Il tribunale condanna una Aulss a risarcire una mamma il cui figlio è nato con sindrome di Down. D’ora in poi basterà portare i figli in procura per avere la garanzia di un risarcimento. Soddisfatti o rimborsati.
Il tribunale condanna una Aulss a risarcire una mamma il cui figlio è nato con sindrome di Down. I fatti sono questi. Nel 2000 una donna è in dolce attesa. L’Aulss 4 del Veneto Orientale e l’allora primario di ostetricia e ginecologia di Portogruaro (Venezia) la sottopongono a diversi esami, ma non ad amniocentesi e villocentesi (anche perché pericolosi per il feto). Viene al mondo un bel bambino, anche se affetto dalla sindrome di Down. Passano gli anni e nel 2012 la mamma decide di far causa all’Aulss e al primario: se fosse stata informata che c’era la possibilità di eseguire quegli esami, li avrebbe fatti e, scoperto che il figlio era Down, avrebbe di certo abortito. “Il medico non aveva sottoposto la donna allo screening e a nessun esame di diagnosi prenatale – fa sapere lo studio legale della donna – la gestante infatti avrebbe dovuto essere informata della possibilità di sottoporsi a uno degli esami di indagine prenatale invasiva, come amniocentesi e villocentesi, con i relativi rischi ma anche con i vantaggi di una diagnosi certa”.
Il Tribunale civile di Pordenone, forte di precedenti giurisprudenziali che trattavano casi analoghi, ordina il pagamento a favore della donna di 500mila euro. Trattasi di danno patrimoniale da nascita indesiderata del figlio causata dall’errore medico. Così il giudice Francesco Tonon ha motivato la sentenza: “La fattispecie costituisce un caso paradigmatico di lesione di un diritto della persona, di rilievo costituzionale, che indipendentemente da un danno morale o biologico impone comunque al danneggiato di condurre giorno per giorno, nelle occasioni più minute come in quelle più importanti, una vita diversa e peggiore di quella che avrebbe altrimenti condotto”. Quindi il mezzo milione di euro non va a riparare un danno morale – la sofferenza di crescere un figlio Down – né fisico – eventuali disturbi fisici provocati dal disagio psicologico – bensì un danno esistenziale: la donna avrebbe potuto condurre una vita più felice di quella che è invece stata costretta a condurre a causa di questo errore.
Alcune considerazioni. In primis, a dar retta alla sentenza si deve concludere che nascere con alcune imperfezioni può essere un errore. La dignità della persona dipende da due fattori: dalla maggior o minor perfettibilità fisica o funzionale e dal fatto che questo criterio sia considerato dai genitori rilevante per attribuire al nascituro la qualifica di “figlio”. Questi ha diritto a venire al mondo solo se accettato, altrimenti è un errore farlo nascere. In secondo luogo la sentenza assomiglia molto a quelle che risarciscono un imprenditore per lucro cessante. Ad esempio Tizio danneggia il taxi di Caio e Tizio deve risarcire a Caio anche i mancati introiti non percepiti da questi mentre l’auto era in riparazione. Parimenti il figlio Down ha impedito che la vita della donna potesse produrre negli anni più felicità di quella che la donna ha realmente sperimentato, dunque deve essere risarcita. Oppure la sentenza potrebbe essere assimilata a quelle che concedono il risarcimento per ingiusta detenzione: essere stati ammanettati per anni ad un figlio non certo bello come i bambini nelle pubblicità è sicuramente un’ingiustizia.
Terza riflessione: il figlio non va amato comunque, ma solo se concorre al benessere dei genitori. Ogni scarrafone è bello a mamma soja, è un modo di dire antiquato. Se il figlio si rivela essere un pessimo investimento in quanto a wellness si può chiedere di essere risarciti. Ovviamente non si comprende il motivo per cui questa logica così limpidamente espressa dal giudice non possa essere applicata a tutte le relazioni genitori-figli. L’educazione dei figli, nella prospettiva egoistica così ben indicata dal tribunale, è sempre un pessimo affare, perché sempre ti peggiora la vita. I figli, giorno dopo giorno come ha scritto il giudice, ti danno preoccupazioni e ansie, ti deludono, ti fanno spendere soldi, ti fanno arrabbiare, ti rubano tempo, non ti rispettano e poi sono ingrati, vogliono sempre far di testa loro, sempre pronti a criticare, ma mai a fare autocritica. Ad un certo punto ti guardi attorno e lanci un grido muto contro il mondo: “Non era la vita che avevo pensato di vivere!”. Tranquilli. D’ora in poi basterà portare i figli in procura e, se non possono sostituirteli con altri ben funzionanti, almeno avrete la garanzia di un risarcimento. Soddisfatti o rimborsati. Il figlio come un titolo d’investimento a lunga durata con la tutela aggiuntiva che se si scopre essere un titolo avvelenato i giudici ti coprono il danno.
