Quando Papa Francesco decise di rispondere all’ennesimo scandalo di “pedofilia” – così i media, ma le statistiche parlano piuttosto di efebofilia omoerotica – con quella densa “Lettera al Popolo di Dio” che individuava nel clericalismo la sorgente dei mali da cui venivano gli abusi, alcuni hanno pensato che il Santo Padre stesse nascondendosi dietro a un dito. Altri invece hanno fatto precisamente questo: si sono nascosti dietro un dito.
Ciò che invece faceva il Pontefice, quando additava il “clericalismo”, era formulare una diagnosi complessiva – così scrivemmo all’epoca – invece di attardarsi sull’analisi di alcuni sintomi, anche importanti: l’omosessualismo sta al clericalismo più o meno come i puntini stanno al morbillo (questo implica quasi sempre quello, ma non ogni pallino rosso sulla pelle è spia di morbillo). L’altra importante distinzione operata da Francesco era l’esplicitazione dei distinti piani degli abusi, essa verteva cioè sulle declinazioni della violenza clericale1, i cui abusi sono:
- sessuali
- di coscienza
- di potere (amministrativi)
Non sarebbe utile concentrarci sul primo punto tralasciando il secondo e il terzo, soprattutto perché – non essendo il clericalismo appannaggio esclusivo del clero – può ben darsi il caso che a portare i sintomi del secondo e del terzo tipo di violenza siano proprio gli auto-nominati inquisitori della caccia agli omosessuali. Tali zelanti inquisitori, anzi, tendono ad accomunare pericolosamente omosessuali e omosessualisti2, come se – restando nella metafora virologica-sintomatologica di cui sopra – un brufolo ben maturo fosse spia di incipiente o latente morbillo. Sono questi improvvisati (ma feroci) inquisitori a dare non di rado ragione agli omosessualisti che sospettano l’azione, sul piano subliminale, di pulsioni omoerotiche negate, sublimate ed esorcizzate nella lotta agli omosessuali. In realtà io non credo che ogni “cacciatore di omosessuali”, nella Chiesa, sia a sua volta un omosessuale represso – questo lo dica Charamsa, ora che ha smarrito la lucidità per la quale alcuni lo apprezzavano –: di sicuro, però, è assai facile che a modo suo sia anch’egli un clericale. Donde l’omosessualista e l’inquisitore si riconoscono a vicenda non per una comune omosessualità, ma per il comune clericalismo. E poi ciascuno si produce nella narrazione propizia alla propria pars.
Questo fino a oggi, perché ora è intervenuto Francesco stesso, che ha ripreso la parola sul tema nel libro-intervista con Fernando Prado La forza della vocazione. Illuminante questo passaggio sul clericalismo:
Non c’è bisogno di essere chierici per essere clericali. Esiste un clericalismo che si manifesta nelle persone che vivono con atteggiamenti da “segregati”, con la puzza sotto il naso, segregati male. Sono quelli che vivono una specie di atteggiamento aristocratico rispetto agli altri. Il clericalismo è un’aristocrazia. Si può essere clericali pur essendo un fratello consacrato o una religiosa. Non si è clericali per il fatto di celebrare messe, ma perché si crede di appartenere a tale aristocrazia. A questo si associa, generalmente, un modo di vivere in maniera aristocratica che si manifesta negli atteggiamenti: sembra che uno sia sempre al di sopra di tutto il resto del santo popolo fedele di Dio. Quando c’è clericalismo, “aristocraticismo”, “elitarismo”, non c’è il popolo di Dio, che è quello, in definitiva, che ti dà una collocazione.
Quello che ti dà una collocazione nella Chiesa è il santo popolo fedele di Dio. È la vicinanza alla gente della parrocchia; per chi sta in un collegio, sono i genitori dei ragazzi e i ragazzi stessi; per chi sta in un ospedale sono i malati a dargli una collocazione. Il religioso clericale invece non è inserito. Questo è l’elemento determinante. La parola “inserimento” è determinante. È una di quelle parole che si usarono con una buona intuizione nel post Concilio. A volte, forse, non è stata applicata bene, e quindi è entrata rapidamente un po’ in disuso, ma credo sinceramente che sia una parola ispirata dallo Spirito poiché si situa sulla linea di quanto appare in questo quadro di Rupnik che è appeso alla parete. È la synkatábasis («condiscendenza») di Gesù, che si è abbassato per inserirsi nel popolo. E il clericalismo è l’opposto dell’inserimento. Il clericale fa parte di un’élite e non si riconosce nel popolo. Da qui possono venire poi molte conseguenze, soprattutto quando si usa male il potere. Il clericalismo è la radice di molti problemi, come stiamo vedendo. Anche dietro ai casi di abusi, oltre che ad altre immaturità e nevrosi, si trova il clericalismo. Occorre fare molta attenzione a questo durante la formazione. Bisogna discernere e aiutare a chiarire le immaturità e ad accompagnare in una sana crescita.
Se il formatore vede che qualcuno non se la cava bene con i propri limiti faccia bene attenzione, perché là vi sono degli indizi di una nevrosi o di qualche immaturità, che si dovrà vedere come poter instradare, governare, mettere da parte… Ma, per l’amor di Dio! Non forzino i propri limiti né quelli degli altri. Che li gestiscano bene.
