Quelli che fino a pochi anni fa erano i popoli più avanzati sul cammino dei diritti umani e della “globalità” del diritto oggi stanno rovesciando il rapporto: non più il primato dell’essere umano, ma il primato della nazione (America first, prima gli italiani, prima i polacchi, gli ungheresi…). Si chiamava nazionalismo, oggi si dice sovranismo. Frontiere che sembravano scomparse, come quelle dell’Europa di Schengen, stanno tornando in vista, sia pure senza sbarre, per ora; ma se continua così presto ci saranno anche le sbarre, poi i muri e magari i cannoni.
Ci sarà stato sicuramente un poco – o anche molto – di retorica e di ipocrisia nelle grandi dichiarazioni internazionali sui diritti umani e sulla loro protezione, fiorite nella seconda metà del Novecento; o più precisamente a partire dagli anni Quaranta di quel secolo. Ma non si può negare che ci sia stato anche un sincero ideale unito alla speranza di aprire una pagina nuova e migliore nella storia dell’umanità. La pagina della solidarietà al di sopra dei confini e della pari dignità di tutte le genti.
A insegnarne la necessità era stata la terribile lezione della seconda guerra mondiale. Già la prima – finita da vent’anni quando è cominciata la seconda – era stata una tragedia; ma non aveva insegnato nulla e non aveva prodotto nulla. Con i trattati di pace del 1919 gli Stati vincitori imposero a quelli sconfitti condizioni punitive e mortificanti, ma invece di indurli ad atteggiamenti più remissivi ne esasperarono il nazionalismo e il desiderio di rivincita, aprendo autostrade ad Hitler e ai suoi carri armati. Fra parentesi, fra gli Stati puniti dai trattati di pace c’era anche l’Ungheria, quale erede pro quota dell’impero absburgico; e proprio in questi giorni Orban è tornato a rivangare dopo cento anni quell’episodio, lanciando l’idea di riprendersi i territori allora perduti. Gli orrori e i danni della seconda guerra furono tali che i vincitori compresero che si dovevano superare i nazionalismi e le rivalità per costruire un nuovo stile di rapporti. Il primo segnale fu il processo di Norimberga (1945-1946). Per quanto criticabile dal punto di vista delle teorie generali del diritto, esso ebbe tuttavia un’importanza straordinaria perché presupponeva che esistessero, e fossero perseguibili, i “crimini contro l’umanità” benché non previsti dalle leggi degli Stati. E dunque che vi siano leggi non scritte, dalle quali nascono, per ogni singolo individuo, diritti e doveri che non hanno bisogno di una legge dello Stato per essere in vigore, e non possono essere cancellati da una legge contraria. Che è poi la tesi dell’Antigone di Sofocle (V sec. a.C.). Ma nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento andava per la maggiore, invece, l’idea opposta, ossia che non vi sia legge al di fuori di quella dello Stato, e che di leggi sovranazionali si possa parlare solo per gli Stati che le accettano, fino a quando le accettano.
Dopo Norimberga, il passo successivo era breve, e infatti è stato compiuto nel 1948 con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’Onu, centrata, appunto, sul principio che esistono diritti e doveri che spettano ad ogni essere umano “in quanto tale”, chiunque sia e dovunque si trovi, cittadino o straniero.
A quella Dichiarazione hanno fatto seguito altri documenti ugualmente condivisi su scala mondiale, come la Convenzione sui diritti dell’infanzia, firmata nel 1989 per iniziativa dell’Onu. Su scala continentale è rilevante la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950. Ad essa aderiscono attualmente 47 Stati, quindi anche quelli che non fanno parte dell’Unione Europea; e ha dato vita alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha sede a Strasburgo ed alla quale si possono rivolgere i singoli individui per reclamare il rispetto dei propri diritti fondamentali, al di sopra, e se occorre contro, le leggi di uno Stato.
Si è sviluppato così, nella seconda metà del Novecento, un ordinamento giuridico sovranazionale, o transnazionale (alcuni lo chiamano “globale”) che almeno sulla carta si basa sul primato dell’essere umano individuale (human being) sulle leggi degli Stati. E’ questo il grande lascito storico del secolo XX, insieme alla creazione dello “stato sociale” (welfare state), che però esiste solo nell’Europa occidentale, ma dove esiste funziona veramente.
Non deve sfuggire il rapporto che corre fra l’affermazione dei diritti umani e la pace. Nel senso che solo un mondo pacificato può garantire il primato della persona al di sopra dei confini nazionali. Ma anche nel senso che un mondo che riconosce il primato della persona è naturalmente orientato alla pace e non alla guerra.
Ma che ne è oggi di questo lascito del secolo XX? I segnali che sta dando il secolo attuale sono pessimi. Quelli che fino a pochi anni fa erano i popoli più avanzati sul cammino dei diritti umani e della “globalità” del diritto oggi stanno rovesciando il rapporto: non più il primato dell’essere umano, ma il primato della nazione (America first, prima gli italiani, prima i polacchi, gli ungheresi…). Si chiamava nazionalismo, oggi si dice sovranismo. Frontiere che sembravano scomparse, come quelle dell’Europa di Schengen, stanno tornando in vista, sia pure senza sbarre, per ora; ma se continua così presto ci saranno anche le sbarre, poi i muri e magari i cannoni. Una volta di più viene dimenticata la lezione della storia.
Basterebbero queste considerazioni per dimostrare quanto sia insensato il sovranismo. Ma lo è tanto di più in quanto il mondo è ormai, di fatto, “globalizzato” indipendentemente da ogni scelta politica: le comunicazioni, i trasporti, l’economia, la scienza, la tecnica, tutto ormai è “globale”. Il riemergere delle barriere non solo è antistorico, è di fatto impraticabile. Auguriamoci che, per farcelo comprendere, non siano necessarie nuove tragedie.
Pier Giorgio Lignani
2 luglio 2018 “La Voce” (Umbria)