Non c’è luogo comune più diffuso: “la Chiesa è contro il sesso”. Ma, a guardar bene la storia, il pregiudizio non regge. Anzi, si scopre che si tratta di una bugia ben costruita lungo i secoli, fino ad arrivare all’Ottocento che sferrò l’attacco definitivo che dura ancora oggi.
Sesso e Chiesa. Sembra un ossimoro. Una contraddizione in termini. Ci si potrebbe chiedere, a giusto titolo, se esista una “questione cattolica” del sesso. A tal proposito circolano facili slogan che imputano al cattolicesimo di istillare nelle coscienze l’idea di una radicale antitesi tra corpo e spirito, fino a vedere nell’esercizio della sessualità né più né meno che un antivangelo.
È cosa nota: non c’è forse luogo comune più ostinato e diffuso di quello della pretesa “sessuofobia” cattolica. La Chiesa? Odia il sesso, sicuro. Il cattolico? Uno svalorizzatore professionale del sesso. Tanto la domanda quanto la (sconfortante) risposta, tutto viene ricompreso, senza un barlume d’incertezza, sotto il grigio, piatto manto dell’ovvietà. «Bisogna ripensare i luoghi comuni – diceva Unamuno – per liberarli dal loro maleficio». È impegno urgente, anzi prioritario: ridare un’anima agli spazi – i luoghi comuni appunto – della conversazione quotidiana, bonificandoli dalle verità avvelenate della propaganda.
Qualche anno fa contro questa vulgata oltremodo scipita è insorta Costanza Miriano. La scrittrice perugina nella sua generosa lotta contro i falsi miti del progresso ha avuto facile gioco a ricordare che i cattolici, lungi dal demonizzare il sesso, in definitiva lo fanno – o almeno dovrebbero farlo – anche meglio (dalle sue parole ha tratto ispirazione una spiritosa linea di t-shirt dove campeggia il motto “catholics do it better”). La presunta ostilità cattolica nei riguardi del sesso, infatti, è un pregiudizio che non regge ad un’analisi storica approfondita come quella contenuta nel volume di Lucetta Scaraffia e Margherita Pelaja: Due in una carne. Chiesa e sessualità nella storia (Laterza, 2008). È un testo prezioso, che evidenzia come la Chiesa, rifiutando di collocare il sesso in una sorta di no moral’s land, abbia sempre mantenuto, almeno in linea teorica, una concezione complessivamente positiva dell’atto sessuale.
Non si dà una corporeità eticamente neutra, predica la fede cristiana. La mistica della carne rilanciata ai giorni nostri da Fabrice Hadjadj affonda le proprie radici nelle profondità della rivelazione biblica. Il corpo non appartiene alla sola sfera naturale, poiché con l’incarnazione del Verbo è divenuto, come dice san Paolo, il tempio dello Spirito Santo. Il cristianesimo, ricorda con forza Xavier Lacroix, è la religione dell’incarnazione.
«La salvezza cristiana passa attraverso il corpo», è l’inaudita sentenza che inchioda, una volta per tutte, le seduzioni del dualismo. La speranza cristiana non attende soltanto l’immortalità dell’anima, ma la resurrezione della carne. E così il corpo, che costituisce parte integrante della persona umana, non può essere scisso dalla sua natura spirituale. «Se la carne è immagine di Dio», scrive Scaraffia, «anch’essa può divenire strumento di salvezza».
L’importanza in termini simbolici e spirituali dell’atto sessuale trova riscontro nel suo frequente e disinvolto impiego, almeno fino alla prima metà del XVI secolo, nei campi dell’arte, della liturgia, della mistica e della teologia. Non serve che pensare alla definizione ambrosiana della Chiesa come “casta et meretrix” o alle narrazioni che attestano il culmine della vita mistica nel cosiddetto “matrimonio spirituale”. Celebri mistiche come Angela da Foligno, Caterina da Siena e Teresa d’Avila non esitano, nei loro scritti, a ricorrere a simboli e metafore sessuali per designare l’incontro dell’anima con Cristo-Sposo. La via seguita dalla mistica cattolica è quella di una “sensualizzazione del sacro” che contempla la trasposizione dell’amore fisico su un piano superiore, spirituale, e che non va confusa con la sacralizzazione della sessualità praticata dalle correnti gnostiche e dionisiaco-tantriche.
A partire dagli anni della Riforma, con l’insorgere delle accuse di materialismo e superstizione lanciate dai protestanti, l’uso metaforico della sessualità viene progressivamente tradotto dalla Chiesa di Roma su un piano più astratto. La satira grossolana e divertita dei lussuriosi costumi ecclesiastici, che farà le fortune di un Rabelais, è da considerarsi schietta eredità medievale. La raffigurazione del clero cattolico come casta voluttuosa e lasciva, un’immagine che peraltro non ha retto ad indagini sociologiche serie, è uno dei temi classici di una plurisecolare propaganda anticlericale. L’immaginario dell’ecclesiastico rapace e sessualmente avido prende forma fra tardo Medioevo e Rinascimento. Il protestantesimo anglosassone non fa che raccogliere questa eredità servendosi di pesanti allusioni sessuali in funzione anticattolica. Nel periodo illuministico prenderà definitivamente piede una copiosa letteratura pornografica ambientata in seminari e conventi (si pensi solo a La Religieuse di Diderot o ai romanzi di Sade).
È nell’Ottocento, con l’avanzare del secolarismo, che comincia a imporsi nella società occidentali una nuova moralità sessuale di ispirazione laica, talora con venature utopistiche ed eugenetiche. La nuova etica ripropone, anche se rovesciata di segno, la separazione di corpo e spirito predicata dall’eresia gnostica. Essa, dopo aver elevato la sessualità a parametro esclusivo dell’umano benessere, assegna una preminenza assoluta al corpo e contesta radicalmente la morale cristiana riconoscendo nella scienza l’unica istanza accreditata a parlare di sesso.
Non si tratta più di contestare la morale sessuale della Chiesa, bensì di negare la legittimità stessa del suo discorso. I cattolici, in società, sono invitati alla discrezione. Se possibile tacciano, per favore. Non si impiccino delle cose del sesso.
Emiliano Fumaneri
PEPEONLINE | Set 11, 2018