Tra le meraviglie apportateci dalla modernità c’è anche questa: uno spaventoso tasso di suicidi. Nel Medioevo, quando la vita era infinitamente più dura, il fenomeno era pressoché sconosciuto. Ma erano i secoli cristianissimi e la Chiesa faceva buona guardia. Oggi, in epoca post-cristiana, la vita terrena è tutto, e non c’è altro dopo. Perciò, se la sua «qualità» non mi soddisfa, la butto via.
Tra le meraviglie apportateci dalla modernità c’è anche questa: uno spaventoso tasso di suicidi. Nel Medioevo, quando la vita era infinitamente più dura, il fenomeno era pressoché sconosciuto. Ma erano i secoli cristianissimi e la Chiesa faceva buona guardia. Solo in Giappone la pratica del suicidio era stimata e considerata onorevole. Nella Cristianità, al contrario, era il peccato più riprovato, tanto da non meritare né funerali né sepoltura in terra consacrata.
E’ cambiato tutto, anche se il cambiamento più significante e vistoso non viene nemmeno preso in considerazione dalle statistiche, neppure dalla sociologia. Scrivo mentre un giovane che conoscevo, fresco di diploma, giace morto dall’obitorio di Milano. Si è buttato dalla finestra, aggiungendosi ai quattromila suicidi annui che si contano nel nostro Paese. E ingrossando l’altra statistica, quella che vede il suicidio come seconda causa di morte tra i giovani dai quindici ai ventinove anni. La prima sono gli incidenti stradali, visto che la giovinezza è il tempo della pienezza delle forze e, dunque, il tempo in cui difficilmente si muore di morte naturale.
E in Italia, si fa per dire, va ancora bene. Tra le nazioni industrializzate ha uno dei tassi suicidari più bassi: «solo» 4mila suicidi l’anno. In Europa uno dei peggio messi è il Belgio che, tra suicidi, aborti e eutanasie, gareggia per svuotarsi di belgi e riempirsi di musulmani. In Inghilterra il governo ha dovuto dotarsi di un quasi-ministero ad hoc, con un sottosegretario alla Salute distaccato alla prevenzione del suicidio britannico, che dal 2010 è cresciuto del 67%: una galoppata mostruosa che colpisce gli uomini al di sotto dei quarantacinque anni. Per questa fascia d’età, nel Regno Unito il suicidio è la prima causa di morte. Addirittura. Quasi che gli inglesi, dopo il calcio e le freccette, abbiano inventato quest’altro hobby. Abbiamo detto uomini, perché sono i maschi quelli che si suicidano di più (la nostra firma Roberto Marchesini potrebbe spiegarci questo arcano), quasi il doppio che le femmine.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel mondo si toglie la vita un persona ogni 40 secondi. E i tentati suicidi sono venti volte più numerosi. Senza contare che, troppo spesso, il tentato sucida di oggi è il suicida-suicida di domani, perchè esiste, ahimè, una dannata coazione a ripetere in questo campo. Il fascismo, che ne aveva i mezzi, vietava ai giornali di riportare le notizie di suicidi, in quanto esiste un effetto-imitazione, come ben sanno i cronisti: quando riferiscono di un suicidio, quasi certamente nel giro di una settimana arrivano gli imitatori con le stesse modalità. Lo stesso vale, statisticamente parlando, per chi ha avuto un suicidio in famiglia.
Oggi, in epoca post-cristiana, la vita terrena è tutto, e non c’è altro dopo. Perciò, se la sua «qualità» non mi soddisfa, la butto via. Dopo? La Chiesa ci ripete, oggi, che c’è la «misericordia» (con ciò annullando la deterrenza). Dunque, non più l’Inferno. Sarà vero? Speriamo di sì. Del resto, nell’era degli psicofarmaci non si può neanche dire con certezza se un suicida abbia commesso il suo peccato (perché questo è) con «piena avvertenza e deliberato consenso» come vuole il Catechismo.
Certo che una società in cui una delle principali cause di morte è il suicidio e una delle principali voci farmaceutiche riguarda gli psicofarmaci sarebbe da ripensare di sana pianta, visto che il «progresso», e non solo quello tecnologico, ha portato l’umanità a questo punto. Sarebbe, cioè, da rievangelizzare. Con la «misericordia»? Boh, ai posteri (se ci saranno) l’ardua sentenza.
Rino Cammilleri
12 ottobre 2018
http://www.lanuovabq.it/it/suicidi-il-male-oscuro-dellepoca-post-cristiana