«Il male del nostro tempo è l’iperindividualismo»

By 8 Novembre 2018Attualità

«Molti hanno tentato di mettere acqua nel vino della verità, allo scopo di mantenere alto il numero di coloro che frequentano la Chiesa, ma questo non funziona». Intervista al primate d’Olanda Willem Jacobus.

Il cardinale Willem Jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht e primate di Olanda, ha recentemente visitato l’Italia dove ha partecipato a Milano da relatore a un incontro organizzato nel contesto della Giornata della Nuova Bussola Quotidiana col titolo “Quando l’uomo si fa padrone della vita umana: il caso Olanda”. Durante il suo soggiorno ci ha concesso un’intervista che è un po’ la continuazione di quella che ci rilasciò a Utrecht, presso la residenza episcopale, nell’aprile dell’anno scorso.

Eminenza, insieme alla Svezia l’Olanda è il paese dell’Europa occidentale dove maggiormente la pratica religiosa è diminuita negli ultimi quarant’anni. Quali sentimenti prova un pastore di anime di fronte a questo fatto? Senso di colpa, di fallimento personale? Senso di rassegnazione per qualcosa su cui sente di non avere potere? Rancore verso altri che considera colpevoli, magari esponenti della sua stessa Chiesa?
La causa principale della situazione che si è determinata è l’iperindividualismo del nostro tempo, un fatto che non è colpa dei pastori. Invece bisogna dire che i pastori hanno delle colpe – compresi i vescovi, che non sono intervenuti in modo adeguato – quando ci riferiamo agli abusi sessuali su minori da parte di chierici e altri operatori ecclesiastici. Noi vescovi e superiori religiosi olandesi abbiamo dovuto imparare a relazionarci nel modo giusto coi drammi che vivono le vittime degli abusi, a parlare con loro, a capire i loro problemi: abbiamo dovuto imparare con umiltà tutto questo. Per esempio insieme allo staff della nostra arcidiocesi abbiamo invitato uno psicologo perché ci aiutasse a capire cosa significa per la vittima subire un abuso sessuale da parte di un prete o di un religioso. Le nostre prime risposte non sono state sufficienti e adeguate, però abbiamo imparato qualcosa.
A parte gli abusi sessuali sui minori, ci sono molti altri fattori che hanno fatto diminuire la partecipazione alla vita della Chiesa. Anche prima che venisse alla luce il problema degli abusi sessuali la Chiesa aveva perso molti membri attivi. Questo fenomeno si è manifestato già a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta ed ha proceduto molto rapidamente nella seconda metà degli anni Sessanta, e questo coincide con lo sviluppo della cultura dell’iperindividualismo. L’iperindividualista pensa di avere non solo il diritto ma addirittura il dovere di crearsi una propria fede, una propria filosofia di vita, un proprio senso dei valori etici. L’iperindividualismo è una cultura dell’autenticità, come l’ha definita il filosofo canadese Charles Taylor, nella quale l’imperativo è essere se stessi. A volte il pastore si sente impotente di fronte a questa profonda trasformazione culturale.

A proposito delle conseguenze dell’iperindividualismo: quando la intervistai un anno e mezzo fa e le chiesi quali fossero le cause del record negativo dell’Olanda in materia di pratica religiosa, lei rispose che la prosperità aveva prodotto individualismo, e l’individualismo aveva prodotto il distacco dalla fede religiosa e dalla comunità di fede, cioè la Chiesa. Dunque, per essere logici, abbiamo bisogno di meno prosperità per ritrovare Dio? La Chiesa deve scegliere e proporre uno stile di vita austero? Deve praticare e proporre la povertà?
Io direi che anche una persona ricca può essere un seguace fedele di Cristo, a condizione di rispettare ciò che è dovuto al bene comune della società e di essere solidale con il prossimo. La società ha bisogno anche di persone ricche per fare andare bene l’economia. La ricchezza di per sé non è un peccato, anzi, rappresenta un’opportunità per coltivare molte cose moralmente buone e necessarie nella società. Ma l’individualismo è una barriera molto solida fra noi e la gente, il pastore si trova a fare i conti con una cultura quasi impermeabile al messaggio cristiano, perché è una cultura chiusa in se stessa: l’individuo oggi non si apre facilmente. Dunque bisogna cercare con molta creatività nuove strade per la pastorale, senza tuttavia abbandonare le strade che abbiamo sempre percorso e naturalmente senza cambiare il contenuto della dottrina, cioè il contenuto del Vangelo: questo non si dovrà toccare mai. Molti hanno tentato di mettere acqua nel vino della verità, allo scopo di mantenere alto il numero di coloro che frequentano la Chiesa, ma questo non funziona. Le parrocchie che attirano ancora un bel numero di persone sono quelle che celebrano una buona liturgia, secondo le direttive romane, e che offrono una catechesi esplicita: questo è molto, molto importante. Le statistiche, la semplice realtà sociologica, ci dicono questo. Ma è anche naturalmente un avvenimento di fede: Dio lascia irradiare il raggio della Sua Grazia soltanto sulla strada indicata da Cristo e lo Spirito Santo ci guida su questa strada, e quando si lascia questa strada ci si perde.

