Chad Felix Greene è un giornalista americano, dichiaratamente omosessuale, che alla fine dell’estate ha svelato in un pezzo pubblicato su The Federalist sei storie inventate, sei fake news, propalate dai media mainstream, tese a manipolare l’opinione pubblica e innanzitutto le persone LGBT, fuorviandole, ingannandole, per farle sentire perseguitate in un mondo carico di omofobia.
La tecnica usata, come in tutte le notizie false e tendenziose, è il proclamare affermazioni apodittiche e non dimostrate, omettere dettagli importanti e dare enfasi errata ad altri particolari.
Prima fake news, lanciata dal Washington Blade
A luglio il deputato Jeff Duncan ha presentato un disegno di legge volto a stabilire che sulle sedi delle ambasciate americane deve essere esposta solo la bandiera americana: «La bandiera degli Stati Uniti è il più grande simbolo di libertà che il mondo abbia mai conosciuto, e non c’è motivo perché altri simboli, diversi dalla Old Glory, sventolino sulle nostre ambasciate e postazioni in tutto il mondo». Le sue idee a proposito di bandiere e libertà possono anche essere opinabili, ma la notizia è stata presentata così: «Un parlamentare repubblicano ha presentato una proposta di legge per impedire alle ambasciate statunitensi di battere la bandiera del Pride in riconoscimento della comunità LGBT».
Seconda fake news, pubblicata su Attitude UK
Seth Owen, uno studente modello di 18 anni è stato «cacciato di casa dai suoi genitori quando hanno scoperto che era gay». La verità è che il ragazzo ha fatto outing con i suoi genitori a 15 anni. Ed essi, per quanto gli avessero chiesto di confrontarsi per breve tempo con uno psicologo, hanno continuato a vivere con lui e lui ha continuato a frequentare il liceo con risultati più che brillanti. Quando il ragazzo ha compiuto 18 anni ha litigato con suo padre sulla religione e sulla pratica della famiglia che frequentava la chiesa battista. Il padre allora disse che se Owen non voleva più frequentare la chiesa con il resto della famiglia, doveva andarsene a vivere per conto suo.
Terza fake news, pubblicata da Queerty
Laura Jean Landon, neozelandese, nel 2016 ha utilizzato l’app Grinder per organizzare un incontro con un omosessuale. Ma era una trappola: insieme ad altri due uomini, la Landon ha minacciato e insultato il malcapitato, hanno compiuto violenze sessuali e l’hanno rapinato. La donna è stata presa e condannata a quattro anni e mezzo di prigione. La storia è reale, stile “Arancia Meccanica”, grave ed esecrabile. Ma è stata presentata in questo modo: «Donna irrompe in casa di un gay e lo costringe ad assistere mentre copula con un complice per dargli un esempio su come comportarsi».
Quarta fake news, ancora il Washington Blade
Quando a luglio il procuratore generale Jeff Session ha annunciato la creazione di una task force per garantire la libertà religiosa, durante un summit del Dipartimento di Giustizia, ha spiegato chiaramente che esso mira a garantire la libertà religiosa di tutti gli americani. Il Blade ha immediatamente lanciato l’allarme omofobia, facendo riferimento alla vicenda del pasticcere Jack Phillips che si rifiutava di fare torte per i matrimoni gay e che ha vinto la causa in nome della libertà religiosa. Nessuno ha rilevato che il pasticcere ha sempre sostenuto di essere felice di vendere torte a chiunque, indipendentemente dalla sua identità sessuale. E che quindi non ha mai discriminato le persone. E nessuno ha tenuto conto che il Dipartimento non ha fatto alcun riferimento agli orientamenti sessuali delle persone, nè etero, né gay.
Quinta fake news, sull’Huffington Post
Scrive il Post «la destra religiosa sostiene e promuove la criminalizzazione del sesso gay». Ma Greene nota che il pezzo era pura speculazione costruita su commenti di alcuni leader conservatori cristiani, alcuni più vecchi di dieci anni, riguardo alla natura dell’omosessualità e agli effetti della legalizzazione del “matrimonio” gay. Nessun accenno, nessuna proposta di vietare per legge i rapporti omoerotici.
Sesta fake news, su LGBTQ Nation
«Il Dipartimento di Stato sta revocando retroattivamente i passaporti dei cittadini trans»: questo titolo era basato sulle affermazioni di due uomini che si sentono donne che sostenevano che gli era stato negato il rinnovo dei passaporti. Il titolo è presto stato cambiato, perché lo stesso National Center for Transgender Equality ha presto ammesso che questione non aveva a che fare col sesso dichiarato sul passaporto dei due, ma è stata causata da un errore burocratico dell’agenzia passaporti. Il titolo , allora è stato cambiato: «Dicono che i timori sui passaporti delle persone trans sono esagerati».
Questo modo di presentare le notizie è disonesto. E purtroppo è diffuso, non solo in Usa, ma in tutto il mondo, non solo nell’ambito delle questioni LGBT.
Ma chi diffonde notizie false e tendenziose, per fomentare il senso di oppressione di una minoranza, per creare un clima persecutorio anche laddove la persecuzione non c’è, fa il bene di quella minoranza? Non sarà questa la vera omofobia?
Francesca Romana Poleggi
https://www.notizieprovita.it/gender/fake-news-e-omofobia-parla-un-giornalista-gay/