Una recente delibera del Consiglio regionale del Piemonte intende, in sintesi, obbligare i medici obiettori a scegliere tra l’adeguarsi agli aborti o accettare di essere discriminati professionalmente. Si tratta di disposizioni contrarie alla Costituzione che si basano oltretutto su una presunta “emergenza aborti” causata dai medici obiettori, che – dati alla mano – non esiste.
Il 3 luglio scorso il Consiglio Regionale del Piemonte ha approvato una delibera dal seguente titolo: “Indirizzi e criteri per garantire l’effettivo accesso alle procedure per l’interruzione della gravidanza”. In breve si mira a far guerra ai medici obiettori e a costringerli a collaborare all’aborto.
La delibera è assai articolata e in questa sede, per motivi di spazio, possiamo focalizzare la nostra attenzione solo sugli snodi concettuali principali. La delibera prevede di “demandare alla Giunta regionale l’istituzione di un tavolo di lavoro per individuare la percentuale di obiettori di coscienza presso le strutture sanitarie regionali e la loro distribuzione al fine di predisporre le misure volte a riequilibrare il numero di obiettori rispetto al personale non obiettore.” Questo censimento sa tanto di caccia alle streghe per poi metterle al rogo.
Il Consiglio ha poi deciso di ricorrere alla mobilità del personale per ovviare a carenze di medici abortisti (cosa falsa, come avremo modo di spiegare) nonché, “nel caso in cui permanessero zone con una concentrazione di obiettori di coscienza superiore al 50 per cento, le ASL e le ASO possono bandire concorsi riservati a medici specialisti che pratichino IVG”. La scelta di bandire concorsi solo per medici non obiettori – cosa già avvenuta in Puglia e Lazio – è ovviamente scelta discriminatoria contraria all’art. 3 della Costituzione. E’ lecito indire un bando indicando una particolare specializzazione medica, ma il non essere obiettori non è una specializzazione clinica.
Poi la delibera aggiunge: “Tutte le prestazioni e le attività erogate nei consultori familiari non possono essere soggette ad obiezione di coscienza, come da articolo 9 della legge 194/1978”. Ciò è contra legem e l’art. 9 non afferma quanto indicato dalla delibera. Infatti l’art. 9 esonera il personale obiettore dalle procedure previste dall’art. 5, procedure che riguardano anche il consultorio. Ebbene, tra tali procedure c’è anche il rilascio dell’attestato che la donna vuole abortire, documento indispensabile per poi abortire. Dunque – ed è l’aspetto più grave di tutta la delibera – la Regione Piemonte vuole costringere i medici obiettori a rilasciare il certificato abortivo, nonostante la legge 194 lo vieti.
Inoltre il Consiglio regionale al fine “di ridurre i tassi di abortività, promuove e garantisce opportunità di accesso facilitato alla consulenza e alla pratica contraccettiva”. I metodi contraccettivi indicati nella delibera possono avere tutti, eccetto uno, anche effetti abortivi. L’assioma “più contraccezione meno aborti” è poi scientificamente falso ed anzi è vero l’opposto (cfr. gli innumerevoli studi presentati e commentati in R. Puccetti, I veleni della contraccezione, ESD, Bologna, 2013, pp. 353-375).
A margine di questa delibera qualche riflessione. Innanzitutto volesse il Cielo che il numero elevato di obiettori riuscisse ad inceppare anche solo di poco la macchina abortiva della legge 194. In secondo luogo il 70% di obiettori in Italia è la prova provata che l’aborto è un omicidio prenatale: perché altrimenti gli addetti ai lavori obietterebbero? In terzo luogo la penuria di medici disposti a compiere aborti ahinoi non c’è. Nel luglio del 2012 il Comitato Nazionale di bioetica espresse un parere dal titolo “Obiezione di coscienza e bioetica” in cui si mostrava che laddove c’erano più medici obiettori i tempi di attesa all’aborto diminuivano e viceversa. I tempi di attesa sono dunque connessi all’organizzazione dell’ospedale e non al numero di obiettori. Inoltre negli anni il numero di medici obiettori è aumentato, ma è rimasto invariato quello dei medici non obiettori. E dato che il numero di aborti chirurgici legali è diminuito, questo ci porta a dire che il carico di lavoro per i medici non obiettori è diminuito anch’esso negli anni. Ed infatti il carico medio di lavoro per i medici non obiettori è pari a 1,7 interventi la settimana (meno di un’ora di lavoro a settimana). Lavorano così poco che più di un decimo di essi non è assegnato ad interventi abortivi perché non c’è bisogno.
Tali dati furono confermati anche nel 2016 da un’apposita indagine dell’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Come avevamo avuto modo di puntualizzare a quel tempo in relazione a tale indagine, “se il numero di aborti corrisponde al 20% delle nascite (sic), il numero delle strutture ospedaliere che praticano aborti presenti nel nostro Paese è pari al 74% di quelle che forniscono servizi di maternità. Insomma in Italia ci sono proporzionalmente più strutture dedicate all’aborto che alle nascite”.
Infine c’è da ricordare che su quasi 6 milioni di aborti compiuti dal 1978 ad oggi non una donna ha aperto una sola vertenza giudiziaria per non aver ottenuto l’aborto richiesto o per aver atteso troppo tempo per abortire. Tutti gli aborti richiesti sono stati ahinoi procurati.
In breve la delibera della Regione Piemonte è pretestuosa: non vogliono più aborti, ma meno obiettori. Vogliono abortire anche gli obiettori stessi o convertirli a forza al loro credo stragista.
Tommaso Scandroglio
La Nuova Bussola Quotidiano, 29 luglio 2018