Emilia Romagna Lgbt: se il reato di opinione sarà legge

By 11 Ottobre 2018Gender

Una norma in cui i trans hanno diritti speciali che parla di “violenza verbale, psicologica” in modo generico, che prevede privilegi nel lavoro per le persone Lgbt, la vigilanza sui contenuti dei media e l’indottrinamento scolastico: una stretta alla libertà di espressione in cui la discriminazione si realizza anche prima che il fatto si compia, un testo incostituzionale che serve al Parlamento.

Anche l’Emilia Romagna sta lavorando ad un testo di legge contro la libertà di espressione in materia di omosessualità e transessualità e per indottrinare al credo gender gli studenti. Ad esempio in Umbria è già vigente una legge simile e in Puglia è invece in gestazione. Il progetto di legge di iniziativa del Consiglio comunale di Bologna presentato in regione si chiama: “Contro l’omotransnegatività e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”.

Prima di analizzare per sommi capi l’articolato di questa proposta occorre rilevare che, al netto degli ovvi profili ideologici della legge, questa materia non è di competenza delle regioni, bensì del Parlamento. Infatti per ammissione degli stessi estensori, la legge riguarda i diritti fondamentali della persona e dunque avrebbe rilievo nazionale. Passiamo agli articoli, iniziando dal primo: la Regione “promuove e realizza politiche, programmi ed azioni finalizzati a consentire ad ogni persona la libera espressione e manifestazione del proprio orientamento sessuale e della propria identità di genere, nonché a prevenire e superare le situazioni, anche potenziali, di discriminazione e omotransnegatività, quali comportamenti di avversione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica”.

Alcune note. L’omosessualità e la transessualità diventano magicamente status della persona di rilievo giuridico al pari di “genitore”, “lavoratore”, “paziente” e “rifugiato”. Ergo questo status deve essere tutelato dallo Stato e dunque la persona omosessuale e quella transessuale, per il solo fatto di essere rispettivamente omosessuale e transessuale, vantano diritti peculiari (come i genitori, i lavoratori etc.). Ma nessuna legge dello Stato italiano afferma esplicitamente ciò ed anche se lo facesse sarebbe incostituzionale dato che la Costituzione è giustamente silente su questo aspetto. Seconda nota: si indicano come condotte discriminatorie “comportamenti di avversione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica”. Sono categorie concettuali troppo generiche.

Tutto e il contrario di tutto potrebbe essere rubricato sotto queste voci. Se giudico negativamente l’omosessualità – non la singola persona omosessuale, si badi bene – compio un atto discriminatorio? E se critico la pratica dell’utero in affitto? Se un uomo di Chiesa ricorda che gli atti omosessuali possono portare a dannazione eterna, come insegna il Magistero, è violenza psicologica? Addirittura, ci dice il testo di legge, la discriminazione si realizzerebbe non solo a fatto compiuto, ma anche laddove ci fosse una mera possibilità che si compia il fatto (“situazioni anche potenziali”). E’ il processo alle intenzioni. Quindi credenti e aderenti a forze politiche di destra potrebbero diventare soggetti a cui la polizia locale dovrebbe prestare attenzione, perché potenzialmente pericolosi.

Siamo nel pieno dello psicoreato descritto da Orwell. Rimaniamo sempre nell’art. 1: “La Regione garantisce il diritto all’autodeterminazione di ogni persona in ordine al proprio orientamento sessuale e alla propria identità di genere”. È di moda ormai inventarsi diritti che, lo ripetiamo, non possono essere cesellati dalle regioni, ma solo dal Parlamento. Il diritto all’autodeterminazione non esiste, semmai dalla Costituzione è tutelata la libertà personale che è altre cosa perché legata a precisi valori costituzionali, tra cui non sono presenti omosessualità e transessualità. Quindi non esiste il diritto all’autodeterminazione, figuriamoci il diritto all’autodeterminazione in  ordine al proprio orientamento sessuale. Non basta pensare che esista un diritto perché realmente esista, occorre riconoscere nell’uomo una inclinazione naturale ad un particolare bene (vita, salute, matrimonio, etc.) perché possa venire riconosciuto in ambito giuridico il rispettivo diritto, o diritti ausiliari a questo. I diritti non si possono inventare, bensì scoprire.

Proseguiamo. La Regione Emilia Romagna, oltre ad aderire a RE.A.DY (Rete nazionale delle Pubbliche Amministrazioni anti discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere), ossia un coordinamento nazionale degli enti locali sulle tematiche inerenti al gender, vuole implementare la formazione sulla teoria del gender tra gli studenti (art. 1), tra i docenti e i genitori (art. 3). In buona sostanza si vuole insegnare che l’omosessualità è una normale variante dell’attrazione sessuale e che un bambino può sentirsi imprigionato in un corpo sbagliato e voler diventare una bambina.

Passiamo all’art. 2: “La Regione e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, adottano interventi in favore delle persone discriminate in ragione dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere, anche mediante la promozione di specifiche politiche del lavoro, di formazione riqualificazione professionale nonché per l’inserimento lavorativo”. Tradotto può significare corsie privilegiate nel mondo del lavoro per le persone omosessuali e transessuali e immunità professionali invidiabili: se tu dirigente scolastico di un istituto paritario provi a non assumere alle scuole elementari un docente perché omosessuale, saranno guai.

All’art. 4 la Regione si impegna a finanziare associazioni gay. A questo proposito viene in mente lo scandalo a luci rosse, anzi arcobaleno, del febbraio del 2017 che coinvolse l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar), ufficio che fa capo al Dipartimento pari opportunità della Presidenza del Consiglio e che, così si scoprì, aveva finanziato con certezza almeno una associazione dedita ad attività culturali quali orge e festini.

All’art. 7 viene istituito un osservatorio che dovrebbe monitorare le discriminazioni e che invece potrebbe diventare un centro che raccoglie mere delazioni. Funzione simile viene assegnata dall’art. 8 al Comitato Regionale per le Comunicazioni il quale dovrà vigilare sui contenuti trasmessi da televisioni, radio e sui messaggi pubblicitari. In breve, altra stretta alla libertà di espressione.

Queste iniziative legislative, sia quelle esistenti che quelle in fieri, oltre a rispondere ad un dovere di allineamento al politicamente corretto, vogliono anche creare un clima di pressing sul Parlamento. Infatti, se una decina di regioni vareranno leggi simili, come potranno i deputati romani fare ancora spallucce? Non sarà tempo, penserà qualcuno,  di tirare fuori dal cassetto il famigerato disegno di legge dell’On Ivan Scalfarotto sulla cosiddetta omofobia?

Tommaso Scandroglio

27 settembre 2018

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