Verità, libertà, opposizione a ogni integralismo. 50 anni fa moriva il grande filosofo e teologo italo-tedesco. Un saggio ne ricostruisce l’idea di Chiesa che sarebbe in parte emersa dal Vaticano II.
Sin da giovane Romano Guardini aveva in mente un cattolicesimo non intransigente né conservatore, come negli anni successivi alla prima guerra mondiale accadeva in Germania. Pensava piuttosto a un «risveglio della Chiesa delle anime», una Chiesa nemica dell’autoritarismo e basata su un’adesione pienamente libera. Sono gli anni in cui il pensiero di Guardini è già delineato, gli anni Venti del secolo scorso, in cui pubblica Il senso della Chiesa (1922) e L’opposizione polare (1925), testi che segneranno lo sviluppo del suo sforzo speculativo sino alla morte, avvenuta il 1° ottobre 1968, esattamente cinquant’anni fa.
Ma sono anche gli anni in cui la cultura tedesca è ancora imbevuta di conservatorismo, soprattutto quella di segno cattolico, e Guardini viene criticato anche aspramente. Di fronte alle sue aperture nei confronti del modernismo, di cui sottolinea gli elementi di verità nonostante la condanna di Pio X del 1907, un certo Carl Sonnenschein scrive: «Siamo in una città assediata, perciò non ci sono problemi, bensì solo parole d’ordine». Per il filosofo italotedesco è un motto assolutamente sbagliato: «Non si possono congedare i problemi – gli risponde – . Chi li avverte deve applicarvisi, specialmente se è responsabile sul piano intellettuale e spirituale».
Guardini è insofferente verso chi dentro il cattolicesimo dimostra chiusura mentale: la polarità verità-libertà per lui è essenziale purché l’una non discrimini l’altra. E se a suo parere va giustamente criticato il relativismo moderno, allo stesso tempo bisogna confrontarsi apertamente con le sue sfide e rifiutare un ritorno al medievalismo. Per lui la Chiesa non può essere «una polizia spirituale» ma «la Vita nuova di Dio». Deve essere madre: «Solo allora la posso amare».
Rifiutando la Neoscolastica, il cui orizzonte ha dominato la cultura cattolica per tutta la prima metà del ’900, Guardini risente del clima esistenzialistico che caratterizzava la sua generazione e che avrebbe contagiato numerosi esponenti del pensiero cristiano, da Etienne Gilson a Gabriel Marcel, da Jacques Maritain a Cornelio Fabro, da Luigi Pareyson ad Augusto Del Noce, da Martin Buber a Franz Rosenzweig ed Erich Przywara.
In Germania determinante era l’influsso di Kierkegaard: subito dopo la fine della Grande Guerra un po’ in tutta Europa si era assistito al tracollo dei grandi sistemi idealistici e positivistici che avevano segnato la seconda metà dell’800 ed era prevalso un «pensiero della crisi», fortemente condizionato dall’angoscia per la morte e da un senso apocalittico. E dal ritorno della “persona”.
Il cattolicesimo di Guardini, che avrebbe a lungo insegnato Weltanschauung cristiana in varie università tedesche, da Berlino a Monaco, cercando così di applicare la visione cristiana del mondo a tutti gli aspetti della cultura, dalla poesia alla musica, dalla tecnica alla filosofia, non prescinde mai dalla considerazione dell’individuo e della sua libertà. Un’idea basilare che agli avrebbe sempre tenuto presente, non solo nella sua attività teorica ma anche come educatore: per decenni fu responsabile del principale movimento cattolico giovanile tedesco e animò gli incontri annuali al castello di Rothenfels, finché il nazismo non li avrebbe vietati.
In una lettera all’amico Josef Weiger nel 1915 esprime tutta la sua riluttanza verso le posizioni integraliste, che vogliono creare un sistema per tutto e per tutti, e verso una religione troppo manifesta, esprimendo la sua preferenza per il concetto di discretio: «È proprio dell’essenza più profonda dell’autentica religione riconoscere la relativa autonomia degli ambiti naturali dell’essere e del valore; quindi di non farla dissolvere nel rapporto religioso immediato, facendo di tutto una religione diretta. Ciò è integralismo. È sempre una credulità cattiva, e nel più profondo di se stessa insicura, a esercitare violenza a partire dall’elemento direttamente religioso. Ogni violenza proviene dalla paura, anche in cose di fede». Il suo no all’integralismo diviene un no al fondamentalismo: una posizione che si manifesterà con chiarezza proprio di fronte all’emergere della dittatura hitleriana. Per lui i giovani andavano educati a respirare la libertà e non a subire la legge del conformismo e della sopraffazione.
La prima fase dell’elaborazione del suo pensiero è acutamente esaminata in un saggio di Massimo Borghesi appena uscito da Jaca Book: Romano Guardini. Antinomia della vita e conoscenza affettiva è il titolo del volume (pagine 218, euro 20) che ricostruisce in maniera organica, servendosi anche di materiale inedito, gli anni della formazione di Guardini, la sua idea di Chiesa così vicina a quella che sarebbe emersa dal Concilio Vaticano II, i tratti peculiari del suo percorso speculativo a partire dalla famosa teoria dell’opposizione polare che tanto piace a papa Bergoglio. «La teoria degli opposti è la teoria del confronto – avrebbe spiegato nel 1964 lo stesso Guardini tornando sulla questione –, che non avviene come lotta contro un nemico, ma come sintesi di una tensione feconda, cioè come costruzione dell’unità concreta».
In opposizione a Carl Schmitt e Martin Heidegger, egli concepisce il cattolicesimo come coincidentia oppositorum , come unità armonica fra l’elemento romano e quello germanico della civiltà europea, come unica religione universale e totale. E in contrasto con le linee dominanti della Neoscolastica vuole dare vita a una nuova sintesi fra agostinismo e tomismo in base al concetto di «conoscenza affettiva».
Borghesi bene ricostruisce l’itinerario attraverso cui Guardini realizza la sua visione: «Occorre ripristinare il ponte fra un esistenzialismo cristiano di derivazione platonico-agostiniana e una concezione integrale della natura umana, unione di corpo e di anima al modo aristotelico-tomista, come risposta adeguata alle critiche di Nietzsche». Di qui la sua preferenza per Bonaventura, per l’unità fra cuore e ragione, fra amore e conoscenza. E, come avrebbe sottolineato Ratzinger, per quel filone del pensiero cristiano segnato più che da Agostino dallo Pseudo-Dionigi. «Si tratta – scrive Guardini nel suo volume su Pascal – della tradizione più nobile che conosca l’Occidente cristiano, quella che ha la sua espressione teoretica nella philosophia-theologia cordis». Alla quale vengono ascritte anche figure della mistica e santi come Bernardo di Chiaravalle e Francesco d’Assisi, per arrivare al cardinale Newman e a Rosmini fino a filosofi come Kierkegaard e Scheler e ai russi Solov’ev e Florenskij.
Roberto Righetto
30 settembre 2018
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