Un minorenne in coma da pochi giorni in seguito ad un grave incidente in mare è stato soccorso eroicamente e con notevole dispiego di forze. Dopo i primi tentativi di rianimazioni sul posto, è stato portato in eliambulanza all’ospedale di Liverpool. I medici hanno assicurato che non si sarebbe mai più ripreso; la famiglia ha accettato di sospendere tutti i supporti vitali.
Si chiamava Blake Ward, aveva solo 16 anni. Era finito in mare lungo le coste del Galles occidentale. Martedì, il 31 luglio scorso, lui e altri due ragazzini, un maschio di 15 e una bambina di 13 anni, si sono trovati in difficoltà. Sono intervenuti i soccorsi con una formazione ingente: “due elicotteri, tre scialuppe di salvataggio, due squadre di guardia costiera, paramedici e poliziotti sono stati chiamati sul lungomare martedì per la segnalazione di ragazzi in mare”, riferisce il Mirror .
E, anzi, “ma”, – prosegue invece il Daily Mail sabato mattina i medici e i parenti più prossimi hanno deciso di spegnere l’attrezzatura, ponendo fine alla sua vita.
Cioè meno di una settimana dopo l’incidente, solo cinque giorni anzi meno perché il ragazzo morirà la mattina presto, alle 7.03 per la precisione.
Quel sabato era in gita al mare con la famiglia. Si pensa che il ragazzo di Dudley abbia fatto una nuotata per rinfrescarsi nel caldo prima di essere spazzato via dalle correnti. (Daily)
I soccorsi in mare: ogni tentativo per portare i salvo tutti i ragazzini
Blake e gli altri due si sono trovati in pericolo e impossibilitati a tornare a riva. I soccorsi sono intervenuti in forze: decisi, eroici, qualche testata dice “disperati”; sappiamo che significa estremi, senza risparmio, messi in atto per tentare di salvare queste vite ad ogni costo.
Dave Williams, proveniente dalle operazioni di salvataggio di Aberdyfi, ha dichiarato: “Il nostro equipaggio volontario si è lanciato molto rapidamente su questo incidente e, collaborando con le squadre di guardia costiera sul terreno, l’elicottero della Guardia Costiera e l’eliambulanza, si è comportato in modo molto professionale per trovare e recuperare la vittima in condizioni particolarmente difficili a causa delle onde. “
Blake, più grave, finisce all’Alder Hey Children’s Hospital. Dopo soli 5 giorni gli sono staccati i supporti vitali
Le altre due vittime sono state portate in elicottero a Ysbyty Gwynedd. Blake era il più grave poiché è stato rinvenuto a faccia in giù nelle acque fredde perlustrate rapidamente dai soccorritori. Le operazioni di rianimazione sono state messe in atto subito, in spiaggia. Fino all’arrivo dell’elicottero che lo ha trasportato all’Alder Hey Children’s Hospital. Ci fa sobbalzare questo nome, vero? E lì, dopo solo 5 giorni di permanenza, i medici hanno spiegato ai familiari che non c’era nulla da fare e che i danni cerebrali erano irreversibili. La cosa più giusta, compassionevole da fare (avranno usato queste parole?) era staccare tutto e “lasciarlo andare”.
La sua fidanzata lo abbraccia per l’ultima volta
Così siamo arrivati agli strazianti post su Facebook della sua ragazza, una poco più che bambina di 15 anni: è salita sul letto ed è rimasta abbracciata al suo ragazzo “coraggioso e amabile”. Per salutarlo, per accompagnarlo alla morte. Dice che le hanno assicurato che non avrebbe sofferto. Si legge anche che i genitori hanno lanciato una raccolta fondi per pagare il funerale di loro figlio.
Ditemi che siete d’accordo anche voi, come me profani di rianimazione ma esperti di umanità, di vita e di relazioni: cinque giorni non sono spaventosamente pochi per decidere di sospendere quei benedetti supporti vitali in grado di sostenere quel ragazzo nel momento più tragico della sua esistenza? La morte procurata intenzionalmente, conseguenza attesa di azioni e omissioni (e non un patetico quanto ingannevole “lasciar andare, far volare via”) non è sempre un orrore da evitare, un gesto che offende l’uomo e Dio senza eccezioni (così ripete da sempre la Chiesa nel Suo Magistero e come troviamo scritto nel cuore di ogni uomo, a sapersi leggere bene)?
