Università Bicocca. Rischio suicidio triplicato. Che fare per i giovani gay?

By 28 Novembre 2018Gender

Il suicidio è la seconda causa di morte tra gli adolescenti nel mondo. I transgender rischiano 5,7 volte più degli eterosessuali, gli omosessuali 3,7 volte. Parlano una psichiatra e un gesuita .

Per gli adolescenti omosessuali il rischio di suicidio è di oltre tre volte superiore rispetto ai coetanei eterosessuali. Per i transgender di oltre cinque volte superiore. Lo afferma uno studio dell’Università di Milano-Bicocca, dal titolo “Stima del rischio di tentato suicidio tra giovani minorenni per motivi sessuali”, recentemente pubblicato sulla rivista internazionale Jama Pediatrics. Nessuna scoperta sconvolgente, ma il fatto che uno studio scientifico racconti nel dettaglio, con il sostegno di dati statistici, le dimensioni di un disagio già largamente noto, non può che aprire una riflessione importante e interrogare in modo ancora più drammatico famiglia, scuola, Chiesa e società.

Nello studio si ribadisce che il suicidio è la seconda causa di morte tra gli adolescenti, a livello mondiale. «Queste tendenze da parte delle minoranze sessuali erano già note ma – spiega Ester Di Giacomo, psichiatra del gruppo di Massimo Clerici, docente e direttore della scuola di specializzazione in psichiatria dell’Università Bicocca che ha portato a termine la ricerca – per la prima volta è stata compiuta una più precisa valutazione dell’entità del fenomeno tra gli adolescenti Lgtbq». I risultati parlano chiaro. Sono stati presi in esame 35 studi accademici sul tema e un campione di quasi due milioni e mezzo di adolescenti tra i 12 e 20 anni, di dieci nazionalità diverse. Dall’analisi è risultato che gli adolescenti appartenenti al gruppo complessivo delle cosiddette minoranze sessuali mostrano un tasso di rischio di suicidio superiore alle tre volte e mezzo rispetto ai loro coetanei eterosessuali. La valutazione del rischio di tentato suicidio è stata analizzata anche all’interno di ogni gruppo di minoranza sessuale. I dati dimostrano che gli adolescenti transgender sembrano i più afflitti dal fenomeno (il loro fattore di rischio è 5.77 volte superiore ai coetanei eterosessuali), seguiti dai bisessuali (4.87 volte superiore) e dagli omosessuali (3.71 volte). «Tra questi fattori di rischio – continua l’esperta – la sessualità e le problematiche legate sono state indagate, in particolare, in relazione ad abuso e identità di genere. Quest’ultima fa parte dell’’io’ e contribuisce al pieno sviluppo di un essere umano adulto. Anche se le sue radici affondano nell’infanzia, l’orientamento di genere si esprime pienamente durante l’adolescenza, soprattutto a causa dell’inizio del desiderio sessuale. Gli adolescenti omosessuali, bisessuali e transgender – conclude Di Giacomo – sono generalmente a più alto rischio di isolamento, esposizione alla violenza, e stigmatizzazione, sia autoinflitta che inflitta da pari o familiari». Nell’analisi sono stati esclusi i cosiddetti ‘fattori confondenti’ per arrivare a risultati statisticamente più chiari. L’area geografica con le condizioni peggiori? Il Nord Europa. Nessun dato specifico sull’Italia perché nel nostro Paese non esiste alcuna ricerca scientifica sul tema.

Cosa fare? Facile parlare della necessità di una maggiore consapevolezza dell’opinione pubblica, di un più adeguato sostegno centrato su sforzi di inclusione in grado di allentare la stigma che incombe su questi ragazzi. Ma chi lo deve fare? «Innanzi tutto la famiglia», risponde padre Pino Piva, gesuita responsabile per la pastorale di frontiera. «Quando questi ragazzi prendono coscienza del proprio orientamento pensano innanzi tutto a come lo racconteranno in casa. E se temono di non essere accolti, le conseguenze possono essere distruttive». Altro passaggio forte è l’accettazione del gruppo, indispensabile per potersi rapportare e identificare. E la Chiesa? «Abbiamo un ruolo determinante. Innanzi tutto – riprende padre Piva – andrebbe purificato il lessico. Espressioni come ‘sessualmente disordinato’ possono convincere i ragazzi di essere irrimediabilmente fuoriposto con conseguenze spesso molto pesanti. Ma anche il messaggio che lasciamo filtrare talvolta appare senza speranza. Le vocazioni più immediate sono precluse a un ragazzo omosessuale: non può formarsi una famiglia, non può entrare in seminario, non può pensare a una vita di coppia. Cosa gli resta? «Oggi c’è la speranza aperta dal Documento finale del Sinodo dei giovani che – conclude il gesuita – parla di libertà, responsabilità e dell’impegno a realizzare se stessi, aprendo la strada alla possibilità di una riflessione concreta. Oltre ad incoraggiare i gruppi di accoglienza già presenti in alcune diocesi. Vedremo come si svilupperà».

Luciano Moia

13 novembre 2018

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