Lo stop della Procura di Roma, che ricorre contro due trascrizioni in anagrafe di bambini come fossero nati da due uomini o due donne, si aggiunge ai 5 esposti di Generazione famiglia e CitizenGo. L’obiettivo dei sindaci è forzare la legge e preparare l’opinione pubblica in vista della sentenza della Consulta. L’allarme di Pillon: “In ballo c’è la vera posta in gioco: sdoganare l’utero in affitto su cui la Corte si è già espressa definendolo offensivo della dignità delle donne”.
La decisione della Procura di Roma di ricorrere contro due trascrizioni anagrafiche di bambini come fossero nati da due uonini o due donne effettuate nel Comune di Roma, non significa che Piazzale Clodio rigetti il principio dell’adozione dei bambini avuti con utero in affitto, ma che la procedura seguita dai sindaci non è legittima, né nei confronti della legge Cirinnà né nei confronti della legge particolare sull’anagrafe.
Però è uno stop significativo e importante, che segna una svolta rispetto ad un modo di procedere della giurisprudenza spesso “piegato” a favore della cosiddetta stepchild adoption in totale assenza però di una legge. E soprattutto la ratio utilizzata dalla procura romana è la stessa di quella utilizzata nell’esposto presentato in cinque procure diverse da Generazione famiglia e CitizenGo la scorsa settimana e che è stato presentato in Senato dal neo capogruppo della Lega in Commissione Giustizia del Senato Simone Pillon.
Le procure nelle quali le organizzazioni pro family avevano agito erano Torino, dove il sindaco Chiara Appendino aveva forzato la legge iscrivendo un bambino come figlio di due papà, Milano, Firenze, Bologna e Pesaro, città in cui i primi cittadini avevano proceduto alla trascrizione (riferita a unioni contratte all’estero), e in alcuni casi iscrizione tout court, in anagrafe. A queste procure ora si aggiunge quella di Roma che in forza della titolarità dell’azione civile diventa per certi versi la capofila di una opposizione all’adozione dei bambini destinata a crescere qualora le altre procure dovessero recepire gli esposti.
Il senatore Pillon non può che definirsi contento: “Non ce l’aspettavamo – spiega alla Nuova BQ – vuol dire che qualcuno si sta svegliando e di questo siamo soddisfatti. La decisione della Procura conferma quanto abbiamo sempre detto: i sindaci stanno violando la legge impunemente forzando i regolamenti amministrativi e di conseguenza legittimando la pratica dell’utero in affitto o – per quanto riguarda le donne – della cessione di gameti, entrambi reati che sono alla base delle trascrizioni/iscrizioni con due madri e due padri”.
La partita è delicata: non si tratta infatti di prendersela con gli omosessuali, “ma di ribadire quanto la Corte Costituzionale ha ricordato nel 2017 e cioè che l’utero in affitto offende gravemente la dignità delle donne e genera una gravissima incertezza nelle relazioni sociali minando alla base l’identità delle persone”.
Ed è proprio contro l’utero in affitto che procederà l’azione politica di Pillon, il quale da capogruppo del Carroccio in commissione giustizia, ha annunciato due diversi eventi di sensibilizzazione e contrasto alla cosiddetta gestazione per altri, uno sociale e uno di taglio più giuridico “per porre un argine a questi abominevoli delitti”.
Procura della Repubblica contro alcuni sindaci ideologicamente orientati. Sembrano essere queste al momento le forze in campo. Senza dimenticare però che l’azione dei sindaci ha un obiettivo ben preciso: “Non siamo stupidi – ha proseguito Pillon – sappiamo che cosa sta succedendo e il perché di questa improvvisa accelerazione sul tema adozioni. Si tratta di forzature del sistema per tentare di condizionare l’opinione pubblica e di conseguenza orientare il giudizio della Corte Costituzionale che è chiamata in ottobre a decidere su un caso”.
La dead line fissata dunque sembra essere questa. La Consulta infatti è chiamata ad emettere una sentenza costituzionale su un episodio simile avvenuto a Pisa, dove il locale tribunale aveva definito illegittima la condotta del sindaco. Da qui il ricorso alla Corte Costituzionale che è chiamata ad esprimersi in autunno. Nel frattempo, con la complicità dei sindaci, si cerca di mettere quanta più carne al fuoco, iscrivendo o trascrivendo bambini come figli di coppie gay, per tenere alta l’attenzione e provare così a orientare il giudizio della Consulta.
Un’operazione che Pillon è deciso a screditare e denunciare con tutte le sue forze: “Queste pressioni da parte degli amministratori sono un evidente tentativo di condizionare il giudizio della Consulta chiamata a decidere sull’ordinanza del tribunale di Pisa”.
La norma infatti è il principale ostacolo, anche in virtù dell’assenza della stepchild adoption dalla legge Cirinnà. Si tratta di un combinato disposto di un regolamento del 2000 e del 2002 che stabilisce – codice civile alla mano – che per iscrivere un figlio all’anagrafe è necessario che i genitori siano di sesso diverso. Ecco perché i sindaci che procedono arbitrariamente a queste iscrizioni fittizie, rischiano grosso, anche l’imputazione per alterazione di stato mentre gli aspiranti genitori un’accusa di “false dichiarazioni davanti all’ufficiale di Stato civile”
Per capire la posta in gioco, basti pensare che “quando si va a iscrivere un bambino in anagrafe comunale – prosegue il senatore della Lega -, si deve comunicare come abbiano fatto i due a concepire quel bambino. La legge prevede una serie di formule, nessuna delle quali però include la dicitura: contratto con utero in affitto. Ed è per questo che, essendo la gestazione per altri un reato, di conseguenza anche le registrazioni in anagrafe lo sono”.
Le azioni dei sindaci dunque sono volutamente illegittime perché orientate a creare una sorta di effetto valanga sulla decisione finale e orientativa della Consulta. Ma sbaglierebbe chi pensasse che il cuore del problema sia soltanto una irregolarità amministrativa. Il vero problema è l’utero in affitto, pratica che si cerca con queste decisioni di sdoganare lentamente e di far entrare dalla porta di servizio di una sentenza favorevole. Prima si è provato con la Cassazione, ora con la Corte Costituzionale.
Andrea Zambrano
La Nuova Bussola Quotidiano, 26 giugno 2018