Che cosa si aspetta dal Sinodo sui giovani in corso a Roma?
Spero che il documento finale sia in primo luogo fondato sull’annuncio esplicito della verità in Cristo. Poi, con questo punto di partenza, spero che il Sinodo sappia anche indicare dei metodi, delle strade attraverso le quali raggiungere il cuore dei giovani con la verità in Cristo. Il Sinodo è un interscambio fra culture di tutto il mondo, e si può imparare sempre dagli altri. Bisogna aprirsi alle altre culture presenti nella Chiesa: la cultura africana, la cultura asiatica, americana, europea sia occidentale che orientale, hanno qualcosa da offrire a tutti gli altri. Siamo una Chiesa a scala mondiale, e il vantaggio di una tale Chiesa è proprio l’interscambio fra tante culture diverse. Io sono sicuro che ci sono culture che potranno insegnare qualcosa anche a noi europei. Questa è la mia speranza riguardo al Sinodo.

Nella nostra intervista a Utrecht l’anno scorso lei mi disse che i giovani cattolici olandesi amano particolarmente l’Adorazione Eucaristica, e chiedono di avere la possibilità di praticarla. Le chiedo se il fenomeno dura ancora oggi, e che influenza le pare che esso abbia sulla vita della Chiesa in Olanda.
Durante gli incontri più importanti della pastorale arcidiocesana sempre noi riserviamo momenti particolari all’Adorazione. Anche i frati di san Giovanni a Utrecht offrono quotidianamente la possibilità di adorare il Santissimo. Alcuni parrocchie la fanno regolarmente, non quotidianamente ma una volta alla settimana. Si nota che molto lentamente questo pratica si va diffondendo nella nostra diocesi, soprattutto perché i giovani vogliono rendere onore a Dio in questo modo. In questo senso sì, il fenomeno perdura. Secondo me è anche un mezzo prezioso per la rievangelizzazione del nostro mondo, perché durante l’Adorazione si sta in silenzio, e dentro questo silenzio i giovani ma anche le persone più adulte imparano a pregare personalmente. Questo è il grande vantaggio dell’Adorazione eucaristica: che si prega in silenzio e si sviluppa così una preghiera personale e un legame personale con Cristo. Chi partecipa all’Adorazione eucaristica sviluppa anche una vita personale di preghiera a casa.

L’immagine della Chiesa presso il pubblico internazionale non cattolico in questi ultimi anni è stata caratterizzata dal carisma di papa Francesco, ma anche dalle vicende degli abusi sessuali e delle coperture ecclesiastiche, cui sopra lei ha accennato. Che effetto hanno avuto sul modo degli olandesi di rapportarsi alla Chiesa questi due fatti, il carisma di papa Francesco e la vicenda degli abusi sessuali?
La memoria oggi è corta! Molti vivono passando da una campagna scandalistica alla successiva. Non appena sono venute fuori le notizie sull’indagine condotta in otto diocesi della Pennsylvania, alcuni media olandesi hanno chiesto cosa avesse fatto la Chiesa cattolica in Olanda contro questo fenomeno. Noi abbiamo subito pubblicato una dichiarazione che riassumeva tutto ciò che abbiamo fatto fino ad oggi: le misure prese, i risultati ottenuti, ecc. Abbiamo sottolineato che le nostra azioni sono state condotte nell’interesse delle vittime, che si vergognano molto degli abusi patiti all’interno della Chiesa. La Chiesa deve essere un luogo sicuro per tutti, compresi i minori. Gli abusi sessuali non devono capitare mai, e certamente non nella Chiesa di Cristo, il cui compito è annunciare il suo Vangelo di amore. Dopo la nostra dichiarazione la situazione si è un po’ calmata, ma presto ci sarà una nuova campagna contro di noi, ne sono certo.

Un’ultima domanda: l’Olanda è stata uno dei primi paesi europei dove confessioni religiose diverse hanno imparato a convivere pacificamente, e oggi è anche un paese multietnico. Tuttavia recentemente la questione dell’immigrazione soprattutto di musulmani è diventata motivo di tensioni politiche e sociali. Che sviluppo della questione prevede nel futuro prossimo?
Penso che i rapporti rischiano di irrigidirsi ulteriormente. C’è una forte corrente di opinione in Olanda che dice: «Puoi essere religioso e hai tutte le libertà, ma dietro la porta della tua casa». Ho criticato queste affermazioni e chi le ha fatte, dicendo chiaramente che sono infantili. Si deve concedere anche a chi non la pensa come noi di esprimere i le proprie convinzioni in pubblico. Invece oggi abbiamo l’impressione che viga una dittatura dell’opinione pubblica: tutti devono pensare allo stesso modo, e dissentire è diventato persino pericoloso. Io insisto a dire che bisogna dare a tutti la possibilità di manifestare pubblicamente quello che credono e pensano. Naturalmente non si possono accettare la propaganda e gli atti terroristici, ma si deve permettere di esporre in pubblico una piccola croce al collo o un altro simbolo religioso. Purtroppo continua ad acquistare forza la tendenza di coloro che vogliono rimuovere tutte le manifestazioni religiose dalla vita pubblica ed esiliarle dietro la porta della casa dei credenti. Questa tendenza sta diventando sempre più forte, ma io la critico costantemente, il mio disaccordo è totale.

Rodolfo Casadei

24 ottobre 2018

«Il male del nostro tempo è l’iperindividualismo»