In quarto luogo la tesi della madre e dei giudici vede il ruolo dei genitori esenti da obblighi. Il duro e ingrato lavoro di genitore non è un onere morale di diritto naturale connesso al ruolo genitoriale, ma un vulnus da risarcire. Invece è un obbligo morale educare: quindi è doveroso soffrire per i figli e, per chi ama, è anche una straordinaria occasione per realizzarsi. Chiede il risarcimento perché il figlio è Down solo chi intende la vita da genitore come una vacanza. E se il tour operator, alias i medici, te la rovinano perché non ti avevano avvisato che la stanza dell’albergo non aveva l’aria condizionata, allora li trascini in giudizio per risarcirti i danni da vacanza rovinata. Venire meno all’obbligo educativo questo sì potrebbe essere fonte di reclamo da parte dei figli. Farebbe bene quindi il figlio Down, per tramite di un rappresentate legale, a chiedere il risarcimento per “genitore mancato o inadempiente”.
Infine questa sentenza disegna perfettamente un ponte la cui arcata congiunge due rive opposte separate dal fiume melmoso dell’omicidio dei bambini. La prima sponda è quella dell’aborto. Se è legittimo uccidere il figlio Down a maggior ragione sarà legittimo chiedere almeno il risarcimento se questi è ormai nato. Se si può abortire perché il figlio danneggia la salute psicofisica della donna, a fortiori si potrà chiedere soddisfazione per il danno ormai subito. La seconda sponda è quella dell’eutanasia. Nella recente legge sulle Dat i minori possono essere uccisi per volontà dei genitori, perché costoro, così si legge nel comma 2 dell’art. 3, devono sì tutelare la vita del figlio ma “nel pieno rispetto della sua dignità”.
Se le vite dei figli sono intaccate da patologie gravi o disabilità o dalla sofferenza, in base al criterio qualitativo, queste esistenze hanno perso dignità e quindi continuare a far vivere questi soggetti sarebbe una scelta contraria alla loro dignità perché mirerebbe a perpetuare una condizione di vita indegna. I casi Charlie Gard, Isaiah Haastrup ed Alfie Evans sono l’applicazione concreta di questo principio che al di là della Manica è stato cristallizzato dai giudici e che qui nel Bel Paese è invece impresso in una legge del Parlamento. Dunque la legge sulle Dat permette la soppressione di minori e incapaci nel loro migliore interesse.
La legge sull’aborto e la sentenza di Pordenone invece permettono rispettivamente di abortire e di chiedere il risarcimento per nascita non voluta a tutela del miglior interesse della donna. A breve quindi si permetterà di sopprimere il figlio non solo perché non è più nel suo best interest continuare a vivere, ma anche perché non lo è nei confronti dei genitori. Se è permesso uccidere il figlio nel grembo della madre perché intacca la sua serenità, perché non potrebbe essere consentito anche fuori di esso?
I ricercatori Giubilini e Minerva nel loro famigerato articolo sull’aborto post-nascita si facevano proprio questa domanda (e vi avevano pure dato risposta affermativa). Dunque la sentenza del giudice da una parte porta a conclusione alcune premesse presenti nella legge 194: se il figlio può essere inteso come un danno, tale giudizio può essere esteso anche alla fase dopo la nascita. Su altro versante questa sentenza è a sua volta premessa per l’applicazione estensiva della legge sull’eutanasia vigente nel nostro Paese: sopprimere il figlio non solo quando la sua vita non è più utile a se stesso, ma anche quando è inutile oppure dannosa per chi gli sta accanto. Oggi si chiede il risarcimento, domani si chiederà la morte se il figlio diventerà un peso. Infatti se la vita del bambino continua a produrre effetti negativi perché continuare a farlo vivere? Siamo ancora in tempo per sopprimerlo. E così il cerchio si chiude, perché l’aborto e l’eutanasia sono solo due nomi differenti per indicare la medesima specie morale di un atto chiamata assassinio.
Infine un pensiero per questo bambino Down la cui esistenza agli occhi di sua madre è solo un danno, un castigo, uno sgorbio ripetuto su moltissime pagine del diario della madre, pagine che volevano rimanere immacolate, una perdita finanziaria nel foglio excel della mamma in cui segna le entrate e le uscite. Un segno meno da cancellare. La sua vita dunque vale meno di zero (vita inutile), perché brucia risorse, chiede attenzioni in più, chiama al sacrificio, impone di guadare all’esistenza al di là della fisiognomica (vita dannosa). E noi che pensavamo che tutto questo si chiamasse amore e fosse dovuto. La vita migliore che poteva vivere la mamma di questo bambino non era quella senza di lui, come sostengono i giudici, ma quella con accanto lui. Lui è l’occasione perfetta per essere felici. Alle madri vere, quando si accorgono di un difetto o di una sofferenza di un figlio, non solo non passerebbe per la testa di disfarsi del figlio o chiedere un risarcimento, ma queste madri darebbero la propria vita per lui. Chi ama non chiede, ma dà, soprattutto quando l’amato è in difetto. Quella disabilità di quel bimbo Down chiede di essere compensata amando, non percependo somme di denaro.
In breve questa mamma e i giudici è come se avessero detto a quel bambino: “Sarebbe stato meglio che tu non fossi mai nato”. Guarda caso è la stessa frase usata da Gesù per ammonire quanti scandalizzano proprio i bambini.
Tommaso Scandroglio
La Nuova Bussola Quotidiano, 4 luglio 2018