La Legge 194/78, dal titolo drammaticamente beffardo: «Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza», che autorizzò l’aborto, dovrebbe essere inaccettabile per ogni uomo. E’ profondamente ingiusta perchè la forza prevale nei confronti di chi non ha voce essendo piccolo, debole ed indifeso. Noi cristiani come possiamo modificarla? Luca.
Luca si interroga sulla possibilità di modificare, oggi, la legge 194/78. Non è modificabile, anche se questo è un profondo desiderio di ogni uomo che ama la vita, ben consapevoli che la normativa autorizza la madre ad esercitare un ingiusto diritto sul figlio innocente. Il livello politico segnala cecità e sordità, intimorito dagli stonati ritornelli: «La 194 non si tocca»; «Il diritto all’aborto è una conquista delle donne. Indietro non si torna». A noi non resta che impegnarci in alcuni settori: accoglienza e accompagnamento della donna, verifica dell’attuazione delle procedure preventive, crescita culturale nel rispetto della vita.
Dobbiamo ricordare che a fianco ad alcune donne che abortiscono con estrema disinvoltura, sono presenti madri con evidenti difficoltà che supportano angosciosi dilemmi; per loro, la gravidanza, è motivo di immense sofferenze. E’ nostro dovere accoglierle ed accompagnarle, donando loro amore, comprensione e coraggio, ben consapevoli che è ingenuo e semplicistico limitarsi ad affermare che la vita è sacra e non va soppressa. Alle future mamme nell’angoscia dobbiamo consigliare le istituzioni che le sosterranno e le assisteranno: i Centri di Aiuto alla Vita, i Movimenti per la Vita, i Consultori Famigliari di ispirazione cattolica. In Italia operano oltre 270 Centri di Aiuto alla Vita che, in 30 anni, hanno aiutato a nascere 70mila bambini. Il 78% delle donne soccorse avevano già ottenuto il certificato per abortire; l’incontro con questi enti e l’impegno dei volontari, hanno consentito loro di concludere serenamente la gravidanza. Queste associazioni hanno ideato anche il Progetto Gemma per l’adozione a distanza di madri a rischio di aborto. Forniscono loro, nell’anonimato e con riservatezza, per 18 mesi (gli ultimi sei mesi di gravidanza e il primo anno di vita del bambino), somme di denaro ed aiuti concreti. Il Progetto Gemma ha accompagnato oltre 15mila mamme. Noi possiamo contribuire offrendo del tempo come volontari, oppure economicamente. Altra alternativa all’aborto è la possibilità di partorire in ospedale anonimamente, ed abbandonare il neonato nella struttura sanitaria che provvederà alla cura (cfr D.P.R. 3 novembre 2000, art. 30, comma1). Non dimentichiamo, infine, le «culle per la vita» che si stanno aprendo in vari luoghi del nostro Paese.
A noi, difensori della vita, è chiesto di vigilare ed esigere che gli aspetti definiti «positivi» della legge 194, cioè i «filtri» previsti, ma poco attuati, siano rispettati ed ampliati. Ciò dovrebbe svolgersi nei consultori pubblici e in alcune strutture socio-sanitarie; è loro obbligo «far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza» (2). Costituiti come luoghi di accoglienza, di sostegno e di dissuasione, spesso si sono mutati per la carenza di risorse e per la presenza di operatori non obiettori, in «fabbriche dell’aborto», ammettendo ogni scusante della donna. La vigilanza va attuata anche nei riguardi degli «aborti tardivi» vietati dall’articolo 7, «quando sussista la possibilità di vita autonoma del feto», solitamente dopo la ventiduesima settimana.
Il terzo impegno riguarda il livello culturale per neutralizzare la pressante campagna massmediatica che sta midificando nella coscienza del popolo italiano un’azione negativa, in atto neutro o anche positivo essendosi formata, come ricordava Benedetto XVI al Movimento per la vita, «una mentalità di progressivo svilimento del valore della vita. Da quando in Italia fu legalizzato l’aborto ne è derivato un minor rispetto per la persona umana, valore che sta alla base di ogni convivenza, al di là della fede professata» (12 maggio 2008).
Alcune false convinzioni da modificare.
– Il non chiamare con nomi appropriati gli atti di violenza. Ammoniva san Giovanni Paolo II, riferendosi all’aborto, nel Messaggio della XIII° Giornata Mondiale per la Pace: «Bisogna chiamare l’omicidio con il suo nome: l’omicidio è omicidio». Il termine, aborto, sta scomparendo sostituito dall’espressione «interruzione volontaria della gravidanza». Osserva il moralista L. Ciccone: «E’ una sostituzione tutt’altro che innocente, una maniera elegante per creare una cortina fumogena attorno alla tragica realtà in questione. Interruzione è un termine per nulla drammatico, si interrompe una conversazione, una trasmissione televisiva, per riprenderla poco dopo, e il carattere omicida dell’azione si dissolve dietro un termine pacifico ed innocente» (La vita umana, Ares 2000, 102).
– Molti italiani, il 17 maggio 1981, affermarono: «L’aborto è un fatto di coscienza: io non lo farei mai, ma devo rispettare la libertà altrui». Dichiarazione viziosa, perché l’aborto non riguarda unicamente la coscienza della donna ma il diritto alla vita di un altro essere umano di cui siamo responsabili, essendo ogni uomo «il guardiano di suo fratello, perché Dio affida l’uomo all’uomo» (Evangelium vitae, 19).
– Chiesa e Stato. Per la mentalità comune, è legittimo che la Chiesa condanni l’aborto, ma lo Stato laico ha l’obbligo di legalizzarlo. L’errore del ragionamento sta nel fatto che l’aborto non è unicamente un peccato, ma un atto omicida. E nessuna società civile può legalizzare l’omicidio di Stato. L’articolo 2 della Costituzione Italiana, dichiara: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali…».
– La legalizzazione dell’aborto ha sconfitto l’aborto clandestino. Espressione falsa e non dimostrabile come già affermato in precedenza.
Con l’impegno di tutti, non abrogheremo la legge ma consentiremo a tanti bambini di nascere. Considerando il miliardo di «mai nati e mai amati», e il loro silenzioso grido di dolore, tutti dobbiamo agire affinché diminuisca il lamento di Rachele, che «piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più» (Mt. 2,18). L’atteggiamento spirituale ed umano lo suggerisce la beata madre Teresa di Calcutta: «Se sentite che qualche donna non vuole tenere il suo bambino e desidera abortire, cercate di convincerla a portarmi quel bambino. Io lo amerò, vedendo in lui il segno dell’amore di Dio».
don Gian Maria Comolli