Il cattolico di oggi rischia di cadere nella trappola secondo cui “non vuole accettare la dottrina cattolica che la vita umana è una battaglia”.
Caro direttore,
la lettura del grande Chesterton produce in me sempre un senso di consolazione che fa pensare. Consolazione, perché è sempre bella la testimonianza di chi ti conferma nella fede ed insieme ti aiuta a giudicare la situazione. Nel caldo estivo e tranquillo, sto leggendo Perché sono cattolico (Ed. Gribaudi) e alle pagine 109-113 ho trovato quanto segue: “Coloro che abbandonano la tradizione della verità non acquistano quella che viene chiamata libertà, ma fuggono verso una realtà che sarebbe più opportuno chiamare moda (…). Lasciando il tempio noi ci incamminiamo verso un mondo di idoli, e gli idoli del mercato sono più deperibili e passeggeri delle divinità del tempio che abbiamo abbandonato (…). Mentre le domande sono veramente profonde e fondamentali, le risposte che vengono date attualmente non sono in realtà rivoluzionarie, ma solo superficiali”.
Ed in un’altra occasione, G.K.C. scriveva che uno dei motivi che l’avevano portato a convertirsi al cattolicesimo era che la Chiesa, sempre avanti nel tempo, lo tutelava dagli errori derivanti dall’epoca in cui viveva, errori insiti nella “moda”, che, tra l’altro, è sempre molto passeggera e, in fin dei conti, dura molto poco, mentre la Chiesa è destinata a vivere per tutti i secoli. Penso che tali giudizi, validi in ogni tempo, siano particolarmente adatti a descrivere i pericoli che i cristiani di oggi stanno vivendo, a volte con grande incoscienza. Mi pare proprio che sia in atto, in tanti cattolici, un vero e proprio cedimento verso le tante mode del nostro tempo, che, peraltro, il pensiero unico onnipresente riesce a reclamizzare molto efficacemente, facendo passare ogni desiderio per un “diritto”. E molti cattolici, appunto, ci cascano. Permettimi di fare qualche esempio, pur nella brevità di una semplice lettera, memore di episodio avvenuto all’inizio degli anni 70, quando il sacerdote cecoslovacco Zverina, oppresso dai regimi comunisti, inviò una lettera aperta ai cristiani d’occidente, invitandoli, con parole drammatiche, a non conformarsi al pensiero del tempo, secondo quanto raccomandato da san Paolo.
Il servo di Dio don Luigi Giussani fece propria tale lettera e la indicò ripetutamente ai suoi amici come punto di riferimento ineludibile per una vita cristiana integrale. Un primo aspetto riguarda il ripudio, messo in atto di fatto, della coscienza che Cristo ha posto nel mondo una realtà “diversa” da ogni altra e per il bene di tutti. Tanti cristiani hanno vergogna di questa loro diversità e fanno di tutto per essere accettati dal “mondo”, dimenticando che è proprio la “diversità” di Cristo a salvare il mondo. La conseguenza è che la cultura alla moda è prontissima a lodare i cristiani che nascondono la propria diversità, contribuendo così a rendere insipido il sale di cui i cristiani dovrebbero essere portatori. Così facendo, i cristiani finiscono con il “privatizzare” la propria fede e i propri valori, che si trasformano in diritti per tutto e per tutti, senza più alcun giudizio derivante dalla fede. In questo senso, i cristiani finiscono per accettare qualunque cosa il “mondo” proponga, anche quando si constatano le disastrose conseguenze di tali proposte.
Così, si abbandona ogni giudizio circa le conseguenze della legislazione sul divorzio e sull’aborto e si collabora, addirittura, all’approvazione della legge che ha istituito le unioni civili, facendole passare per simil-famiglie, anche contro lo stesso dettato della legge e dimenticando quanto recentemente ha ribadito papa Francesco (si può parlare di famiglia solo in relazione ad un rapporto stabile tra un uomo e una donna). Sintomatica anche la tendenza a mostrare simpatia verso la legge che, di fatto, ha aperto la strada all’eutanasia. Questo cedimento alle “mode”, di fatto ed anche contro ogni buona intenzione, sta facendo entrare in tante comunità cristiane la tentazione del relativismo, che non a caso Benedetto XVI indicò come una vera e propria dittatura culturale. Aprire la strada al relativismo significa anche ridurre l’esperienza religiosa a puro sentimentalismo, dove regna la parola più pronunciata in questo periodo, che è “emozione”.
Insomma, mi pare che il cristiano di oggi rischi di cadere nella trappola secondo cui “non vuole accettare la dottrina cattolica che la vita umana è una battaglia; vuole solo sentirsi dire, di volta in volta, dai giornali, che è una vittoria” (pagina 112 del libro citato). Ma attenti: è una vittoria del “mondo” delle mode e non di Cristo.
Peppino Zola
Tempi.it, 21 agosto 2018