«I bambini in Cina non possono più credere nella religione: solo nel comunismo»

By 2 Agosto 2018Libertà Religiosa

Dopo i cristiani dell’Henan e i musulmani uiguri del Xinjiang, il regime comincia a perseguitare anche i musulmani hui del Gansu: «Stiamo tornando indietro ai tempi della repressione durante la Rivoluzione Culturale».

Come i giovani cristiani della provincia dell’Henan non possono più frequentare il catechismo né entrare in chiesa prima dei 18 anni, così i giovani musulmani sotto i 16 anni del Gansu non possono più mettere piede in moschea. L’offensiva del partito comunista cinese per sopprimere e soffocare le religioni non opera distinzioni e a farne le spese, oltre ai cristiani e ai musulmani uiguri del Xinjiang rinchiusi a centinaia di migliaia nei campi di rieducazione attraverso il lavoro, sono anche i musulmani hui della provincia del Gansu, circa 10 milioni di persone, la metà dell’intera popolazione islamica della Cina.

BASTA CORANO. «Il vento è cambiato rispetto agli ultimi anni», dichiara al South China Morning Post un imam della regione, che preferisce rimanere anonimo. «Sinceramente, sono davvero spaventato che il modello Xinjiang venga applicato anche qui». Le autorità locali negli ultimi mesi hanno ridotto in modo consistente il numero di giovani che possono studiare in moschea e limitato le autorizzazioni per la nomina di nuovi imam.

NIENTE GIOVANI IN MOSCHEA. Su tutte le 355 moschee vicino alla regione di Linxia, inoltre, deve sventolare la bandiera cinese mentre gli altoparlanti sono stati rimossi con la scusa di ridurre «l’inquinamento acustico»: «Vogliono secolarizzare i musulmani, tagliare le loro radici islamiche. In questo momento, ai bambini non è più permesso credere nella religione: solo nel comunismo e nel partito», continua l’imam, che era abituato a tenere corsi di Corano a mille bambini, ora vietati a tutti i giovani, tranne che a 20 persone.

«DIVENTA COMUNISTA, NON IMAM». Ma Lan, custode di 45 anni di una moschea in un villaggio vicino a Linxia, è terrorizzata: «Siamo molto preoccupati. Nel giro di due generazioni le nostre tradizioni saranno scomparse». La donna racconta che quasi ogni giorno i funzionari del partito comunista entrano nella moschea dove lavora per verificare che non sia frequentata da giovani. «Mio figlio sognava di diventare un imam, ma a scuola lo hanno incoraggiato piuttosto a fare soldi e diventare un membro del partito».

RIVOLUZIONE CULTURALE. Conclude Ma: «Io non posso rinnegare la mia religione. Mi sembra che stiamo tornando lentamente indietro ai tempi della repressione durante la Rivoluzione Culturale», quando le moschee, al pari delle chiese, furono chiuse e trasformate in stalle o depositi.

Leone Grotti

Tempi.it, 20 luglio 2018 Leone Grotti