L’ex commissario europeo ricopre l’incarico di inviato speciale per la promozione della libertà di religione o di credo nel mondo. Al Sir spiega la drammatica situazione che si registra oggi in molti Paesi. “C’è in gioco – chiarisce – un criterio di civiltà. Si tratta di una cartina di tornasole di tutti i diritti umani. Quando mostriamo la nostra solidarietà ragionevole e tempestiva con coloro che soffrono, stiamo preservando l’umanità e stiamo operando contro l’odio e la violenza”
Alla fine della primavera 2016, la Commissione europea aveva istituito la carica di inviato speciale per la promozione della libertà di religione o di credo al di fuori dell’Ue. A più di due anni di distanza, ne parliamo con l’incaricato, il primo inviato speciale, Ján Figeľ, slovacco, già Commissario europeo, ministro nel suo Paese. Un confronto a partire dalle aree del mondo più critiche in relazione alla libertà religiosa, per addentrarci nelle persecuzioni delle minoranze religiose, negli eventuali miglioramenti della situazione e nelle principali sfide che si riscontrano oggi in questo campo.
Quale situazione ha trovato, al momento della sua nomina, a proposito della libertà religiosa? E oggi, a che punto siamo?
La mia nomina è stata una reazione alle atrocità e ai genocidi contro cristiani, yazidi e altre minoranze religiose ed etniche in Medio Oriente commesse dai terroristi dell’Isis. La guerra in Iraq è finita e ora dobbiamo lavorare sulla riconciliazione e la ricostruzione. Anche gli anni di guerra più difficili in Siria sono finiti e il Paese, si spera, raggiungerà una pacificazione. Milioni di rifugiati hanno però bisogno di tornare a casa. Atrocità di massa contro i Rohingya sono state commesse dai militari in Myanmar nel 2017 e oltre 700mila persone perseguitate sono fuggite in Bangladesh. D’altro lato, risulta evidente una maggiore consapevolezza dell’importanza della libertà religiosa. Posizioni politiche, programmi diplomatici e progetti di sostegno specifici dedicati alla situazione delle minoranze religiose sono stati stabiliti negli ultimi anni in Danimarca, Germania, Regno Unito, Ungheria, Italia, Polonia…
I dati statistici dicono che il 79% delle persone vive in Paesi con situazioni difficili nel campo della libertà religiosa. È un numero alto… Quali sono le problematiche più critiche e quali gruppi di popolazione sono maggiormente a rischio nel mondo?
Sì, la situazione è terribile e le tendenze sono preoccupanti. Fondamentalmente, possiamo parlare d’intolleranza religiosa, discriminazione e persecuzione a tutti i livelli possibili. I credenti sono perseguitati in molte regioni del mondo. Le minoranze, in tanti Stati, subiscono ostilità sociale, vessazioni per mano di agenzie governative o da parte di attivisti non statali. Vengono discriminati nell’accesso all’istruzione, all’occupazione, agli uffici pubblici, al diritto di proprietà. Nel mondo, 13 Stati applicano la pena di morte per ateismo, 22 Paesi per conversione e oltre 70 Paesi hanno leggi che puniscono la blasfemia. Vediamo l’estremismo violento alimentato dal terrorismo islamico, dal nazionalismo indù o buddista, ma anche dallo statalismo ateo o dal laicismo ideologico. Il trattamento altamente disumano delle minoranze è una forma di genocidio; sfortunatamente non si tratta soltanto di una minaccia storica o teorica, ma di un’evidente incapacità di proteggere i gruppi vulnerabili. Il secolo dei genocidi interpella la nostra coscienza e la nostra responsabilità consiste nel generare una differenza positiva per il futuro dell’umanità.
Qual è il significato della libertà di credo in questo nostro tempo?
La libertà di religione o di credo è un criterio di civiltà. È una cartina di tornasole di tutti i diritti umani. Quando mostriamo la nostra solidarietà ragionevole e tempestiva con coloro che soffrono, stiamo preservando l’umanità e stiamo operando contro l’odio e la violenza.
