Una mostra al Meeting ha narrato la storia del grande cardiochirurgo ucciso da un linfoma che cambiò il destino di medici, scienziati, pazienti e amici.
C’è un gigante al Meeting di Rimini, si chiama Giancarlo Rastelli, o come piace ai ragazzi che lo hanno conosciuto e raccontato da Bologna al Minnesota, Gian. Nasce a Pescara il 25 giugno del 1933, da babbo giornalista e mamma maestra, muore in odore di santità al Methodist Hospital di Rochester il 2 febbraio 1970, non prima di essere diventato uno scienziato famoso in tutto il mondo per i risultati delle sue ricerche cardiovascolari, essersi ammalato di un linfoma di Hodgink, aver perso la vita salvando quella di un popolo che a gran voce non ha più smesso di narrarne la grandezza, tanto che nel 2005 l’allora vescovo di Winona, in Minnesota, Bernard Joseph Harrington, ha concesso il nulla osta alla diocesi di Parma per l’apertura della causa di beatificazione.
È a Parma infatti che nel 1951 Gian frequenta la facoltà di Medicina e chirurgia, si laurea, specializza e diventa bravo, bravissimo nella diagnostica delle patologie cardiopolmonari, tanto da ricevere dalla Nato l’offerta di una borsa di studio per un anno, destinazione a piacere tra una clinica francese, tedesca o americana. Gian sceglie la Mayo Clinic di Rochester. E qui inizia davvero la sua grande storia di scienziato. Ma perché Gian quest’anno si trova al Meeting di Rimini, chi è Giovanni Lucentini che si è trovato ieri a raccontare al pubblico la storia del grande cardiochirurgo, lui, studente di medicina a Bologna, accanto a Paolo Ciliberti e Fiore Salvatore Iorio, rispettivamente cardiologo pediatra e direttore del dipartimento medico chirurgico di cardiologia pediatrica dell’Ospedale Bambino Gesù, incalzato dalle domande di Giorgio o stabile medico di reumatologia all’Hospital Piccole Figlie di Parma?
Giovanni è un ragazzo che solo un anno e mezzo fa sta studiando nella camera dell’amico Gerardo quando intravede nella sua libreria un libro dal titolo familiare Giancarlo Rastelli. Un cardiochirurgo con la passione dell’uomo. Lo aveva già visto, a casa sua: sua madre glielo aveva regalato da un amico nonché professore di Genetica di Giovanni, Pierluigi Strippoli. Era rimasto affascinato da una frase di Restelli: “Si ingannerebbe chi pensasse che è possibile imparare a mettere un punto senza saper tutto il resto. È tutto il resto è duro, perché è matematica, fisica, geometria della fisiologia, della patologia etc”. Giovanni si beve in libro, incappando nella figura di Gian qualche mese dopo lavorando con gli amici su un tema di ricerca in medicina. Gerardo di Gian aveva invece sentito parlare al sant’Orsola, dove svolgeva il tirocinio. Veniva citata spesso la “Rastelli procedure”, una particolare tecnica utilizzata ancora oggi nella cardiochirurgia pediatrica. Incuriosito scopre che esiste un libro, lo ordina e la copia arriva a casa sua il 2 febbraio, giorno dell’anniversario della scomparsa del medico. Accade quindi che nel gennaio del 2017 i ragazzi abbiano la possibilità di allestire a Bologna una mostra, decidono quindi di mettersi sulle tracce di quest’uomo insieme ai compagni di corso Andrea e Veronica. Tutte le porte si aprivano, al nome Rastelli medici e professori iniziavano a raccontare.
Alla Mayo Gian diventa in fretta un nome. Si è sposato, nel frattempo, nell’abbazia di Chiaravalle della Colomba (Piacenza) con Anna, conosciuta sciando sulle sue amatissime montagne. È il 1964 quando, di ritorno dal viaggio di nozze, svolgendo esami di routine, scopre di avere un linfoma. Due anni dopo nasce la sua prima bimba. Sì perché nonostante la malattia Gian continua a mordere la vita, a vivere febbrilmente il suo lavoro di padre e medico, ottiene decine di riconoscimenti, collabora alla stesura di un centinaio di lavori scientifici e alla creazione di una delle prime unità di degenza per i piccoli pazienti operati al cuore e viene incluso nel comitato per la realizzazione del primo cuore artificiale. Continua ad essere bravo, bravissimo, ottiene donazioni da capogiro per affrontare la grave cardiopatia congenita del ventricolo unico. Viene ricoverato nel 1970, lì dove per tutti era diventato un maestro, ma soprattutto un amico.
Dice Giovanni che dopo la mostra a Bologna, «la situazione ci sfuggì di mano». I ragazzi vengono invitati a portarla al Bambino Gesù e da lì fioccano richieste in tutta Italia. Finché Giovanni riceve una telefonata da Andrea Mariani, della Mayo Clinic. Lo invita in America a documentarsi, raccogliere testimonianze, il risultato è la mostra bellissima del Meeting “La prima carità al malato è la scienza” che racconta la vicenda umana e professionale del medico che a tutti chiedeva di «incontrare in Cristo, come un fratello di comune destino, ogni ammalato. Perché l’ammalato è l’altro da servire». Il medico che costringeva i compagni di corso a recitare a memoria il brano sulla carità di san Paolo, che aveva scoperto in America che il bravo cardiochirurgo non è quello che mette le pezze ai cuori, ma quello che conosce la complessità del tutto, di ciascuna disciplina di base. L’uomo che ripeteva che la prima carità è la carità della scienza, e che «sapere senza saper amare non è nulla, è meno di nulla», che stava davanti alla sofferenza dei suoi piccoli pazienti condividendone la malattia fino all’ultimo linfonodo. Che ai colleghi che lo ricordano come un gigante della carità e della scienza ha allargato il cuore e la speranza.
Ascoltatele, le testimonianze dei medici della Mayo che da Rastelli hanno imparato che senza amare l’ammalato non sarebbero stati i medici che sono ora, andate a vedere la mostra di Giancarlo Rastelli, o Gian, come qui dicono tutti. Perché Gian è un amico e qui al Meeting si capisce che l’amicizia contagiosa apre alla scienza strade e a scoperte incredibili.
Caterina Giojelli
Tempi.it, 20 agosto 2018