C’è un bambino in Inghilterra che si chiama Luis Walker, ha 7 anni, e soffre di una malattia che non si può guarire, ma si possono attenuarne gli effetti, che si scaricano soprattutto sul sistema respiratorio. Contro questa malattia, la fibrosi cistica, è stato inventato un farmaco, che viene venduto in tanti Paesi, compresa l’Italia, dove sul prezzo è stata raggiunta un’intesa tra il sistema sanitario locale e la ditta produttrice.
Purtroppo questa intesa in Inghilterra non è ancora raggiunta. Perciò la Sanità non passa il farmaco. Chi ne ha bisogno se lo deve pagare, e la famiglia di Luis non se lo può permettere. Per questa impossibilità la malattia di Luis peggiora, e questo peggioramento riduce anche le capacità mentali del ragazzino, rallenta il suo cervello. Ma non è per questo che scrivo questo articolo, ma bensì per l’iniziativa che il bambino ha preso: ha scritto due lettere, una alla premier inglese e una alla vice-presidente dell’azienda produttrice americana. C’è un’idea rivelativa, in quelle lettere, un’idea centrale, che spiega perché nasce questo problema e come si dovrebbe risolvere. «Se suo figlio avesse la mia malattia, lei abbasserebbe il prezzo della medicina», scrive alla vice-presidente della società produttrice.
È il cuore del problema. I malati, acquirenti del farmaco, sono sentiti non come figli, da trattare con amore, per liberarli dalla sofferenza, per il loro bene, ma come clienti da sfruttare, facendoli pagare il massimo, per il bene dell’azienda. Questo bambino di 7 anni, malato di una malattia debilitante, ha capito che per l’industria farmaceutica lui non è un bambino malato, ma un cliente. Protesta per questo. È una condizione che lo strangola.
Dalla prima ministra britannica ha ottenuto una risposta affettuosa ma vaga, di nessuna utilità pratica. Con ogni probabilità, otterrà una risposta analoga dall’azienda americana. Perché anche loro sono strangolati dal sistema che non lascia scampo, ci sono dentro, non possono eluderlo. È possibile anzi che questo scambio di lettere, a cui è stato dato (giustamente) rilievo mediatico, alzi il prezzo del prodotto, invece di abbassarlo, perché mostra al mondo l’importanza cruciale del farmaco, il dramma che si scatena dentro le famiglie se quel farmaco non arriva.
È crudele l’azienda produttrice che tiene alto il prezzo di un suo prodotto così utile, così necessario, ma è poco sensibile uno Stato che non lo passa ai suoi cittadini che ne hanno bisogno. I malati sono le vere vittime di questo braccio di ferro. Da una parte la voglia di guadagnare di più, dall’altra parte la voglia di spendere di meno, e in mezzo i malati, che vorrebbero semplicemente smettere di soffrire.
Se questo è il problema, si può indicare la linea etica per risolverlo, o almeno per impostarlo? Proviamo.
Il prezzo di un farmaco non dovrebbe essere alto perché è alto il dolore che esso combatte, ma dovrebbe dipendere dai costi investiti per crearlo e dalla vastità del mercato che copre. E certamente sarebbe così se i malati costretti a comprare quel farmaco fossero sentiti come figli o fratelli di chi lo produce. Il piccolo Luis ha visto giusto. Nel meccanismo dell’’affare’ lui si sente quello che è: una preda.
Ferdinando Camon
Avvenire.it, 24 agosto 2018