L’Organizzazione mondiale della Sanità pensa a linee guida, la scienza non sembra opporsi. Ma i figli con Dna alterato restano un “oltraggio”
È già svanita l’eco della notizia delle due gemelline cinesi nate con il Dna manipolato con la tecnica di gene editing Crispr-Cas9. Alla velocità con cui è calato il silenzio sulla vicenda ha contribuito il modo in cui ne ha dato l’annuncio He Jiankui, il responsabile dell’esperimento: non una pubblicazione scientifica ma un video su Youtube, a cui non è seguita finora alcuna conferma indipendente. E la successiva scomparsa dello studioso – ora irreperibile, probabilmente sotto controllo del governo cinese – ha spento l’unica fonte di notizie. Colpisce, però, la rapidità con cui l’opinione pubblica ha digerito la vicenda: niente di paragonabile alle reazioni alla nascita di Dolly, il primo mammifero clonato, nel 1996. E se è vero che per la famosa pecora si trattava di un esperimento ben documentato, è anche vero che in questo caso abbiamo per la prima volta esseri umani il cui concepimento è stato progettato nell’ambito di un esperimento scientifico, dalle conseguenze imprevedibili. Un fatto gravissimo, che avrebbe meritato tutt’altre risposte, e non solo degli addetti ai lavori.
Inizialmente la condanna degli esperti è stata unanime. Ma in pochi giorni la comunità scientifica ha concordato sulla necessità di linee guida proprio per gli esperimenti di editing genetico sugli embrioni umani da trasferire in utero. Il tabù infranto, insomma, si è presto trasformato nel via libera alla sperimentazione, e la proposta di moratoria fatta dagli esperti solo tre anni fa è ormai acqua passata.
Va riconosciuto che negli ultimi anni è cambiato radicalmente l’atteggiamento di fronte agli sviluppi biotecnologici: è aumentata molto la tolleranza verso le trasformazioni dell’umano, anche quelle che fino a poco tempo fa sembravano destinate solo alle trame di fiction distopiche. Il 2 ottobre, ad esempio, il Wall Street Journal chiedeva «È etico scegliere il colore degli occhi del tuo bambino?» in un articolo in cui dava conto della possibilità di scegliere il colore degli occhi di un figlio.
lla modica cifra di 370 dollari i «Fertility Institutes» della Encino, in California, offrono questo servizio, con una tecnologia che si sta perfezionando. Altre aziende propongono test analoghi, basati su metodi forensi che consentono di predire il colore di occhi, pelle e capelli di indagati di cui si hanno solo quantità minime di Dna. La «Genomic Prediction» con 400 dollari offre invece la possibilità di individuare gli embrioni a rischio elevato di diabete e malattie cardiovascolari. Uno dei fondatori, Stephen Hsu, ha posto un dilemma: se un medico ha due embrioni sani, ma uno dei due ha un’alta probabilità di diventare un bambino con problemi a scuola e l’altro no, lo deve dire ai genitori? Non si tratta di gene editing, ma se queste sono le sollecitazioni del mercato della fecondazione assistita è difficile poi vietare sperimentazioni genetiche sugli embrioni umani.
È quindi significativo l’intervento di Sheila Jasanoff sul Washington Post del 29 novembre. La famosa esperta di Science and Technology Studies, docente ad Harvard, insieme a Benjamin Hurlbut e Krishanu Sana ha condannato l’esperimento cinese definendolo un «oltraggio», chiarendo però che non si può tacere la responsabilità della comunità scientifica. La studiosa contesta che la violazione di un divieto si trasformi in un via libera a tecniche vietate: la trasgressione dovrebbe significare piuttosto maggior rigore.
La sua critica è rivolta soprattutto alla differenza fra i limiti etici, scarsi, della ricerca di base e quelli, maggiori, della ricerca applicata: il trasferimento di un embrione in utero avviene solo dopo che gli studi di base hanno percorso tutti i passaggi necessari a consentirlo. È la ricerca di base, «premiata da pubblicazioni in riviste di elevato prestigio», a rendere possibile i passi successivi. Argomentazioni che ricordano le diverse posizioni emerse nel parere sul gene editing del nostro Comitato nazionale per la Bioetica. Jasanoff auspica un dibattito pubblico che non si limiti agli esperti di settore, duramente criticati: «Scienziati ed eticisti che danno un lasciapassare alla ricerca di base, solamente in attesa delle controverse (e inevitabili) applicazioni». E aggiunge: «Crispr in generale e l’esperimento cinese in particolare suscitano domande sull’umanità nel senso più fondamentale del termine – sulla nostra identità, integrità e dignità umana. Problematiche che non possono essere ridotte a piccole domande su rischi e benefici di particolari interventi tecnologici, né dovrebbero essere trattate come temi astratti di morale che i filosofi devono risolvere. La seducente promessa di ingegnerizzare i geni migliori di un bambino – come se si scaricasse sul cellulare qualche app per il benessere – offende quel bambino e svaluta la ricchezza dell’umanità».
Assuntina Morresi
13 dicembre 2018
https://www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/porte-aperte-agli-embrioni-ogm-1