Bibbia a fumetti. Gli insegnamenti sacri trasmessi attraverso le strisce: le battute della piccola, impertinente ragazzina disegnata da Quino o della sgangherata famiglia creata da Matt Groening
Anni fa l’editore Einaudi decise di pubblicare in volumetti a sé stanti alcuni libri biblici particolarmente stimolanti, facendoli però introdurre da figure della cultura contemporanea dai percorsi personali non di rado alieni rispetto al mondo religioso. Per la raccolta dei 150 Salmi fu coinvolto Bono, il noto leader degli U2, di origine cattolica irlandese. Vorrei citare un ampio squarcio della sua premessa.
«Quando avevo 12 anni, ero un fan di Davide, era una figura familiare… come può essere familiare una popstar. Le parole dei Salmi erano poetiche e religiose insieme. E lui era un personaggio drammatico, perché prima che la profezia si compisse e Davide diventasse re d’Israele, gliene capitarono di tutti i colori. Fu costretto all’esilio e finì in una grotta in qualche remota città di confine dove dovette affrontare una tremenda crisi d’identità e si sentì abbandonato da Dio. Ma proprio qui la soap opera si fa interessante: pare infatti che in quella grotta David abbia composto il primo Salmo, un blues. E molti Salmi mi sembrano esattamente questo, dei blues: l’uomo che grida a Dio: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Lontano dalla mia salvezza sono le parole del mio lamento (Salmo 22,2)».
Non deve stupire questo imprinting biblico, seppure esegeticamente molto approssimativo, in un cantante rock, perché abbiamo avuto occasione a più riprese di segnalare lo stesso fenomeno per altri personaggi della musica contemporanea, ad esempio Dylan o Springsteen. Questa ramificazione, spesso carsica, di motivi biblici si può allargare anche ad altri generi e personaggi insospettati. Anzi, a una simile recensione di presenze sacre inattese l’editrice Claudiana ha dedicato un’intera collana dal titolo anodino «Nostro tempo». Ebbene, negli ultimi volumi si è tentato un sondaggio sorprendente nell’orizzonte del fumetto, la cui nascita come genere di massa è di solito fatta risalire alle vignette di Yellow Kid, apparse nel 1895 sul «New York World». Da allora, si distese un vero e proprio mare di strisce e quelli della mia generazione si sono appassionati al «Signor Bonaventura» del «Corriere dei piccoli» e poi al Topolino della Disney, giù giù fino al «Vittorioso», a «Linus», a «Corto Maltese» e così via.
Marco Dal Corso, un docente di teologia che ha già alle spalle un curioso saggio su Bibbia e calcio, pubblicato sempre dalla Claudiana, si cimenta ora con uno dei più divertenti autori di strisce, oggetto di varie analisi anche semiologiche (pure Eco si è appassionato a lui), cioè l’argentino Quino, nome d’arte di Joaquín Salvador Lavado, classe 1932. Egli è il padre della piccola impertinente e pestifera Mafalda, in perenne polemica col mondo degli adulti che spoglia dai veli di tutte le loro ipocrisie. Mi viene spontaneamente in mente una sua battuta: «Amare l’umanità non è una gran fatica. Faticoso è amare l’uomo della porta accanto!». E il pensiero corre in parallelo a un altro grande del fumetto, l’americano Charles M. Schulz (1923-2000), il creatore dei Peanuts, che metteva in bocca al suo dolce cagnolino Snoopy la stessa amara costatazione: «Io amo l’umanità…È la gente che non sopporto!».