Ti racconto un aneddoto. Un sacerdote si era innamorato e lo andò a raccontare al suo vescovo. Non sapeva che fare. Pensava che forse avrebbe dovuto lasciare tutto… Si era tanto allarmato sentendo che era innamorato, che cercava continuamente quella donna e si cacciava sempre più nei guai. In realtà non aveva nulla, era tutta un’ossessione, forse un po’ adolescenziale, ma si era allarmato e la prima cosa che fece fu di andare a cercare il vescovo per raccontarglielo… E fece bene! Quanto fa bene cercare una paternità! Le crisi e i problemi vengono. Non occorre allarmarsi.
Prego sempre i sacerdoti di non forzare i limiti della gente. Se uno viene a confessarsi, lo lascino confessarsi come crede. Non ti mettere a frugare qui e là, non forzare i limiti delle sue piaghe e, a tuo giudizio, offrigli i consigli che credi opportuni e che lui è in grado di ricevere. A sua misura: uno solo, magari, quello opportuno, ma occorre lasciare sempre la porta aperta perché possa tornare. Che quello dica: “Che bravo questo prete! Voglio ritornarci”.
[Occorre] lasciare uno spazio, una porta aperta, senza forzare i limiti. Il penitente, ma lo stesso vale per il giovane o la giovane che è in formazione, va sostenuto e aiutato fin dove riesce ad arrivare. Nella formazione credo che sia necessario questo: formare i giovani senza forzare i limiti. Si deve fare attenzione a quelli che si scelgono per essere formatori. Vi sono stati anche formatori nevrotici, che forzavano i limiti dei ragazzi e che, invece di aiutarli a crescere, li schiacciavano. È molto importante anche trovare dei buoni formatori.
E questo è il quadro per comprendere ciò che dice finalmente sul problema dell’omosessualità (e dell’omosessualismo), poiché Francesco lo tocca a partire dalla problematica della formazione ecclesiastica:
Quando vi sono candidati con nevrosi e squilibri forti, difficili da poter incanalare anche con l’aiuto terapeutico, non li si deve accettare né al sacerdozio né alla vita consacrata. Bisogna aiutarli perché facciano altri percorsi, senza abbandonarli. Occorre orientarli, ma non li dobbiamo ammettere. Ricordiamo sempre che sono persone che vivranno al servizio della Chiesa, della comunità cristiana, del popolo di Dio. Non dimentichiamo questa prospettiva. Dobbiamo fare attenzione a che siano psicologicamente e affettivamente sani.
[L’omosessualità nella Chiesa] È qualcosa che mi preoccupa, perché forse a un certo punto non è stato affrontato bene. Sempre sulla linea di quello che stavamo dicendo, ti direi che nella formazione dobbiamo curare molto la maturità umana e affettiva. Dobbiamo discernere con serietà e ascoltare anche la voce dell’esperienza che ha la Chiesa. Quando non si cura il discernimento in tutto questo, i problemi crescono. Come dicevo prima, capita che forse al momento non siano evidenti, ma si manifestano in seguito.
Quella dell’omosessualità è una questione molto seria che occorre discernere adeguatamente fin dall’inizio con i candidati, se è il caso. Dobbiamo essere esigenti. Nelle nostre società sembra addirittura che l’omosessualità sia di moda e questa mentalità, in qualche modo, influisce anche sulla vita della Chiesa.
Ho avuto da me un vescovo abbastanza scandalizzato che mi ha raccontato di essersi reso conto che nella sua diocesi, una diocesi molto grande, vi erano vari sacerdoti omosessuali, e che aveva dovuto affrontare tutto questo, intervenendo, prima di tutto, sulla formazione, per formare un altro clero diverso. È una realtà che non possiamo negare. Neanche nella vita consacrata sono mancati dei casi. Un religioso mi raccontava che, mentre era in visita canonica a una delle province della sua congregazione, era rimasto sorpreso. Vedeva che bravi giovani studenti e anche alcuni religiosi già professi erano gay. Egli stesso aveva dubbi sulla cosa e mi ha domandato se in questo vi era qualcosa di male. «In definitiva – diceva – non è tanto grave; è soltanto un’espressione di affetto». È un errore.
Ecco perché la pulizia va fatta, senza dubbio, e innegabilmente i luoghi di formazione saranno campo di uno scontro senza quartiere tra la nota lobby e i riformatori: occorrerà però agire «in numero, mensura et pondere» (Sap 11,20), per dirlo con la Vulgata, ossia con grandissimo equilibrio e senza alcun eccesso ideologico. Sintetizzerei così, in parte richiamando quanto già sopra esposto:
- Non si parli meramente di omosessualismo ma delle varie declinazioni del clericalismo;
- Non si utilizzi “il clericalismo” come paravento per negare e/o coprire il lobbismo omosessualistico;
- Non si pensi di poter fare qualcosa di buono per la Chiesa armando una “crociata contro gli omosessuali”, neanche se preti (o vescovi);
Un regolamento complesso nel quale sarà facile finire in fuorigioco. Probabilmente le parole del Papa dedicate all’argomento in questo libro non piaceranno agli aspiranti inquisitori, ma possiamo star sicuri che non sono piaciute neppure agli omosessualisti. Un indizio di più sul fatto che la strada sia quella giusta.
Giovanni Marcotullo
30 novembre 2018
Francesco su Chiesa e omosessualismo: un errore pensare che non sia grave