CANNABIS – Legalizzazione cannabis. È leggera una droga che danneggia polmoni e cervello e aumenta il rischio di cancro?

By 12 Luglio 2018Salute

Il prof. Tirelli, dell’Istituto Nazionale Tumori di Aviano, contesta il ddl sulla legalizzazione della cannabis e invita medici e politici a combattere contro ogni tipo di droga.

“Voglio essere subito molto chiaro: sono contrario all’utilizzazione di qualsiasi tipo di droga, leggera o pesante che sia, sintetica o naturale che sia”. A bocciare il ddl sulla legalizzazione della cannabis in un’intervista a ZENIT è Umberto Tirelli, Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica dell’Istituto Nazionale Tumori di Aviano, nel Friuli.

Lunedì prossimo, 25 luglio, il testo approderà in aula della Camera, dove dovrà confrontarsi con oltre 1.700 emendamenti, la gran parte dei quali presentata da Area Popolare. Pertanto la mole di lavoro che attende i deputati è tale per cui non si riuscirà ad arrivare al voto prima della pausa estiva.

La “droga libera” è dunque rimandata a settembre. Resta però attuale il dibattito, che coinvolge il mondo del volontariato, la magistratura e la comunità scientifica. Diverse personalità con competenze specifiche stanno smontando le tesi favorevoli alla legalizzazione della cannabis.

Tra costoro il prof. Tirelli, il quale ci tiene a sottolineare che “non esistono droghe leggere”. Egli avverte che il principio attivo della cannabis è passato dal 5% degli anni ’70 al 50-80% di oggi, è così che “giovani e giovanissimi la usano senza sapere i rischi che corrono”.

Compito di un medico, dinanzi a questa realtà, è di informare. “Come medico impegnato nella lotta contro il cancro e contro l’Aids, come potrei non essere decisamente contrario alla legalizzazione della cannabis?”, si chiede.

La sua deontologia impone di avvisare chi fuma marijuana che “questa abitudine danneggia gravemente i suoi polmoni, aumenta il suo rischio di cancro, ottunde le sue facoltà cognitive come l’attenzione e la memoria ed aumenta conseguentemente il rischio di incidenti stradali”.

L’oncologo friulano si spende in una diagnosi della società attuale, nella quale “si è andata sempre più evidenziando una sorta di accettazione, quasi ineluttabile, delle droghe in generale”. A tal proposito cita quanto avviene nello sport, laddove “si osannano dei campioni nonostante siano stati riscontrati nei loro esami di sangue e urine quantità enormi di droghe sintetiche, in particolare anabolizzanti”.

Tirelli chiede allora che vengano spese parole di condanna più nette, da parte di chi fa informazione, riguardo queste situazioni. È un compito che va assunto per tutelare i giovani, portati “ad emulare le gesta dei loro campioni anche nell’utilizzo di sostanze antisportive e che comportano gravi danni per la salute”. E in questo contesto di accettazione della droga, secondo Tirelli risulta difficile spiegare le ragioni, benché validissime, contro la legalizzazione della cannabis.

Il medico friulano tiene a precisare di avere un’indole non da bacchettone: “Non sono votato alla penitenza: amo la buona cucina ed apprezzo il buon vino di cui è giustamente orgogliosa la mia terra”.

Il tema del vino, da lui sollevato, richiama l’accostamento tra cannabis e alcol, considerate droghe alla stessa stregua dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). “Bisogna essere anche molto chiari su questi argomenti – precisa Tirelli -, se esiste il fumo di sigaretta e se esiste l’abuso dell’alcol, non è possibile accettare il principio che per non fare delle differenze devono essere approvate anche la marijuana e le altre droghe cosiddette leggere”.

Torna poi sulla definizione di “droghe leggere”, rievocando una sua personale esperienza. “Quando, tanti anni fa, il povero Vincenzo Muccioli mi fece visitare per la prima volta la Comunità di San Patrignano da lui fondata, che fu uno degli eventi più importanti e toccanti della mia vita, rimasi colpito dal fatto che tutti coloro che erano lì ‘ricoverati’, ammettevano di aver fatto uso di marijuana prima del passaggio alle cosiddette droghe pesanti”. Del resto non tutti i consumatori di marijuana passano alle droghe pesanti, ma tutti coloro che assumono droghe pesanti sono passati per la marijuana.

Da oncologo, il prof. Tirelli fa anche un’altra considerazione. “È ovvio che se il fumo di sigaretta provoca per esempio ogni anno nel mondo un milione di tumori del polmone, se un terzo circa dei quasi 350mila nuovi casi di tumore per anno che si verificano nel nostro Paese sono dovuti direttamente o indirettamente al fumo di sigaretta, e se ogni anno circa 90mila persone muoiono nel nostro Paese per cause correlate al fumo di sigaretta, il fumo delle droghe cosiddette leggere aggiunge solo altre vittime a questo scenario apocalittico”.

Infatti – spiega il professore – “non è la nicotina che provoca questi problemi, anche se è ovviamente alla base della dipendenza che si crea fumando il tabacco, bensì i prodotti della combustione che sono cancerogeni ed è lo stesso processo che si verifica fumando marijuana”. Quindi fumando marijuana si hanno gli stessi problemi sanitari di quelli che si riscontrano fumando tabacco, con un’aggravante che Tirelli tiene a sottolineare: “La marijuana, a differenze del tabacco, può provocare alterazioni cerebrali che possono avere un significativo impatto per esempio negli incidenti del sabato sera o comunque di ogni giorno, senza escludere gli effetti a medio e lungo termine sulla funzionalità del cervello e sul sistema immunitario”.

