C. Siccardi, PAOLO VI. Il Papa della luce
La figura di Giovanni Battista Montini (Concesio, Brescia 1897- Castelgandolfo 1978), dall’alto profilo intellettuale e spirituale, per i più impopolare perché sconosciuta, è ben diversa dalla rappresentazione che i mass media gli hanno dato, cioè quella del Papa triste, dubbioso, amletico, mesto.
Non si ama ricordare il quindicennio petrino di Paolo VI, quello che incorpora, per l’Italia, i dorati anni Sessanta e i funesti “anni di piombo”. La figura di Montini, dal profilo intellettuale e spirituale di altissimo livello, è scomoda: nobile d’animo e di portamento, intellettuale raffinato e signorile, costantemente proiettato nel divino… Personalità poliedrica, complessa, discussa, capace di procurare le vertigini, ma privo di leggenda… Lo stereotipo dell’uomo chiuso, introverso, angosciato, dubbioso, triste… conoscendo la sua vita, non ha più ragione di essere, scoprendo che le interpretazioni distorte sono state dettate molte volte dalla malafede.
Giovanni Battista respirò, fra le pareti domestiche, tutto il calore e l’intelligenza del cuore dei suoi «degnissimi genitori», come lui stesso definiva Giorgio Montini e Giuditta Alghisi: dal primo ereditò la resistenza al male, il coraggio, l’intrepidezza; dalla madre il senso del raccoglimento e la passione per la letteratura francese. Disse: «All’amore di mio padre e di mia madre, alla loro unione (perché non si deve mai separare il padre dalla madre) devo l’amore di Dio e l’amore degli uomini».
Il Pontificato fu un vero e proprio martirio: il suo fu un lavoro estenuante di intelletto e di cuore, uno sfinimento di elaborazioni per fronteggiare le correnti opposte e avverse alla Chiesa, esplose durante e nel post Concilio; parlò con forza e con amore ad un mondo moderno legato alla materialità e lontano dallo spirito, dove l’uomo si metteva, e si mette, al posto di Dio con arroganza, con tracotanza, in un antropocentrismo esasperato.
Tuttavia è l’uomo che, essendo mistico nell’intimo, monaco nell’anima (avrebbe desiderato farsi benedettino), non ama governare e spesso, ponendosi nell’ottica dell’interlocutore per sensibilità e rispetto, diventa influenzabile. Inoltre non aveva potuto approfondire la teologia perché, per ragioni di salute, non aveva frequentato il Seminario. Era stato formato alla scuola dei genitori (passione politica il padre, passione culturale e letteraria di stampo francese la madre) e dell’Oratorio della Pace di Brescia, guidata dagli Oratoriani di San Filippo Neri, dove aleggiava un’atmosfera novativa.
Abbiamo ritrovato un prezioso carteggio che Giovanni Battista Montini, ancora arcivescovo di Milano, tenne con i monaci del monastero benedettino di Engelberg, in Svizzera. Montini, infatti, se Dio non l’avesse chiamato – «tirato per i capelli» – a svolgere compiti nella Chiesa sempre più alti e gravi (da minutante della Segreteria di Stato presso la Santa Sede ad Assistente ecclesiastico nazionale della Fuci, da Sostituto della Segreteria di Stato a Segretario della Cifra, da responsabile dell’Ufficio informazioni del Vaticano per lo scambio e la ricerca di notizie su prigionieri, militari e civili ad arcivescovo di Milano, fino ad essere eletto Sommo Pontefice), la sua aspirazione sarebbe stata quella di vestire l’abito benedettino, una spiritualità che sentì sempre molto vicina al proprio sentire.
Paolo VI, che smantellò gran parte degli apparati coreografici presenti in Vaticano, era molto attento al linguaggio dei simboli, fra i più significativi senz’altro la Via Crucis all’interno del Colosseo di Roma: da allora il rito si ripete annualmente.
