In un mondo in cui narcisismo e competizione si associano sempre più a sconforto e paure si può scoprire che già Socrate e Platone fornivano le giuste risposte.
Negli ultimi dieci anni i casi di depressione sono aumentati in modo vertiginoso. Diffidenza, competizione, angoscia, ci rendono l’un l’altro sempre meno vicini. Dilaga un narcisismo nevrotico, con scambi virtuali che simulano intimità, di fatto evitandola e fuggendola come la peste. Domina una sostanziale paura di se stessi, con tendenze a continui auto-nascondimenti. Siamo (la maggior parte di noi) le nostre maschere, vittime di un’inautenticità che conduce a crescente solitudine. Un quadro antropologico davvero scoraggiante, e certo non confortato da un avvenire dove il malessere psichico sembra profilarsi come l’orizzonte che più saprà contenerci, dandoci (in negativo) dei limiti. Fotografandolo con accorata limpidezza Pietro Del Soldà racconta di questo strano deserto. Lo fa in un libro ( Non solo di cose d’amore. Noi, Socrate e la ricerca della felicità, Marsilio, pagine 192, euro 17,00) che si legge con fluida rapidità, sebbene affronti temi gravi e immensi, quali la solitudine cui ci sta consegnando questa frenesia di continua affermazione, smania di riconoscimento di fatto coincidente con una totale assenza di interazione con gli altri. Del Soldà domina la filosofia greca (il pensiero socratico riportato nei dialoghi di Platone) con vera padronanza e seria disinvoltura (anche la disinvoltura può essere seria). Arriva così a utilizzare Socrate come una sonda. La vera peculiarità del suo saggio, anzi, sta proprio nel suo spaziare dall’oggi allo ieri (all’allora), nel mostrarci come siano i quesiti socratici quelli che più e meglio fanno luce sulla confusione (il caotico stallo, per dirla con un ossimoro) in cui ci troviamo a vivere. Le domande poste da Socrate insomma puliscono il cielo, sgombrano il campo da illusioni, deviazioni e malintesi contemporanei.
Socrate ci interpella, quando argomenta come sia nella conoscenza di sé la vera cura. Dice molto dell’oggi, quando spiega come nell’intimo contatto con se stessi si riassuma il più limpido antidoto al caos del finto mettersi in mostra, finto instaurare finte relazioni. E in un tessuto di confronti che non sono tra persone, ma tra maschere, tra esseri apparenti come apparente è chiunque si sottrae alla propria verità, ecco dai personaggi dei dialoghi di Platone (Protagora, Alcibiade, Simposio so- prattutto) giungerci i suggerimenti più attendibili. Conoscendo noi stessi, incontriamo il prossimo. E viceversa, troviamo noi stessi incontrando gli altri («quel rispecchiamento reciproco delle pupille dell’anima, in cui consiste la conoscenza di sé»). Perché l’incontro, quello vero, scalza tutti gli ostacoli conoscitivi in cui fatalmente incappa l’ipertrofia dell’io. Sino all’incontro d’amore, scintilla dettata da Eros e che infonde autenticità e potenza a ogni gesto, parola, pensiero, snebbiando da un’infelicità che è rapporto sfalsato col tempo («mancare il punto giusto, il tempo debito e la dovuta proporzione»). Del Soldà è attento al mondo e alle sue evoluzioni più attuali anche grazie a una trasmissione che conduce quotidianamente su Radio3 (‘Tutta la città ne parla’).
Dalla sua vita di persona abituata a scambiare molte parole con sconosciuti, e ad ascoltarli, la sua scrittura è rafforzata. Le considerazioni sul presente risultano particolarmente pregnanti. Leggere di come la disuguaglianza sia «patologia fatale per la democrazia », e di quanto il populismo corrisponda a una «distanza da se stessi in senso politico», sortisce una sorta di effetto omeopatico, in queste settimane di tali e tanti sconvolgimenti nazionali. La filosofia, quella autentica, è del resto proprio questo. Lente attraverso cui leggere meglio il presente, ma anche cura, uso del pensiero che in quanto tale, in quanto funzione che si esercita appieno, consola. «Cosa è accaduto al nostro rapporto con la verità? E ai nostri rapporti tra umani?»: alla portata drammatica che queste domande portano in se stesse, nel loro timbro, Del Soldà una volta di più trova risposte nella visione socratica. È Eros, spinta di bisogno di relazione, è lui a suggerire una strada autentica perché fatta di senso e di passione. Già: il più ragionevole orizzonte futuro – il solo che possa venire opposto a quello del disagio psichico – è l’orizzonte dei nessi e delle interconnessioni tra gli umani. O in modo uguale, tra altri abitanti della terra.
Tra le piante ad esempio, come nel bel libro di Emanuele Coccia ( La vita delle piante. Metafisica della mescolanza in questi giorni in uscita per Il Mulino; pagine 160, euro 14,00). «Ogni essere è essere mondano se è immerso in quel che si immerge in lui», scrive Coccia, lui anche fine conoscitore del pensiero antico. E, «se gli organismi riescono a definire la loro identità grazie alla vita di altri viventi, è perché ogni vivente vive già, di suo, nella vita altrui». Non pensare ininterrottamente a se stessi e a come si appare, ma coltivare solidarietà, ascolto, empatia. Concentrarsi anziché solo su noi stessi, su quanto siamo vicini, contigui, interconnessi. Aprirsi, mescolarsi, tornare a parlare. Per farlo, leggere e studiare quel pensiero che si interrogava su cosa sia l’anima, e cosa quel che meglio sa curarla e mantenerla in salute. Tornare a quelle domande, è cercare soluzioni per evitare la deriva caotica che ci minaccia, troppo e troppo da vicino.
Lisa Ginzburg,
Avvenire.it 16 giugno 2018