Non importa se ti chiami Roberto Saviano, ma se dai del malavitoso ad un ministro, si chiami o no Salvini, senza che questi sia condannato nè indagato per Mafia, questa si chiama barbarie. Portata avanti con la sicumera dell’impunità che si conviene a chi ha una rubrica fissa su Repubblica. Nel frattempo però lo scrittore vaticina come un oracolo su tutto. Anche su utero in affitto e tratta dei clandestini, guarda caso anch’essi reati, che però lui non vede.
Non importa se ti chiami Roberto Saviano, se giri con la scorta, se distribuisci patenti di legalità a destra e manca. Non importa se sei un oracolo, ma se accusi un qualunque essere umano, che si chiami Salvini o Pellegatti, di essere un malavitoso con l’aggravante di essere ministro, senza che questi sia non dico condannato in Cassazione, ma neanche rinviato a giudizio, né indagato e nemmeno sospettato, ecco: non importa, ma sei un barbaro.
Un barbaro che avvelena i pozzi con un fare da oracolo godendo dell’impunità che si conviene e si concede a chi ha una rubrica fissa su Repubblica. Roberto Saviano ha una questione personale con il ministro degli Interni, il quale non sarà certo un santo trappista, ma almeno non risulta che abbia nella fedina penale una condanna passata in giudicato per Mafia, Camorra o simili. Fatti loro, verrebbe da dire. Ma per nessun motivo si può accusarlo di essere un ministro della malavita. Almeno che i toni dello scontro politico non abbiano travalicato a tal punto la decenza da entrare appunto in quella che si chiama barbarie.
I fatti sono disdicevoli per entrambi: lui, il padre di Gomorra che da settimane accusa Salvini di essere cattivo e pericoloso per la faccenda dei migranti e l’altro che ribatte tweet su tweet. Finché non gli scappa la tastiera e se ne esce con una castroneria: “Rivalutiamo la tua scorta”, ed essendo Saviano sotto protezione da quando con Gomorra denunciò gli affari dei Casalesi nel Casertano, da quando ha 26 anni non può muoversi senza che un agente della polizia o un carabiniere non lo accompagnino.
Apriti cielo. Rivalutare la scorta si può e uno Stato ha il dovere di farlo per verificare a che punto sono il rischio, la sicurezza e la protezione. E il servizio scorte del Ministero degli Interni lo fa periodicamente perché una scorta sono soldi pubblici. In pratica bisogna capire se il soggetto protetto è ancora a rischio agguato o no. Vale anche per Saviano che ormai non si occupa più solo di malavita ma anche di tanti altri temi da tuttologo. Dunque, concedere la scorta o no è una prerogativa degli uffici del Ministero che deve essere rispettata. Ovviamente annunciarlo via Tweet è un errore grossolano perché sa di minaccia e ritorsione. Sbagliato, dunque, lo stile utilizzato da Salvini, ma legittimo il fatto di interrogarsi sulla necessità oggi, a più di dieci anni dai fatti di Gomorra, di una scorta per Saviano.
Detto questo però è ancora più sconcertante la reazione dello scrittore che lo ha accusato di essere un ministro malavitoso perché durante la campagna elettorale al suo comizio hanno partecipato in prima fila alcune persone riconducibili al clan Pesce. Ovviamente la presenza a un comizio elettorale non dovrebbe essere automaticamente una patente che il politico è malavitoso, anche perché Saviano dovrebbe ben sapere che la ‘Ndrangheta, Camorra e Mafia vanno ad ascoltare tutti e in tutti i partiti cercano di infiltrarsi. Di questo passo non c’è politico che non abbia avuto solo una stretta di mano, anche inavvertita con un malavitoso.
Alcuni anni fa l’ex ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio finì nella bufera perché, da candidato sindaco di Reggio Emilia, insieme ad altri candidati, andò a Cutro, città calabrese dalla quale proviene una nutritissima comunità di emigrati in Emilia. Quando scoppiò l’inchiesta Aemilia venne fuori la foto di Delrio alla festa del Santo Patrono e in tanti lo accusarono di essere andato a cercare voti in terra di mafia. Accuse politiche, si dirà, vere o false, la magistratura non lo ha mai stabilito e la cosa finì lì anche se ogni tanto si trascina con qualche strascico. Avrà stretto mani ‘ndranghetiste Delrio in quel frangente? Probabilmente sì, come fecero anche altri candidati. Ma che ne sapeva? Ma nessuno, e soprattutto nessuno #RobertoSaviano pensò di accusare Delrio di essere un ministro malavitoso. Per ovvi motivi.
Ora non si capisce sulla base di cosa lo scontro politico debba alzarsi a tal punto di accusare di mafia una persona che oggi – e gli auguriamo anche in futuro – non lo è. Forse lo spiega l’onnipotenza di certi professionisti dell’Antimafia, categoria alla quale Saviano, gli piaccia o no, appartiene per curriculum. Una categoria che gli consente di distribuire certificati di mafiosità che neanche il casellario giudiziale. La barbarie è questa: il fatto che nemmeno sulla base di un sospetto, ma di una situazione che in politica si presenta di frequente, si possa infangare così beatamente una persona. Si chiami o no Salvini.
Di questo passo, gli oracoli di Saviano diventeranno sempre più onnipotenti: l’ha detto Saviano, non il giudice, ma Saviano. Doppia barbarie. Che lo scrittore porta avanti con sapienza e sapendo di godere di un appoggio mediatico politico davvero significativo. Nel frattempo però lo scrittore si occupa anche di altro, perché la capacità vaticinatoria in termini di malavita lo mette, diciamo così al di sopra di tutto e di tutti.
Ecco allora che lo scrittore campano pontifica con grande abilità di nuovi diritti con lo stesso stile con il quale tratta di mafia. Difende l’utero in affitto, che in Italia è ancora reato e sostiene la causa dell’immigrazionismo che si serve di clan criminali che trattano i clandestini da schiavi, anch’esso dunque un reato contro l’umanità. Saviano però questi crimini non li vede, ci passa sopra. Vede solo i reati inesistenti dei suoi avversari politici. E se non è barbarie questa, allora che cos’è?
Andrea Zambrano
La Nuova Bussola Quotidiana, 24 giugno 2018