Il Papa, che per primo oltrepassò i confini italiani, raggiungendo la Terra Santa, dopo San Pietro, realizzando nove viaggi intercontinentali di amplissima risonanza; che assistette, nel 1969, allo sbarco dell’uomo sulla Luna e che amava filosofi (fu amico d’anima di Jean Guitton), poeti e artisti, portò una croce pesantissima, conducendo a termine un Concilio scosso da venti innovatori e rivoluzionari. Ma Paolo VI è stato il capitano che, con sapienza, ha traghettato la Chiesa sulle sponde di un’era logora, incerta, dubbiosa, scristianizzata, disorientata, confusa, materialista. «Non è stato il Papa amletico, ma il papa dell’ascolto. Si è trovato a vivere un’epoca amletica, dove i punti fermi si erano persi in migliaia di rivoli d’acqua e lui, ben saldo alla Chiesa petrina, ha cercato di ricondurre gli smarriti o quelli in procinto di esserlo alla sorgente, a Cristo».
Calunniato e vessato, Paolo VI, il Papa del Credo (pronunciato a conclusione dell’Anno della Fede il 30 giugno 1968) fermo e deciso (quello che lo stesso monsignor Marcel Lefebvre plaudì per il respiro della Chiesa e della Tradizione in esso contenuto), fu crocifisso quando, nel 1968 – anno cruciale – “osò” scrivere l’Humanae vitae sul controllo naturale delle nascite. Il documento papale si dichiarò contrario alla pratica della contraccezione se non con metodi naturali, in opposizione all’edonismo e alle politiche di pianificazione familiare. E la bufera che sul Papa si scagliò fu immensa. Da allora Paolo VI non utilizzò più il genere dell’enciclica nei suoi documenti successivi per evitare di logorare inutilmente l’autorità del Pontefice.
Il magistero di Papa Montini rischiara il cammino, precede, sollecita, istruisce, rassoda le coscienze. «Il papa parlava in nome di Cristo e in quell’ora di passione fu grande, mai così grande. Feroci disapprovazioni, isolati consensi, diminuzioni delle visite alla sua persona, religiosi e fedeli interdetti; inviti, addirittura, a lasciare la cattedra di San Pietro».
Paolo VI inviò una lettera il 22 dicembre 1969, all’allora onorevole Giulio Andreotti per manifestare tutta la sua disapprovazione alla legge sul divorzio: «… non posso trovare conforto all’amarezza che mi affligge profondamente per la grande ferita, inflitta alla inviolabile norma umana e cristiana circa la stabilità e la santità della famiglia…».
Fin dalla giovinezza diede prova di essere ancorato alle fondamenta dell’insegnamento millenario della Chiesa e allo stesso tempo mantenne nel corso dei decenni quella freschezza di pensiero e di azione che lo contraddistinse. Animo giovane, sempre, grazie alla sua sete di Verità, alla sua curiosità intellettuale. Persona intimamente libera, lieta di volare là dove lo Spirito la chiamava a presenziare. Usava il cilicio per penitenza e sacrificio come gli antichi anacoreti cristiani e allo stesso modo amava i suoi contemporanei, l’uomo e il mondo del suo tempo, per questo Paolo VI lo si può definire uomo antico e moderno contemporaneamente. Uomo, in definitiva, senza tempo: «Non ho avvenire», usava dire, «salvo l’eternità».
Sabato 5 agosto 1978 scrisse il discorso che più non pronunciò per l’Angelus della domenica. Quel giorno si sentì male, lo colse un forte attacco di artrosi con febbre. La domenica l’edema polmonare si acutizzò. Alle, 18,15 i presenti udirono Paolo VI pronunciare le parole «Pater noster qui es in coealis». Fece ciao con la mano e spirò. Erano le 21,40 e in quel preciso istante suonò la sveglia, nessuno l’aveva caricata per quell’ora: era sul comodino da notte e sempre l’aveva accompagnato, da quando l’aveva acquistata a Varsavia, nel tempo in cui era stato Nunzio apostolico in Polonia. Era domenica, giorno del Signore, giorno della Trasfigurazione: per tutta la vita aveva cercato di conoscere faccia a faccia la Verità, per tutta la vita aveva cercato la Trasfigurazione.
Dalla Premessa di Cristina Siccardi
(Paoline, pp. 430, €. 24,00)