Più «arrabbiata», Mafalda si fa carico anche di altre categorie etiche evangeliche, che Dal Corso illustra sia nel loro profilo teologico, sia nella versione sbarazzina della ragazza. Pensiamo alla giustizia affidata anche a una selezione di strisce sul tema riprodotte nel libro. Esse sono illuminate idealmente dalla domanda che lei coi suoi amici rivolge al lettore: «Perché in questo nuovo anno non iniziare finalmente la costruzione sempre rimandata di un mondo migliore?». Ma l’ultima battuta è la sua, amara e realistica: «O qualche deficiente ha smarrito i progetti?». E quando il suo amichetto Felipe le fa notare: «Il mondo va male da secoli. Mi senti, da secoli!», Mafalda pronta ribatte: «Allora il colpevole dev’essere morto. Vigliacco!». Anche la povertà, la libertà, il male, la sofferenza affiorano con una carica di moralità evangelica. Il «laico» Quino non esita talora a far entrare in scena anche Dio con la domanda della piccola alla madre: «È vero che Dio si trova dappertutto?». Alla replica affermativa, Mafalda commenta preoccupata: «Poveretto!».
In pratica l’aspetto più evangelico della ragazzina è quello di leggere la realtà con gli occhi di quei bambini che, secondo Gesù, sono il modello per entrare nel Regno di Dio («Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli», Matteo 18,3). A questo punto passiamo a un’ accolta più complicata e aspra di personaggi, la sgangherata famiglia Simpson, creata da Matt Groening nel 1954, apparsa in televisione nel 1987 e da allora diventata un fenomeno cult, al punto tale che l’Oxford English Dictionary non ha esitato a classificare anche la contrariata esclamazione di Homer, D’oh! A questi genitori e figli, che con innocenza riflettono vizi e virtù, bene e male dell’umanità, è riservato un vero e proprio studio da parte di un teologo e scrittore a cui dobbiamo molto in questo e in altri ambiti espressivi, Brunetto Salvarani. Sì, perché è merito suo se molti si sono resi conto che la Bibbia è tutt’altro che un polveroso armamentario di storie del passato.
Egli, infatti, ha ininterrottamente dimostrato la sua costante penetrazione nella cultura non solo classica (sulla scia del «grande codice» di Northrop Frye) ma anche contemporanea, non solo inerpicandosi sui picchi letterari ma anche scendendo nella valle delle forme attuali dell’arte, come la canzone di De André o di Leonard Cohen, ai quali ha dedicato due straordinari ritratti «biblici» (sempre presso la Claudiana), per giungere appunto ai Simpson. Il suo, a differenza di Dal Corso che procede in modo impressionistico, è un viaggio narrativo godibilissimo ma fortemente documentato sulla base del vaglio di una settantina di episodi della serie televisiva e filmica. Una lettura capace anche di ironia, a partire dal gioco iniziale del sottotitolo, Da Bart a Barth, ove vengono accostati uno dei tre tumultuosi e ribelli Simpson’s sons, Bart, e il paludato teologo protestante Karl Barth.
Gioele Dix, un altro personaggio creativo del nostro panorama culturale, nella sua prefazione coglie il cuore della sinossi condotta da Salvarani sui Simpson. Citandolo, afferma che essi incarnano «quel territorio franco nel quale abitano alla rinfusa luoghi comuni e manie, paure e passionacce, revival e nostalgia», e conclude sottolineandone «la parentela con la narrazione biblica che offre il peggio (ma a volte anche il meglio) di uomini e donne, con linguaggio scarno, senza mediazioni o allusioni». E già che siamo in tema e in compagnia dell’autore, vogliamo concludere con un consiglio.
Se qualche lettore volesse leggere la Bibbia con occhi privi delle lenti del pregiudizio della sacralità, della confessionalità, persino del moralismo – lenti spesso inforcate in ambito «laico» – segua la Teologia per tempi incerti di Salvarani. È un itinerario nella regione delle S. Scritture incrociando personaggi fragili e profondamente «veri», come Giona, Noè, Giacobbe, Giobbe, Qohelet, lo stesso Gesù e la sua Chiesa. Si scoprirà, così, una vivace scuola di umanità i cui volti sono gli stessi che ritroviamo nelle nostre strade o case o nello specchio ove ci guardiamo la mattina, con le stesse ansie e attese, con gli stessi dolori e gioie.
Gianfranco Ravasi
“Il Sole 24 Ore”
del 9 dicembre 2018