Cosa devono aver pensato i genitori di Blake per accondiscendere ad una simile proposta? Non c’è più intorno a loro la condivisa coscienza che una vita è sacra, che la persona è inviolabile? Pare di no. Ha già fatto tanta strada in quel popolo, e non solo, l’abitudine a considerare una sgradevole possibilità il via libera ad un protocollo medico che pone fine a vite “irrecuperabili” e troppo costose e pesanti da sostenere… Il Liverpool Care Pathway for the dying patient stipulato nel 1997 ma messo in seria discussione e reso meno aggressivo da nuove linee guida redatte nel 2015 pare continui ad essere applicato, soprattutto dai medici che si dicono convinti di sapere quale sia il bene dei pazienti, malgrado i pazienti stessi e i loro parenti. Insomma questo sentiero per la cura del malato terminale continua a fare scuola e anche mentalità. Ne esiste addirittura una versione adattata per i bambini, una favola horror insomma; il cosiddetto Liverpool Pathway for Dying Child, redatto dal Royall Liverpool Children’s Trust in collaborazione proprio con l’Alder Hey.
Il Liverpool Care Parhway è illegale eppure…
Nato come documento per migliorare la cura dei morenti col nobile intento di alleviarne le sofferenze si è prestato a tanti e tali abusi che il sospetto fosse diventato la procedura standard destinazione morte messa a sistema del NHS appare più che fondato, soprattutto dopo gli scandali dei premi in denaro riconosciuti ai medici più efficaci nell’instradare i pazienti su questa carreggiata. Così avvertì mons. Egan Vescovo di Portsmouth già nel 2012 in una lettera pastorale; uno dei pochi che alzò chiara la sua voce nei giorni drammatici e poi tragici della vita di Alfie Evans. Certe storie ci hanno trafitto e scandalizzato e grazie a Dio mobilitato ma per anni queste procedure sono state applicate ottenendo la morte di migliaia di pazienti spesso all’insaputa dei parenti più vicini. Qualcuno si è salvato per il rotto della cuffia. Ricordate il piccolo Dylan?
Per Alfie, Charlie, Isaiah e gli altri
Come non pensare al piccolo “warrior”Evans, in questo momento, che fu “ospite” proprio della stessa struttura ospedaliera (e agli altri piccoli martiri, Charlie, Ishaiah, alcuni famosi tantissimi sfuggiti alle prime pagine)? E alla determinazione sempre più rabbiosa e fredda che lo ha voluto morto a tutti i costi, contro genitori meno confusi e per nulla arrendevoli come sono Tom e la sua Kate. Vedere un ragazzino in un letto d’ospedale che muore perché i medici lo hanno stabilito e i genitori hanno acconsentito deve continuare a suscitare in noi orrore. Ma soprattutto deve continuare a vederci impegnati in un lavoro di ricostruzione, di bonifica del pensiero che, coerentemente con simili premesse, conduce a questi, necessariamente a questi, non altri esiti.
La vita è senza qualità ma piena di valore
Se la vita è una sorta di esperienza valutabile dall’uomo secondo parametri di qualità, se sotto una certa soglia di benessere “non vale più la pena” (ma la pena di chi?), se il bene dell’esistenza diventa uno dei tanti attributi e non il principale della persona, allora quell’attributo, quando diventa scadente, va rimosso. Invece la vita è senza qualità o meglio ha la qualità di esserci ed in questo è identica in ogni condizione. E siccome non siamo più tanto in grado di cogliere la differenza tra malattia e morte quando lo stato di infermità o sofferenza si protrae fastidiosamente allora quello stadio va abbreviato e risolto, rapidamente, nel suo compimento che è appunto la morte.
Non hanno fatto così i giornali di tutto il mondo con Sergio Marchionne per esempio? Ne parlavano da giorni come fosse già morto e non lo era. Poi è morto e per molti non è cambiato nulla, mentre per lui tutto.
Paola Belletti
Aleteia, 7 agosto 2018