La decisione del City Council di New York di poter registrare all’anagrafe i figli come maschi, femmine o X è il simbolo dell’incertezza del futuro perché se elimini ad un figlio le sue radici, comprese quelle sessuali che sono caratterizzanti della sua persona, distruggi pure il suo domani che diventerà pure esso una incognita; è neutralità che sa di nichilismo, di rifiuto della realtà naturale.
A New York nasce la generazione X. Infatti alla nascita, dal primo di gennaio 2019, i pargoletti potranno essere registrati all’anagrafe con M, F o X. E’ la schedina del sessualmente corretto. Il City Council ha stabilito che i genitori potranno scrivere sul certificato di nascita che il loro bebè è un maschietto, una femminuccia oppure è un figlio sessualmente neutro, non perché gli attributi sessuali siano patologicamente indefiniti, ma per rispettare l’autodeterminazione del piccolo il quale potrebbe sentirsi violato nella sua libertà se si trovasse a crescere nel sesso voluto dal buon Dio. Che quindi il neonato decida da sé quando sarà adulto a che sesso appartenere. Naturalmente anche gli adulti potranno chiedere che una bella X compaia sul loro certificato di nascita.
«Oggi è una giornata storica per New York, sempre più campione mondiale sul fronte dell’inclusività e dell’uguaglianza» ha dichiarato lo speaker del City Council Corey Johnson. «I newyorkesi non avranno più bisogno della documentazione di un dottore per cambiare il proprio genere sul certificato di nascita e non saranno più trattati come se la loro identità fosse una questione medica». Nella fantasia malata degli attivisti genderisti in effetti questa trovata che proviene dalla Grande Mela è davvero innovativa. In giro per il mondo parlamenti e giudici avevano già previsto che la persona la quale non si sente né carne né pesce in termini di appartenenza sessuale potesse chiedere che sui documenti identificativi e su tutti gli altri documenti ufficiali fosse identificata con una X, ma prevederla sul certificato di nascita è davvero una mossa che taglia la testa al toro del buon senso.
Come rispondere all’obiezione che riconoscere il sesso di appartenenza del neonato potrebbe influenzare negativamente lo sviluppo dello stesso? Per analogia di argomenti citiamo un passo dell’Istruzione sul battesimo del bambini, documento redatto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Il passo riguarda l’obiezione di quei genitori che non battezzano il proprio figlio per non influenzarlo: “un tale comportamento [volto a non battezzare il bambino per non condizionarlo] è assolutamente illusorio: non esiste una libertà umana così pura, da poter essere immune da qualsiasi condizionamento. Già sul piano naturale, i genitori operano delle scelte indispensabili per la vita dei loro figli e li orientano verso i veri valori. Un comportamento della famiglia che pretendesse di essere neutrale per quanto riguarda la vita religiosa del bambino, in pratica risulterebbe una scelta negativa” (n. 22).
La logica sottesa alla decisione del City Council per coerenza dovrebbe essere applicata a tutte le scelte educative dei genitori verso i figli neonati. E così i genitori non dovrebbero decidere come vestire il figlio, come nutrirlo, se curarlo quando si ammala, quali ninne nanne cantargli, a quali parenti e amici darlo in braccio, etc. perché potrebbero condizionarlo. Anzi, già il fatto di farlo crescere nella loro famiglia e non in un’altra sarebbe un condizionamento alla sua libertà, così pure dargli un certo nome. Crescendo, le scelte educative dei genitori che imprimerebbero un certo orientamento al figlio aumenterebbero: tenerlo a casa oppure mandarlo al nido, farlo giocare con certi giochi o con altri o non farlo giocare affatto, leggergli delle fiabe o altre oppure nessuna, etc. La logica della neutralità nell’educazione dovrebbe essere spinta fino alle sue naturali conseguenze e quindi i genitori si dovrebbero astenere dal vestire il proprio figlio neonato, dal nutrirlo, dal tenerlo al caldo, dal curarlo, dal farlo dormire, etc. Ma anche decidere di non decidere è una scelta, una scelta non commissiva, ma omissiva. È impossibile quindi non scegliere. Dunque, dato che i genitori hanno il dovere naturale di educare i figli è impossibile che questi non compiano delle scelte. Ma se è inevitabile scegliere, occorre scegliere al meglio per il figlio.
Però a ben vedere non serve nemmeno spendere tutte queste argomentazioni di carattere pedagogico per il caso in questione, perché il riconoscimento del sesso del neonato non rientra, in senso stretto, nell’alveo delle scelte educative, bensì rientra solo e per l’appunto in un atto dell’intelletto assolutamente banale: riconoscere una realtà per quella che è. E i fatti precedono sempre le valutazioni. Qui infatti non si tratta se scegliere o meno di battezzare un figlio, dato che il sesso non si può scegliere, ma si tratta solo di riconoscere un fatto biologico che si deve solo accettare come elemento identitario sicuramente positivo.
Chi sostiene la bontà dell’iniziativa del City Council a rigore dovrebbe difendere anche le relative conclusioni logiche e così non dovrebbe riconoscere ad esempio che il bebè è figlio di Tizio e Caia, che ha due mani e due piedi, che è nato a una certa ora e in un certo ospedale e in un dato stato, che è sano o malato, etc. perché tutti fattori che potrebbero influenzarlo, dimentichi che il libero arbitrio non è mai immune da condizionamenti dato che la libertà si incardina sempre in un contingente, appunto in una condizione. Per assurdo poi i genitori dovrebbero per coerenza non riconoscere la stessa esistenza del figlio perché anche la medesima consapevolezza di esistere potrebbe in qualche modo influenzare negativamente il pargolo.
Certo è che la X, posta sul certificato di nascita, dal punto di vista semantico è segno efficacissimo per sintetizzare il delirio antropologico odierno: è l’incognita contro cui sbatte il pensiero debole, tanto sfiancato dalle idiozie ideologiche da essere incapace di riconoscere l’evidenza; è il segno di chi è tanto ignorante che non sa nemmeno scrivere il proprio nome, perché senza sesso sei nessuno e non puoi fregiarti di nessuna identità, nemmeno di un nome; è il tratto che si usa per cancellare le parole errate e in questo caso per cancellare l’identità sessuale e che viene indicato per scegliere un’opzione tra molte: maschio, femmina o altro? Decidi tu; è il simbolo dell’incertezza del futuro perché se elimini ad un figlio le sue radici, comprese quelle sessuali che sono caratterizzanti della sua persona, distruggi pure il suo domani che diventerà pure esso una incognita; è il segno della neutralità che sa tanto di nichilismo, di niente, di vuoto esistenziale, di rifiuto della realtà naturale, di un foglio bianco su cui poter scrivere tutto, ma che invece rimarrà bianco, perché l’illusione di poter essere chiunque porta sempre ad essere nessuno, all’azzeramento della persona, dal momento che noi siamo chiamati ad essere “uno”, ossia solo noi stessi, un “noi stessi” che ha una sua sola ed unica individualità (chiamasi identità), la quale non è una gabbia in cui marcisce il nostro “io”, bensì è l’unico luogo esistenziale per realizzarsi compiutamente; è l’emblema della volontà di onnipotenza che non riconosce la persona come un’entità data e definita anche sessualmente, ma che la vuole trarre dal nulla, che vuole crearla, atto possibile solo a Dio; è infine lo sfregio sul volto dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Nostro Signore.
Tommaso Scandroglio
14 settembre 2018
http://www.lanuovabq.it/it/maschio-femmina-o-x-e-delirio-antropologico