L’anno scorso si stimano in povertà assoluta 1 milione e 778mila famiglie residenti (6,9% del totale) rispetto a 1 milione e 619mila famiglie del 2016 (6,3% del totale). La percentuale corrisponde a 5 milioni e 58mila persone in povertà assoluta (8,4% del totale) rispetto a 4 milioni e 742mila persone del 2016 (7,9%). È il valore più alto registrato dall’Istat dall’inizio delle serie storiche nel 2005.
Dal 2005, cioè da quando è iniziata la serie storica delle rilevazioni, la quota di poveri assoluti in Italia non era mai stata così elevata. Il rapporto diffuso dall’Istat per il 2017 stima un’incidenza del 6,9%, se si considerano le famiglie, dell’8,4%, se si guarda agli individui. Nel 2016 le quote erano rispettivamente del 6,3% e del 7,9%. In numeri e non in percentuali, vuol dire che lo scorso anno i poveri assoluti – cioè coloro che non possono acquisire beni e servizi essenziali per uno standard di vita minimamente accettabile – erano oltre 5 milioni (5 milioni e 58mila per la precisione) e le famiglie nella medesima condizione 1 milione e 778mila.
L’Istat valuta in ben due punti percentuali la parte di questo aumento dovuta alla crescita dell’inflazione. Evidentemente anche il lieve incremento dei prezzi che c’è stato (pur decisamente inferiore a quello che gli economisti considerano auspicabile in questa fase) ha finito per pesare in modo decisivo su chi già era in difficoltà e non è riuscito a salire sul treno della “ripresina”.
Ma i dati generali, per quanto eloquenti, non dicono tutto. L’aumento della povertà assoluta è stato più intenso nel già penalizzato Mezzogiorno: dall’8,5% del 2016 si è passati al 10,3%. E nella stessa area del Paese sono i grandi comuni, centro delle aree metropolitane, i più colpiti: da un anno all’altro l’incidenza della povertà assoluta è quasi raddoppiata (dal 5,8% al 10,1%). Soffrono particolarmente anche i comuni più piccoli, quelli al di sotto dei 50mila abitanti. Ma la crescita della povertà si fa sentire anche nei centri e nelle periferie delle aree metropolitane del Nord.
Nelle famiglie a fare la differenza è la presenza di minori e di anziani da assistere, ma soprattutto il numero dei figli: nei nuclei con almeno un figlio minore la quota dei poveri assoluti sale già al 10,5%, ma balza al 20,9% (uno su cinque) in quelli con tre o più figli. L’incidenza della povertà assoluta tra i minori è in lieve diminuzione (dal 12,5% al 12,1%) ma resta su valori molto elevati e investe un milione e 208 mila persone.
Se si prende in considerazione l’età della persona di riferimento della famiglia in termini di reddito, si conferma la maggiore protezione offerta dalle pensioni e, viceversa, l’impatto negativo dei problemi occupazionali. Il valore minimo (4,6%) si riscontra nelle famiglie in cui la persona di riferimento ha più di 64 anni, il massimo (9,6%) se tale persona ne ha meno di 35.
Un’altra variabile fondamentale per interpretare i dati dell’Istat è quella della nazionalità. Tra le famiglie di soli italiani, l’incidenza della povertà assoluta, sia pure in aumento (dal 4,4% al 5,1%), si colloca al di sotto del valore medio, in quelle di soli stranieri arriva al 29,2% (quasi una su tre), con una punta superiore al 40% nel Mezzogiorno.
L’Istat stima in aumento nel 2017 anche la povertà relativa. Una condizione che esprime in sé un forte disagio sociale, ma rappresenta anche un potenziale bacino di ulteriore incremento della povertà assoluta. La soglia di povertà relativa per una famiglia di due componenti – a titolo di esempio – è pari alla spesa media mensile pro-capite nel Paese, e nel 2017 è risultata di 1.085,22 euro (+2,2% rispetto al valore della soglia nel 2016, quando era pari a 1.061,35 euro). Le famiglie composte da due persone che hanno una spesa mensile pari o inferiore a tale valore – semplificando quelle che possono spendere in due quanto mediamente spende una persona sola – sono classificate come povere in termini relativi. La soglia, naturalmente, viene modulata in modo diverso a seconda di alcune variabili, dal numero dei componenti della famiglia all’area geografica di residenza.
Per quanto riguarda la condizione di povertà relativa nel 2017, dunque, il rapporto dell’Istat calcola 3 milioni 171mila le famiglie (con un’incidenza pari al 12,3%), per un totale di 9 milioni 368mila individui (15,6% dell’intera popolazione). Tra questi, 4 milioni 669mila donne (15,1%), 2 milioni e 156mila minori (21,5%) e circa un milione e 400mila anziani (10,5%).
Si registra quindi un significativo aumento dell’incidenza della povertà relativa tra le famiglie (era del 10,6% del 2016) e tra gli individui (era del 14 % due anni fa).
Il peggioramento è stato più deciso nel Mezzogiorno, dove si è passati dal 19,7% al 24,7%, per le famiglie, dal 23,5% al 28,2%, per gli individui. Nelle regioni meridionali, in sostanza, una famiglia su quattro è in povertà relativa.
Analogamente a quanto avviene per la povertà assoluta, l’incidenza della povertà relativa si mantiene elevata per le famiglie con 4 componenti (19,8%) e per quelle con 5 o più componenti (30,2%). In generale, si tratta per lo più di coppie con tre o più figli per le quali l’incidenza di povertà è pari al 27,1% a livello nazionale e al 37,2% nel Mezzogiorno. Nel Sud le famiglie di soli stranieri in povertà relativa arrivano al 59,6%, ma per questa tipologia di famiglie l’incidenza è nettamente più rilevante (34,5%) anche sul piano nazionale.
Stefano De Martis
SIR, 26 giugno 2018