Il presidente Cespa: «Non posso pensare che in questo mondo ci siano piccoli che non hanno possibilità di diventare adulti».
Stanno cercando di trovare i soldi in ogni modo. La piccola ha un anno e mezzo, la leucemia e un mese di vita. Si potrebbe provare a curarla, ma costa molto e poi c’è una bella cifra per il viaggio e tutto il resto, a cominciare dal tempo che è poco, pochissimo. Ma loro non si arrendono. Quelli dell'”Associazione Kim onlus”, che vive di donazioni e grazie a queste ha fatto vivere molti bimbi. «Non posso pensare che in questo mondo ci siano piccoli che non hanno possibilità di diventare adulti», spiega Paolo Cespa, presidente dell’associazione, che si muove fianco a fianco con gli ospedali (il pediatrico Bambino Gesù e il policlinico Gemelli per primi). Kim è un personaggio bambino di Rudyard Kipling ed è anche appunto il nome dell’associazione che negli ultimi ventun anni ha accolto oltre 400 piccoli malati gravemente malati (coi loro genitori) provenienti da 61 Paesi.
Più o meno ogni volta la strada è la solita, più o meno. Quando arriva una segnalazione, l’associazione contatta l’ambasciata, se c’è dichiarazione d’incurabilità nel Paese di origine tocca agli ospedali romani e se è possibile tentare una cura, in pochissimi giorni (si tratta sempre di patologie gravi, bisogna muoversi in fretta), si acquistano i biglietti aerei, si predispone l’accoglienza del genitore e la macchina parte.
A proposito. La fa sgommare sul pavimento e ride: non è iperaccessoriata e costosa, ma alla sedia a rotelle pensano le sue braccia e meno male che ha solo undici anni. Una nuova piccola si affaccia e si nasconde fra le gambe della mamma, spaesata, timida, fra mezz’ora sarà sul dondolo in giardino, da sola.
La penultima arrivata, sempre una bimba, ha volato dieci ore ed è sbarcata l’altro ieri sera, subito visitata dalla pediatra della onlus, è stata portata in ospedale, in rianimazione, poi già ieri mattina prima operazione: in Venezuela non potevano seguirla, l’ospedale nemmeno aveva i fili per le suture o i soldi per comprarli.
Bibi Palatini ha quasi 42 anni e cura la comunicazione di “Kim onlus”, la sua storia è particolare. «Una sera, due anni fa, mi hanno portato a cena qui. Ho mangiato un piatto di pasta col pomodoro a tavola con tanti bambini e adulti, poi ho passato il resto della srata a giocare a palla con un bambino sulla carrozzina», racconta. Infine «sono andata via emozionata, innamorata, stranamente allegra». È triestina, curava la comunicazione di una grossa azienda. Nel giro d’un fine settimana, dopo quella sera, s’è licenziata, ha lasciato tutto ed è venuta a lavorare a Roma con l’associazione Kim.
Pino Ciociola
4 ottobre 2018
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