Non ci dovrebbe essere bisogno di ricordare che il giornalismo debba essere scrupoloso, corretto e oltremodo rigoroso, per servire la libertà del cittadino e nell’interesse della res publica, e di un bene comune condiviso. Eppure forse mai come oggi, sembra esservi un atteggiamento saccente, in alcuni casi addirittura violento, proteso all’affermazione ideologica della cosiddetta ‘straordinarietà’, sempre e comunque in chiave negativa.
E questo è ormai il punto: a sembrarci straordinari e dunque degni di rilievo, sulla stampa nostrana, sono quasi sempre e solo i fatti e gli accadimenti riprovevoli e scandalistici che nessuno vorrebbe accadessero nel nostro tempo. Da una parte è evidente che nel generale degrado della società liquida, la crisi valoriale, soprattutto nei Paesi di tradizione cristiana, è a dir poco inquietante. Il fatto poi che alcune vicende giudiziarie abbiano riguardato personaggi del clero non ha certo giovato alla causa dell’evangelizzazione. Dall’altra però, mai come oggi, con sano realismo, dovremmo anche sforzarci di cogliere il bene che è presente nel mondo, a tutte le latitudini. Si tratta di una realtà sommersa che purtroppo non fa notizia.
A questo proposito, è illuminante una missiva che nel 2011, un missionario salesiano in Angola, don Martín Lasarte, inviò alla redazione del ‘New York Times’. Già allora la questione dei preti pedofili era alla ribalta negli Stati Uniti e in Europa e aveva suscitato la giusta indignazione da parte dell’opinione pubblica. «Il fatto che persone, che dovrebbero essere manifestazioni dell’amore di Dio – scrisse don Martín – siano come un pugnale nella vita di innocenti, mi provoca un immenso dolore. Non esistono parole che possano giustificare tali azioni.
E non c’è dubbio che la Chiesa non può che schierarsi a fianco dei più deboli e dei più indifesi. Pertanto ogni misura che venga presa per la protezione e la prevenzione della dignità dei bambini sarà sempre una priorità assoluta». Una presa di posizione, quella del salesiano, in perfetta linea con papa Francesco che, in questi giorni, non solo ha condannato gli autori di simili misfatti, ma ha anche chiesto perdono per chi vergognosamente ha inferto sofferenze indicibili alle vittime.
È evidente che la peccaminosa omertà di chi ha acconsentito a un simile degrado della vita umana è contro Dio e contro l’uomo. Ciò non toglie che sarebbe ingiusto fare di tutte le erbe un fascio, non foss’altro perché, in giro per il mondo, soprattutto nelle periferie geografiche ed esistenziali, vi sono uomini e donne consacrate che hanno fatto e continuano a fare l’esatto contrario di certi manigoldi. Sempre don Martín, nella sua lettera al giornale statunitense, si domandava come mai non vi fosse interesse da parte dell’informazione mainstream nei confronti di migliaia e migliaia di missionari/e «che si spendono per milioni di bambini, per tantissimi adolescenti e per i più svantaggiati in ogni parte del mondo».
E alcuni degli esempi che il salesiano citò, alla luce della sua esperienza angolana, vale la pena virgolettarli. «Non vi interessa che negli ultimi dieci anni abbiamo dato l’opportunità di ricevere educazione ed istruzione a più di 110.000 bambini… Non ha risonanza mediatica il fatto che, insieme ad altri sacerdoti, io abbia dovuto far fronte alla crisi umanitaria di quasi 15.000 persone tra le guarnigioni della guerriglia, dopo la loro resa, perché non arrivavano alimenti dal Governo, né dall’Onu. Non fa notizia che un sacerdote di 75 anni, padre Roberto, ogni notte percorra la città di Luanda e curi i bambini di strada, li porti in una casa di accoglienza nel tentativo di farli disintossicare dalla benzina e che in centinaia vengano alfabetizzati».
Non è stata certamente intenzione di don Martín compiere una sorta di apologia del mondo missionario, perché nella fede siamo ‘servi inutili’ e abbiamo fatto soltanto ‘quanto dovevamo fare’ (Luca 17,10), ma è evidente che c’è anche una responsabilità etica nel raccontare il bene testimoniato da molti nella società contemporanea. Si tratta di operare un sano bilanciamento con notizie positive e costruttive. Oltre a questo giornale, piccoli e limitati cenni di cambiamento si cominciano a vedere. Ma il cammino è ancora lungo per rinnovare l’offerta dell’informazione e non svalutare, dimenticare e nascondere la parte limpida e buona della realtà.
Giulio Albanese
Avvenire.it, 29 agosto 2018