Abbiamo bisogno di persone intelligenti più che di apparecchi telefonici intelligenti! Significa che in un mondo globalizzato ricco di diversità dobbiamo imparare anche l’alfabetizzazione religiosa, accanto a quella digitale. Quando difendiamo e prestiamo assistenza alle comunità perseguitate, affrontiamo anche le radici della crisi dei rifugiati. E, allo stesso tempo, confermiamo la nostra identità, perché la nostra memoria e la nostra identità sono strettamente interconnesse.
Prendiamo tre grandi religioni monoteistiche: l’islam, l’ebraismo e, naturalmente, il cristianesimo. Come possono unire le loro forze per promuovere la libertà religiosa?
Se c’è una minoranza perseguitata all’interno di un Paese, anche le altre minoranze saranno sottoposte a questa minaccia. Ne troviamo molti esempi in Medio Oriente, in Nord Africa o nel Sud-Est asiatico. Tutti noi siamo minoranze alcune volte e in alcuni luoghi. Pertanto, è importante trattare le minoranze in modo equo e su una base di uguaglianza. A tutti quanti – laici o religiosi – viene rivolto un pressante invito ad agire gli uni verso gli altri nello spirito della fratellanza. Le tre religioni monoteistiche dovrebbero dare l’esempio in positivo. Esse svolgono un ruolo cruciale nella promozione della giustizia e della pace, specialmente in Medio Oriente, la culla della loro cultura. Ci è voluto molto tempo prima di poter vedere il grande leader cristiano, Papa Paolo VI, entrare in una sinagoga e di vedere Giovanni Paolo II varcare la soglia di una moschea. L’anno scorso, Papa Francesco e la suprema autorità islamica sunnita, il Gran Mufti di Al Ahzar, si sono incontrati al Cairo. I fedeli del cristianesimo, dell’ebraismo e dell’islam rappresentano oltre il 55% della popolazione mondiale. Quando la maggioranza della popolazione mondiale agirà per un mondo migliore, questo obiettivo potrà essere raggiunto!
I leader religiosi e le comunità di fede hanno la loro quota di “responsabilità sociale religiosa” per far prevalere la pace, la giustizia e lo sviluppo sostenibile.
Lei sta attirando l’attenzione dell’Unione europea sui gravi problemi concernenti la libertà religiosa. Su quali competenze e strumenti può contare con il suo incarico per intervenire concretamente?
Il mio impegno in questo ruolo equivale a una missione pioneristica. Mi adopero per comunicare, per aprire le porte, le menti e i cuori e per collaborare con coloro che sono disposti a cooperare con l’Ue. Io non impartisco insegnamenti, non predico, non lancio accuse, ma mi sforzo di capire la situazione, le radici dei problemi e di trovare soluzioni efficaci. Quando troviamo un linguaggio comune e un terreno comune, esiste la possibilità di definire anche interessi e obiettivi comuni. Nel profondo di se stessi, tutti concordano che esiste un bene comune. Io non ho buone competenze o un ricco budget, ma faccio affidamento sulla fiducia e sul sostegno della Commissione europea e sulla diplomazia dell’Ue. Per il sostegno ai diritti umani, inclusa la tutela della libertà religiosa, viene utilizzato uno strumento finanziario specifico, lo “Strumento europeo per la democrazia e i diritti umani”, che può contare su un budget di 1,4 miliardi di euro. Per la prima volta, sosteniamo anche il dialogo interreligioso e interculturale come prevenzione dell’estremismo violento.
Nel Parlamento europeo c’è un crescente sostegno all’istituzionalizzazione del mandato dell’inviato speciale, al potenziamento delle capacità personali e al rafforzamento dei fondi disponibili per questa funzione.
Danka Jaceckowa (da Bratislava)
12 novembre 2018