Pyongyang, fino al 1948, era considerata la “Gerusalemme dell’Est” per la sua fiorente comunità cristiana. Oggi vi sopravvive una sola chiesa cattolica priva di sacerdoti. E’ il risultato di 70 anni di comunismo, che il regime di Kim Jong-un ha celebrato con una grandiosa parata il 9 settembre. Sono 70 anni di persecuzione e martirio.
Il 9 settembre scorso, la Corea del Nord ha celebrato i suoi 70 anni di storia con una grandiosa parata militare a Pyongyang. Il regime venne instaurato dai sovietici il 9 settembre del 1948, dividendo in due, da allora, la penisola della Corea. Pochi, in Occidente, hanno festeggiato i 7 decenni di regime, a parte il piccolo Partito Comunista di Marco Rizzo, che ha pubblicato i suoi auguri per i “70 anni di resistenza all’imperialismo”. Ancora meno persone, però, hanno fatto notare quale sia stato il costo umano di questi 70 anni di “resistenza”. Oltre ad essere uno dei paesi più isolati e poveri del mondo, è praticamente l’unico in cui il sistema dei gulag per i prigionieri politici e di coscienza funziona ancora come ai tempi di Stalin. I morti per mano del regime, dal 1948 ad oggi, sono nell’ordine dei milioni: una statistica ancora abbozzata, con stime che ipotizzano dagli 1 ai 3,5 milioni di assassinati, senza contare altri milioni di morti nelle carestie causate dalla collettivizzazione delle terre.
Fra le principali vittime della repressione, in un paese in cui tutte le libertà sono negate, c’è la minoranza cristiana. Pyongyang, prima che arrivasse l’Armata Rossa, era detta la “Gerusalemme dell’Est” per il gran numero di chiese, ospedali, scuole, università cristiane. Settant’anni fa era il più vitale centro cristiano dell’Asia Orientale. Dopo 70 anni di comunismo, è rimasta una sola chiesa per ogni confessione. Nella cattedrale cattolica di Jangchung, non vi sono preti riconosciuti dalla Santa Sede. La comunità è guidata da un laico che tutte le domeniche celebra la liturgia della parola. Il numero dei cattolici, secondo le statistiche ufficiali, è di 3000 fedeli in tutto il paese.
La storia del cattolicesimo in Corea è sempre stata molto travagliata. L’evangelizzazione incominciò nel XVII Secolo, ma dal 1758 il cristianesimo venne vietato dalla monarchia coreana e perseguitato con metodi brutali dal 1785 al 1879. I martiri coreani, che la Chiesa ricorda il 20 settembre, sono religiosi e laici vittime di questa persecuzione religiosa a cavallo del XVIII e XIX Secolo. Di essi, 103 vennero canonizzati da San Giovanni Paolo II nel 1984 e altre 124 sono stati beatificati da Francesco il 16 agosto 2014. Ma in un secolo e mezzo di persecuzione, i morti furono circa 10mila. Già terra di martiri, santi e beati, la Corea venne rievangelizzata nell’ultimo quarto del XIX Secolo, quando, poco dopo il Giappone, dovette aprirsi alle relazioni commerciali e diplomatiche con gli Stati Uniti. Furono soprattutto gli americani i principali evangelizzatori della Corea contemporanea. Assieme alle missioni, in maggioranza protestanti metodiste e presbiteriane, sorsero anche scuole, ospedali, seminari, università, case editrici, che contribuirono all’apertura e alla modernizzazione del paese asiatico, col beneplacito degli ultimi re della Corea unita e indipendente. Pyongyang, in particolar modo, era il centro della cristianità in Corea. Benché minoritari, in questa fase storica, i cattolici costituivano una comunità molto vitale e in espansione. Nel 1945, prima dell’arrivo dell’Armata Rossa, erano circa 50mila nell’attuale Nord Corea.
L’occupazione giapponese, iniziata nel 1905 dopo la vittoria contro la Russia, non fermò l’opera di evangelizzazione. Il problema sorse, semmai, nel 1941, quando il Giappone entrò in guerra con gli Usa ed espulse in massa i missionari statunitensi. Ma il peggio arrivò con l’Armata Rossa: quando Stalin dichiarò guerra al Giappone l’8 agosto 1945, l’esercito sovietico invase rapidamente la Manciuria (Nordest della Cina) e la Corea. Il regime di Stalin eliminò da subito la libertà di culto, chiuse le missioni e le chiese e incominciò a nazionalizzarne i beni. Nel 1948, il nuovo regime di Kim Il-sung, plasmato sul modello staliniano, diede il via alla persecuzione. I cristiani che poterono fuggire nella Corea del Sud si unirono alla massa di rifugiati, circa 1,5 milioni, che attraversò il confine quando si poteva ancora fare.
Nel 1950, il regime di Kim invase il Sud e provò a conquistarlo con una guerra lampo. I prigionieri religiosi, catturati nel corso della rapida avanzata, soprattutto a Seul, vennero costretti a marciare in pieno inverno verso i campi di concentramento, in una vera e propria marcia della morte. I più anziani, i malati, morirono di stenti, chi non riusciva a tenere il passo veniva fucilato dalle guardie. Fra i caduti della marcia della morte c’era anche il vescovo statunitense Patrick James Byrne, 62 anni, delegato apostolico a Seul. Avrebbe potuto salvarsi nell’evacuazione della capitale sudcoreana, ma decise di restare assieme ai fedeli. Fatto prigioniero dai comunisti e sommariamento processato, morì di polmonite durante la marcia della morte. Testimoni riferiscono che le sue ultime parole furono di ringraziamento al Signore, per aver ricevuto la grazia di una morte da martire. La commissione speciale dei vescovi coreani per le cause dei santi ha reso noto, nel marzo 2017, di aver iniziato il processo nazionale che porterà alla beatificazione – e poi alla canonizzazione – di due gruppi di martiri. Nel secondo gruppo, quello dei martiri del comunismo nordcoreano, figura anche il nome di Patrick James Byrne.
Dal 1953, anno dell’armistizio, Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs) stima che 200mila cristiani siano scomparsi. Fra questi c’era anche Francis Hong Yong-ho: nell’Annuario pontificio era indicato come vescovo di Pyongyang fino al 1 luglio 2013, ma di lui non si hanno più notizie da 70 anni. Padre Lee Eun-hyung (segretario generale della Commissione per la Riconciliazione del Popolo Coreano) esprimeva dubbi sull’esistenza di una Chiesa sotterranea in un’intervista rilasciata ad Acs il 7 giugno scorso: “Riteniamo che almeno diecimila nordcoreani continuino a coltivare la fede cattolica nel profondo del loro cuore. Ma è difficile credere che possa esistere una chiesa sotterranea in Corea del Nord”. Molte testimonianze dei rifugiati nordcoreani raccontano di donne anziane sedute in cerchio intente a contare i fagioli mormorando come se stessero recitando il rosario. Pregare, comunque, è molto pericoloso. Open Doors, l’associazione che pubblica ogni anno la lista dei paesi che perseguitano i cristiani, mette sempre al primo posto la Corea del Nord, il maggior persecutore del mondo. Ebbene, secondo le stime di Open Doors, tuttora dai 50mila ai 70mila cristiani sarebbero internati nei gulag.
Stefano Magni
La Nuova Bussola Quotidiano, 12 settembre 2018
http://www.lanuovabq.it/it/corea-del-nord-70-anni-di-persecuzione-dei-cristiani