Due uomini ottengono dal tribunale il riconoscimento della doppia genitorialità. Ma l’utero in affitto non è reato? Si, ma – secondo i giudici – non comporta un problema di ordine pubblico e non viola la Costituzione. Sicuri? No, basta leggere alcuni articoli della Carta.
Se le coppie omosessuali unite civilmente devono essere equiparate in tutto e per tutto alle coppie etero sposate, va da sé che anche per loro deve essere riconosciuta la doppia genitorialità senza dover necessariamente passare dall’adozione. Costi quel che costi. E se il prezzo da pagare è legittimare la maternità surrogata, ebbene occorrerà pagare questo prezzo. La recente vicenda giudiziaria accaduta in quel di Milano è paradigmatica in tal senso.
Ma andiamo con ordine. Gianni Tofanelli, 50 anni, e Andrea Simone, 44, uniti civilmente in Italia, vanno in America e affittano l’utero di una donna. Nasce una bambina figlia geneticamente solo di Tofanelli. La coppia fa in modo che negli States la pargoletta figuri come figlia giuridica di entrambi. Proprio come se l’uno abbia fecondato l’altro e quest’ultimo abbia partorito il bebè. Magie (nere) del diritto.
I due, tornati in Italia, ovviamente avrebbero voluto che il riconoscimento dell’omogenitorialità avvenuto negli Usa avesse valore legale anche sul nostro suolo patrio. Fatta la richiesta al comune di Milano, tale richiesta è stata respinta. L’amministrazione Sala faceva sapere che il Ministero “non si è ancora espresso sulla tematica oggetto delle istanze di trascrizione degli atti di nascita con paternità omosessuale e ha invece interessato l’Avvocatura di Stato”. Il comune di Milano aveva già in passato riconosciuto la doppia genitorialità omosessuale, ma solo a favore di coppie di donne. Perché non è avvenuto lo stesso con questa coppia di maschi? Perché di mezzo c’è la pratica della maternità surrogata che, nel linguaggio edulcorato dell’ideologia gender, diventa “gestazione per altri”, espressione che evoca quei servizi offerti dai supermercati grazie ai quali qualcuno ti porta la spesa a casa a posto tuo. La maternità surrogata è vietata dalla legge 40 del 2004, però chi la pratica all’estero non subisce nessuna conseguenza penale in Italia. Ciò detto però Sala non si è arrischiato a riconoscere una doppia genitorialità omosessuale derivante dalla pratica dell’utero in affitto che comunque rimane illegale qui da noi. Che il via libera arrivasse dal Ministero o dall’Avvocatura dello Stato.
Dopo il “No” del comune di Milano, la coppia si è rivolta al Tribunale di Milano. Quest’ultimo giovedì scorso, ovviamente, ha dato loro ragione. E in merito al problemino derivante dalla maternità surrogata i giudici scrivono che tale pratica «non può comportare un giudizio di contrarietà all’ordine pubblico dell’atto straniero essendo l’attuale divieto interno frutto di una scelta del legislatore nazionale, scevra da vincoli costituzionali». Dunque per i giudici il fatto che un bambino venga partorito da una donna, magari addirittura sua madre biologica, che scientemente si disferà dello stesso per darlo ad una coppia omosessuale non rappresenta una condotta contraria all’ordine pubblico, ossia ai principi che reggono il nostro ordinamento giuridico e la convivenza civile. Viene da chiedersi allora cosa uno debba mai fare per contrastare l’ordine pubblico. I giudici, come citato, hanno poi affermato che tale pratica non è contraria all’ordine pubblico perché non è contraria alla Costituzione. Possibile?
A noi vengono in mente: l’art. 2 che tutela i diritti inviolabili della persona, quali la vita (e le fecondazione artificiale, pratica connaturata alla maternità surrogata, attenta alla vita del nascituro), il diritto a crescere con i propri genitori biologici, il diritto ad essere educato da un padre e da una madre (fanno ricorso alla maternità surrogata soprattutto le coppie gay maschili); l’art. 3 che tutela la dignità sociale delle persone: essere trattati come un prodotto che si ordina su Amazon (nei 9 mesi l’ordine è in lavorazione presso la donna locatrice d’utero) è svilente la dignità personale; sempre l’art. 3 tutela il principio di uguaglianza: ma un bambino così concepito, alienato ed educato da una coppia gay è trattato allo stesso modo dei figli nati da una mamma e un papà?; ancora l’art. 3 che assicura il pieno sviluppo della persona: la vita di quel figlio sarà segnata per sempre dalla decisione solipsistica della coppia gay; l’art. 29 che tutela il matrimonio come società naturale: la maternità surrogata, addirittura al servizio dei desiderata delle coppie omosex, rappresenta un vulnus gravissimo a questo istituto, perché ne stravolge le dinamiche naturali, lo scimmiotta, lo cannibalizza, lo smonta per usarne qualche pezzo al fine di creare un monstrum giuridico e sociale; l’art. 30 che riguarda il dovere dei genitori di educare i figli: l’utero in affitto in questo caso è al servizio di una coppia gay che crescerà i figli senza la figura materna, rendendo in radice impossibile parlare di qualsivoglia forma di educazione; l’art. 32 che tutela il diritto alla salute: venire a conoscenza del fatto di essere stato un pacco dono rappresenterà per tutta la vita un trauma psicologico per il figlio, per poi tacere di tutte quelle patologie fisiche a cui i nati da provetta possono andare incontro.
Crediamo che l’elenco sia abbastanza esaustivo per capire che la maternità surrogata entra in rotta di collisione con l’ordine pubblico della nostra nazione.
Tommaso Scandroglio
28 ottobre 2018
http://www.lanuovabq.it/it/due-papa-un-utero-in-affitto-e-qualcosa-che-non-torna