa, vivere qualcosa, creare qualcosa a partire da quella forza della virtù, della fede, della speranza e dell’amore che non ci appartiene.
Siamo tutti strumenti mediante i quali Dio agisce. Il Creatore opera tra noi. Che peccato che si cacci continuamente il Creatore, dandogli sempre meno posto nella nostra vita, nel nostro progresso! Come se lo strumento dicesse: “Valgo per me stesso, mi sono fatto da solo”. No, lo strumento è stato creato da qualcuno. Qualcuno gli ha dato i mezzi, come un robot, qualcuno gli ha inculcato dei progetti e lui lavora in base a quanto è stato stabilito e basta.
L’arcivescovo brasiliano Hélder Câmara diceva: “Se do da mangiare ai poveri mi chiamano santo, ma se chiedo perché i poveri non hanno da mangiare mi chiamano comunista”.
Totalmente vero! Il sistema vuole che non lo contraddiciamo, perché allora inizia a crollare tutta la macchina e cominciano a verificarsi problemi e contraddizioni. E allora il sistema non vuole contestazioni.
Il sistema vuole che sia tutto pulito e che si segua in modo cieco, che non si chieda dove si sta andando: “Non è un tuo problema, altri pensano al posto tuo”. Questo significa rinunciare alla libertà umana, che è il dono più grande che Dio ci ha fatto. E poi all’amore che Dio ci ha dato e alla volontà di poter scegliere il bene e di fare il bene ai nostri fratelli. Oggi si sceglie la guerra, di rubare; si preferisce ingannare e mentire che dire la verità.
Ora quando si dice “Quest’uomo fa politica” vuol dire che non è un uomo sincero, che sta manipolando la gente, il popolo. La cosa più triste è che il popolo si lascia manipolare e crede in quelle persone che gli mentono e lo usano come una scala per salire per poi calpestarlo.
L’uomo è anche fatalista e non vuole la responsabilità. Vuole sicurezza, ma non si sa cosa succederà. Con la fede, però, con la speranza e l’amore, si affronta il futuro con fiducia.
Purtroppo il potere del denaro e il potere della gloria, il potere dell’autorità, sta occupando in molti Paesi del mondo un posto che non merita e sta mantenendo in schiavitù milioni di fratelli e sorelle. Come ha detto Papa Francesco, il mondo “grida libertà ma è schiavo”.
Ary Waldir Ramos Diaz
Aleteia, 7 giugno 2018