Senza voler “criminalizzare alcuno”, Tirelli ribadisce che “non conviene fumare né fumo di sigaretta né fumo di droghe leggere”, e che “bisogna combattere contro ogni tipo di droga”. Secondo l’oncologo “è una questione di principio e noi adulti dobbiamo batterci affinché i nostri figli ed i giovanissimi crescano in un ambiente dove la battaglia alle droghe è totale”.

Il suo invito è a vigilare sull’opera di proselitismo dei fautori della “droga libera”, che si servono di televisione, giornali e persino di corsi scolastici. Appello rivolto in particolare ai suoi colleghi medici e ai politici. Tirelli auspica che vengano approvate “leggi adeguate”, non per legalizzare la droga ma per combatterla, “senza fare inutili distinzioni tra quello che viene considerato leggero o pesante”. Perché la droga, qualunque essa sia, è “soltanto molto dannosa”.

Federico Cenci

Zenit.org, 22 luglio 2016

INTERVISTA

Professor Tirelli, dicono che legalizzare la cannabis permetterà di smantellare lo spaccio illegale e dunque di togliere risorse ai criminali. Cosa risponde?
R. Come si fa a non capire che se l’uso della droga diventerà legale il problema aumenterà? Allora, visto che gli omicidi proseguono nonostante la legge li punisca, perché non li legalizziamo? Perché non si fa lo stesso ragionamento con il femminicidio, i furti e tutti i comportamenti ingiusti e quindi perseguibili? Inoltre, si alimenterebbe comunque un altro mercato proibito, fatto di sostanze nuove, come quelle chimiche. Altrettanto assurdo è sostenere che è giusto legalizzare la marijuana perché anche l’alcol e il fumo non sono proibiti. È come dire: risolviamo questi problemi aggiungendone un altro che è pure peggiore, dato che alcol e fumo non sono nocivi quanto lo è la marijuana.

Ci spieghi.

La marijuana, a differenza del tabacco, può provocare alterazioni cerebrali, senza contare le conseguenze a medio e lungo termine sulla funzionalità del cervello e sul sistema immunitario. La cannabis poi danneggia i polmoni in maniera molto più violenta del tabacco, aumenta il rischio di cancro, indebolisce le facoltà cognitive, la memoria, l’attenzione, e quindi fa aumentare il rischio di incidenti stradali. Aggiungerei che, contrariamente a quanto si pensa, i giovani sono molto inclini ad assuefarsi. La marijuana li rende ansiosi, angosciati, sonnolenti, il che si ripercuote sul loro rendimento scolastico, sui rapporti interpersonali e sulla loro vita in generale. Infine, aumentano i casi di schizofrenia.

Come mai?

Se negli anni Settanta la quantità di principio attivo della cannabis era del 5 per cento, oggi siamo al 50-80. Non esistono droghe leggere e la cannabis è superpotente, spacciata soprattutto fra i giovani incoscienti dei rischi che corrono. Persino il quotidiano britannico The Independent, dopo aver condotto per anni una campagna antiproibizionista,nel 2007 fece pubblica ammenda, spinto proprio dai dati allarmanti che hanno dimostrato il collegamento fra uso di cannabis e schizofrenia. Tutti gli studi scientifici più seri rilevano gravi problemi vascolari alle arterie del cervello. Per quanto riguarda il cancro, invece, la British Lung Foundation tre anni fa ha pubblicato un rapporto in cui emerge come il rischio di tumore al polmone provocato dalla cannabis è 20 volte maggiore rispetto a quello causato dalla sigaretta.

Eppure la proposta di legge Della Vedova parla di “fini terapeutici”, prevedendo anche l’”autocoltivazione” di marijuana a questo scopo.
R. Ci vuole un gran coraggio per mettere nero su bianco una proposta del genere. In questo modo nell’immaginario collettivo si abbassa la percezione della pericolosità della cannabis, ma sopratutto si fanno affermazioni che non hanno nulla a che vedere con la scienza: l’uso terapeutico della marijuana riguarda l’assunzione di compresse con effetti del tutto differenti dallo spinello. Se i politici avessero davvero a cuore i malati, anziché liberalizzare la cannabis farebbero pubblicità a determinati farmaci, la cui efficacia nella terapia dolore è di gran lunga superiore.

L’abuso di droga cresce, però, e questo è un fatto. Come si risolve il problema?
R. Di sicuro il problema dei giovani esiste. Ma se volessimo risolverlo credo che tutti, dai genitori ai medici fino ai politici, per prima cosa dovrebbero opporsi con forza all’uso delle droghe e alla loro legalizzazione.

Umberto Veronesi, pur ammettendo che la marijuana «fa male», ha segnalato come un dato positivo i notevoli introiti fiscali incassati dal Colorado grazie alla liberalizzazione della marijuana. Cosa risponde al suo collega?
R. È come dire: lo Stato si arricchisce sulla pelle dei suoi cittadini e noi siamo contenti. Non si possono fare affermazioni simili a cuor leggero. Sì, con la legalizzazione lo Stato risparmierà anche i vent’anni di pensione che non dovrà pagare a quanti moriranno di tumore, ma a lungo andare uno scenario del genere sarà deleterio per tutti, perché avremo una società debole, fatta di drogati, malati e schizofrenici.

B. Frigerio, Tempi.it, 25 luglio 2015.