La diplomazia statunitense è riuscita a eliminare dal G7 ogni riferimento ai “diritti riproduttivi”, a conservare la natura pro-vita della Convenzione Americana dei Diritti umani presso l’ultima assemblea dell’Osa e si sta tuttora battendo all’Onu per evitare che l’aborto venga inserito fra i diritti all’assistenza umanitaria.
Con meno clamore rispetto alla guerra commerciale e al negoziato diretto con la Corea del Nord, la politica estera dell’amministrazione Trump sta battendosi contro l’aborto in tutte le sedi internazionali. Per ora la diplomazia statunitense è riuscita a eliminare dal G7 ogni riferimento ai “diritti riproduttivi”, a conservare la natura pro-vita della Convenzione Americana dei Diritti umani presso l’ultima assemblea dell’Osa e si sta tuttora battendo all’Onu per evitare che l’aborto venga inserito fra i diritti all’assistenza umanitaria.
E’ sicuramente la notizia che fa più indignare le femministe di tutto il mondo, che già vedono Trump, sin dalla sua elezione, come il loro nemico numero uno. Il premier canadese Justin Trudeau, che si considera “un femminista”, per la sua attenzione ai diritti delle donne, non è riuscito nel suo scopo di trasformare il G-7 in un evento in cui promuovere l’uguaglianza di genere, proprio “per colpa” di Trump. Che comunque, alla fine del summit, sempre a causa di Trudeau, non ha neppure sottoscritto il documento finale. Secondo il governo canadese, al G-7 del Quebec, “donne e bambini saranno al centro dell’attenzione” e una “componente essenziale della loro salute e del loro sviluppo è l’aborto”. Difficile capire come l’aborto tuteli la salute dei bambini (non facendoli neppure nascere), ma questo era il programma. E un appello sottoscritto da sessanta femministe chiedeva la “fine della criminalizzazione e delle leggi restrittive sull’aborto. Un organismo voluto dal Canada, a latere del G-7, il Consiglio per l’Uguaglianza di Genere ha naturalmente incluso l’aborto fra i suoi suggerimenti e chiedeva il ritiro della Mexico Policy statunitense (nessun finanziamento governativo alle associazioni che praticano l’aborto, politica voluta da Reagan e proseguita da tutti i presidenti americani repubblicani, Trump incluso), l’inclusione dell’aborto fra i diritti all’assistenza umanitaria e il finanziamento alle associazioni pro-aborto e la copertura sanitaria pubblica per gli interventi di aborto. Secondo quanto è stato riportato del summit nel Quebec, sono stati molti i leader mondiali che hanno chiesto l’introduzione di tutto il pacchetto dei “diritti riproduttivi” nel comunicato finale, ma gli Usa si sono opposti. Quando alla fine è stata pubblicata la dichiarazione finale, tutti i riferimenti erano stati tolti.
Pochi giorni dopo, intervenendo alla 48ma Assemblea Generale dell’Osa (Organizzazione degli Stati Americani), la delegazione diplomatica statunitense ha quantomeno rallentato la tendenza pro-abortista. La Convenzione Americana dei Driritti Umani recita: “Ogni persona ha il diritto al rispetto della sua vita. Questo diritto deve essere protetto dalla legge, sin dal momento del concepimento”. La Inter-American Court of Human Rights, in tempi più recenti, ha introdotto l’espressione “in generale” per permettere la legalizzazione dell’aborto in sempre più paesi dell’Osa. Quindi ora si legge che “Questo diritto deve essere protetto dalla legge, in generale sin dal momento del concepimento”. In occasione dell’Assemblea Generale dell’Osa, il Paraguay ha ottenuto che venisse cancellato dalla bozza di risoluzione ogni riferimento ai “diritti sessuali e riproduttivi”. Ma il Perù e l’Argentina si sono detti favorevoli a mantenere quei termini, forti dei precedenti nei documenti ufficiali dell’Osa. Sono stati gli Usa, a questo punto, a opporsi e a far cancellare i termini divisivi.
E non è finita qui. Perché anche la delegazione statunitense all’Onu ha insistito perché si riaprissero i negoziati sulla risoluzione annuale del Consiglio Economico Sociale. E l’oggetto del contendere è sempre l’aborto. Gli Usa vogliono impedire che sia introdotto nella legge umanitaria, sotto forma di diritto internazionale.
Tre vicende che dimostrano, essenzialmente, due cose. La prima è la completa inversione di rotta dell’amministrazione Trump rispetto a quella Obama. Mentre quest’ultimo, ben assecondato da Hillary Clinton (sua segretaria di Stato ai tempi della prima amministrazione), si batteva in tutte le sedi internazionali per promuovere l’aborto quale diritto internazionale, Trump sta facendo l’opposto. L’aborto non è un diritto: questa è una convinzione molto solida della nuova amministrazione. La seconda dimostrazione è che il presidente è sincero sul tema. Eppure, se i repubblicani nutrivano dubbi sulla sua candidatura, era proprio per la sua posizione ondivaga sui diritti del nascituro, prima a favore della causa “pro-choice”, poi di quella “pro-life”, ma senza dar troppe spiegazioni. Adesso nessuno ha dubbi sulla sua scelta di campo.
Stefano Magni
La Nuova Bussola Quotidiano, 16 giugno 2018